Alatri, celebrazione per San Sisto: l’omelia del vescovo Spreafico

23 Aprile 2025

Alatri, celebrazione per San Sisto: l’omelia del vescovo Spreafico

Sorelle e fratelli,

siamo riuniti oggi, come tradizione, per celebrare la festa di San Sisto I, papa e martire. Lo
facciamo oggi mentre ancora siamo addolorati per la scomparsa di papa Francesco, per cui
vorremmo pregare in questa celebrazione. Saluto la delegazione proveniente da Alife, che ogni
anno celebra con noi questa festa per il loro e nostro patrono. Una lunga storia unisce San Sisto,
divenuto papa nel 115, a papa Francesco. È la storia della Chiesa, allora ancora indivisa, che giunge
fino a noi. Non siamo i primi e, per la grazia di Dio, non saremo gli ultimi, a vivere in questa
comunione di amore e unità, che il vescovo di Roma, il papa, rappresenta per la nostra Chiesa. In un
mondo che accetta le divisioni come se fossero normali, in cui gli ultimi e i poveri restano sempre i
più esclusi e scartati, come ci ha detto molte volte papa Francesco, la festa di oggi ci richiama
anzitutto il senso e il valore dell’unità, da riscoprire e da vivere.
Noi siamo qui come popolo di Dio, radunato dallo Spirito Santo attorno alla mensa della Parola di
Dio e del pane di vita eterna, l’Eucaristia. Siamo popolo, cari amici, comunità. Il mondo, pieno di
donne e uomini soli, che camminano con lo sguardo distratto o a testa basta chini sul cellulare senza
vedere nessuno, o di altri abbandonati a se stessi perché ritenuti inutili, come molti anziani, ha
bisogno di noi, di cristiani che credono possibile vivere insieme, in pace, volendosi bene,
aiutandosi, condividendo la propria vita con gli altri. Papa Francesco domenica ci ha mostrato con
chiarezza il valore e il senso di essere popolo nel mondo. Con fatica e sforzo enorme ha voluto
dall’alto guardare la folla radunata a San Pietro e ha dato la benedizione urbi et orbi, per loro e per
il mondo. Il suo sguardo è sempre stato largo: ha guardato il mondo, il dolore delle guerre, delle
persone migranti, dei poveri, degli sfruttati. Ha voluto guardare, come lo sguardo dell’apostolo
Pietro nel racconto degli Atti degli Apostoli, il dolore dei sofferenti e dei poveri. Ha pregato in
continuazione per la pace e il dialogo. Poi è sceso e ha voluto passare in mezzo alla gente. Era il
suo modo di essere pastore “con l’odore del gregge”, come amava dire soprattutto a noi vescovi e
sacerdoti. Dovremmo ricordarcelo!
Questa è la Chiesa, sorelle e fratelli. Queste sono e devono essere le nostre comunità. Non luoghi
chiusi nei loro piccoli mondi e nelle loro abitudini o tradizioni, ma case aperte, accoglienti, pronte
all’ascolto, alla condivisone e alla solidarietà. “Chiesa in uscita”, ci ha ripetuto più volte a partire da
quel testo, l’Evangelii gaudium, in cui è racchiuso il programma del suo pontificato e che ancora
oggi siamo chiamati a conoscere e a vivere: la gioia del vangelo che si comunica nell’incontro, nella condivisione, nell’amore. Non siamo qui per caso. Siamo qui perché sentiamo il bisogno di essere
qui, di essere radunati dal Signore per essere suo popolo, donne e uomini che sentono il desiderio di
essere con gli altri e per gli altri. Certo, la vita è spesso dura, sembra lasciare poco tempo per gli
altri. Ma non vogliamo farci rubare la gioia dell’incontro, della preghiera comune, della
condivisione, della solidarietà. L’Eucaristia della domenica è proprio questo: ritrovare ciò che
siamo, la vera immagine della nostra umanità. Il mondo ci abitua alla solitudine, a pensare a noi
stessi. Ci illude che questo porti felicità. Ma un io senza gli altri non è mai felicità. Gli altri
esistono, quindi conviene che li incontri, te li fai amici. Il Signore ci raduna per farci gustare la
gioia di essere tutti, nella nostra differenza, parte di un popolo il cui unico centro non sei tu, ma solo
lui, il nostro amico Gesù, e con lui noi possiamo essere fratelli e sorelle, amici.
Oggi in particolare, per farcelo capire e gustare, ci offre l’esempio di un uomo come tanti, che ha
accolto la chiamata a essere pastore, cioè a prendersi cura degli altri. Così fu san Sisto. Sorelle e
fratelli, il mondo ha bisogno di donne e uomini che si prendano cura degli altri, fermando la fretta di
chi ha sempre da fare, ovviamente soprattutto per sé, per creare unità e amicizia. Quei due discepoli,
di cui ci hanno parlato gli Atti degli Apostoli, se ne tornavano a casa loro col volto triste. Capita
anche a noi. La tristezza avvolge a volte la vita nel buio di questo tempo. Ma a un certo punto della
strada qualcuno si avvicina e comincia a parlare con quei due e li aiuta a capire. Non lo riconobbero
subito. Così è Gesù, cari amici. Si avvicina a noi, cammina con noi, soprattutto nei momenti
difficili. Ricordiamolo sempre. Ci parla e ascolta le nostre parole piene di dubbi, domande. Gesù
non ha bisogno di persone sicure di tutto, che non hanno incertezze, fragilità, paure. Per questo
tende la mano per aiutarci, farci vedere la luce, quella della Pasqua, della vita. Certo, i due discepoli
lo riconobbero quando spezzò loro il pane, il pane dell’Eucaristia. Capite perché è bello essere con
lui almeno nella Santa Messa della Domenica, dove lo riconosciamo meglio, gustiamo la luce che ci
fa vivere, ci nutriamo della sua Parola e del pane di vita eterna. Ogni domenica rinasce la comunità.
Oggi il Signore affida un impegno a ognuno di noi: essere anche noi quelle persone che si
avvicinano agli altri con lui, tendendo la mano con lui, per liberare dalla tristezza, aiutare gli altri a
incontrarsi, dialogare, a essere amici, a vivere. Accogliamo questo invito per trovare la felicità che
cerchiamo e rendere il mondo pacifico e fraterno, un posto per tutti, a partire dagli ultimi e dai
poveri.

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