
Sabato 21 ottobre il primo appuntamento, con una conferenza tenuta da Maria Pina Scanu, docente al pontificio ateneo Sant’Anselmo di Roma, su “Parola di Dio ed eucarestia: vivere la redenzione nel rendimento di grazie”. Giovedì 26 ottobre, adorazione eucaristica dalle 8 alle 18, intervallata dalla recita dei vespri alle 17. Il giorno dopo, venerdì 27 ottobre, la chiesa del monastero dedicato all’Annunziata ha ospitato invece una veglia vocazionale notturna. Infine, sabato 28 ottobre è stato il vescovo Lorenzo Loppa a presiedere, alle 17.30, una celebrazione eucaristica di ringraziamento per la presenza oramai quasi secolare delle monache ad Alatri.
Una testimonianza tangibile, aldilà della clausura, perché la gente di Alatri – e non solo i fedeli che magari le scorgono dietro la grata della vicina chiesa di Santo Stefano – ha imparato ad amare le monache benedettine, ad apprezzarne la dedizione ad alcuni lavori manuali, a valorizzarne l’importanza della preghiera.
E non a caso, sono proprio le monache, attraverso il loro sito internet, a farci sapere che è davanti all’altare che passano i momenti più belli, più intensi della loro vita, la preghiera e l’adorazione. In un mondo distratto, una comunità di claustrali, che fa della propria vita una lode perenne, che trascorre la giornata tra la preghiera (personale e comunitaria), l’adorazione e il lavoro, che cerca di conformarsi a Cristo e di servirlo nelle sorelle potrebbe sembrare una vita inutile. Ma non è così.
La vita di una suora di clausura è una continua preghiera, un continuo restare alla presenza del Signore. Da san Benedetto, le monache hanno ereditato l’Ora et labora, non disgiunto dal motto caro alla fondatrice Mectilde De Bar: “Adoro e mi sottometto”. Dietro le alte mura che cingono il monastero e che gli abitanti di Alatri osservano con riverenza al momento del passeggio serale e che fanno capolino anche dalla piazza principale, sembra di sentirle risuonare le parole che Giovanni Paolo II pronunciò proprio lì dentro, nel corso della storica visita del 1984: «Sento una profonda commozione per questa visita che ci riporta a tempi così lontani: così lontani ma così vicini. Quando penso che qui, come in ogni cappella, noi ci troviamo dinanzi al SS. Sacramento che è lo stesso cibo divino di cui si sono nutriti i cristiani dei tempi passati, allora vediamo la Chiesa nelle sue dimensioni storiche e insieme mistiche».
Sembra di vederle, le monache benedettine, intente ai lavori all’uncinetto, alla preparazione di arredi sacri, al confezionamento delle ostie, all’umiltà della preparazione in cucina, tanto più che “nel medesimo momento vi troverete in paradiso”, come ripeteva la fondatrice dell’Ordine, esaltando la dote dell’umiltà. Una storia che va ben oltre la presenza di questi 90 anni, per innestarsi, come si diceva all’inizio, al passaggio di Benedetto da Norcia ad Alatri, con il lascito di una campana ad un monastero che allora si trovava sul colle dei Cappuccini. Certo, è una tradizione. Ma quella campana è ancora lì, oramai da 15 secoli.