Messa di Pasqua: l’omelia del vescovo Ambrogio

Pasqua 2025Atti 10,34-43; Colossesi 3,1-4; Giovanni 20,1-9 Sorelle e fratelli,Maria di Magdala voleva bene a Gesù Era stata perdonata e lo seguiva. La sua amicizia per Gesùla porta per prima ad andare al sepolcro. Ma ecco, la pietra era stata tolta dal sepolcro e il copro delSignore non c’era più. Corse da Pietro preoccupata e, insieme anche con l’altro discepolo Giovanni,tornarono al sepolcro, ma tale fu la sorpresa e lo sgomento che non capirono che cosa fosseaccaduto. Solo l’altro discepolo, il più giovane, dice il Vangelo, “vide e credette”. Questaannotazione del Vangelo ci dice che proprio quel giovane discepolo aveva visto in quei segnilasciati nel sepolcro che Gesù era vivo, a differenza di Pietro più anziano e forse troppo sicuro di sé,come appare altrove nei vangeli. Ciò non indica ovviamente una diminuzione del compito dipastore che Gesù affiderà a Pietro, ma forse ci vuole dire che in un giovane c’è a volte più prontezzanel capire e anche nel credere di quanto noi pensiamo abitualmente. Così inizia la fede nel Signorerisorto. Sì, tutti, cari amici, non solo chi viene da una lunga tradizione di fede, ma una donnapeccatrice e un giovane possono aiutarci a riscoprire la forza di vita che viene da quel sepolcro, acapire di nuovo quanto il Signore risorto ci comunica nel tempo in cui siamo, rinnovando così noistessi.Non sempre capiamo tutto. Oggi siamo qui per farci guidare dalla luce del risorto in un mondobuio, dove sembrano vincere la paura, la stanchezza, l’ingiustizia, la violenza della guerra. Chitoglierà via la pietra che nasconde la luce di quell’uomo, Figlio di Dio, che ha donato la vita per noi,rifiutando l’uso della spada, pregando per l’unità e per la pace in un mondo che sembra amarel’opposto? Quella pietra era pesante, come sono pesanti le pietre che nascondono il dolore e le feritedi tanti uomini e donne, resi invisibili dal buio dell’indifferenza, da sguardi ormai distratti, chepassano davanti al dolore e alla morte come se fosse normale o non li riguardasse. Sì, il buio non favedere nessuno, tanto meno il dolore altrui, ma solo se stessi. Quanta indifferenza!Ma quella donna e quei discepoli non si persero d’animo. Corsero per cercare, vedere. E poiqualcuno, un angelo, come racconta Matteo, un giovane, come dice l’evangelista Marco, dueuomini in vesti sfolgoranti, come troviamo in Luca, Gesù stesso, come preferisce raccontareGiovanni, ci parleranno, ci aiuteranno a capire. Siamo qui per questo. Sì, Gesù nostro Signore èrisorto, è l’inizio di un tempo nuovo, in cui la morte non sarà la fine definitiva della vita, perché Dioha fatto risorgere Gesù da morte. Ma noi dobbiamo correre. Certo non tanto con le gambe, perchéqualcuno non ce la farebbe, ma con il cuore. Dobbiamo correre da Gesù, fermarci davanti al dolore di quel sepolcro, e poi ascoltare la parola di Dio, che ci parli del risorto, della nuova vita che iniziacon lui già durante la nostra vita terrena e poi dopo la morte.Allora oggi ci viene chiesto di scegliere come vivere, oppure vogliamo continuare tutto comeprima, o magari come altre Pasque in cui non è cambiato niente o solo poco? L’apostolo Paolo civiene in aiuto. “”Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destradi Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra”. Sorelle e fratelli, abbiamospesso lo sguardo basso, il pensiero rivolto a noi stessi, al nostro interesse, a quanto possiamo fareogni giorno. Certo, questo è comprensibile, direi normale. Anche guardare a se stessi serve pervivere soprattutto in un tempo difficile come questo. Ma non basta per realizzarci, soprattutto nonbasta per essere felici, per vivere bene. Si cammina a testa bassa, magari china sul cellulare, cosìnon si vede nessuno e tutto ci passa accanto senza che ce ne accorgiamo. Gli altri, soprattutto ipoveri, diventano inesistenti; a volte il mondo li considera inutili! Con la testa gli altri diventanopersino un fastidio, perché il tuo sguardo rivolto sempre in basso li rende tali. Ma gli altri esistono,non sono comparse occasionali. Il dolore esiste, la guerra esiste. E, se vuoi vivere bene, deviguardare oltre il basso, al di là dello sguardo sempre chino su di te! Alziamo allora lo sguardoanzitutto verso il Signore, verso la sua parola di vita. Cerchiamo le cose che vengono da lui, chevuole solo il nostro bene, la nostra felicità. Le cose di lassù non sono cose strane o superflue; sonola vita. Le possiamo cercare e trovare a partire da qui, dalle nostre comunità, dalla Parola di Dio edall’Eucaristia; le troviamo nella preghiera, nella cura e nell’amore per gli altri, nell’amorereciproco e nella condivisione della nostra vita. Così potremo fare di Pasqua davvero l’inizio di untempo nuovo. Comunichiamo agli altri, con gioia e semplicità, con le parole e l’esempio, questosguardo che vede oltre se stessi, questo tesoro di vita perché tutti vedano attraverso di noi losguardo e l’amore di Gesù risorto, che ci tende la mano per camminare con noi. E preghiamo perchéil saluto che il Signore risorto rivolse ai discepoli “pace a voi” sia per tutti, soprattutto per i paesi inguerra, l’inizio di un tempo di pace.

Messa Crismale: l’omelia del vescovo Ambrogio

Cari sacerdoti e diaconi, cari fratelli e sorelle, ci introduciamo con questa celebrazione al Triduo Santo, perché gli oli che saranno benedetti siano fonte di grazia e di unità nel popolo santo di Dio per tutti coloro che li riceveranno. Mai come in questa celebrazione sentiamo la forza e il bisogno dell’unità attorno al Signore Gesù, che si avvia verso la Passione, morte e resurrezione, cuore della nostra vita di fede. Il mondo ci abitua a ben altro: divisioni, arroganza, protagonismi, tribalismi, non fanno che umiliare il sogno di Dio dell’unità di tutto il genere umano, fino a rendere difficile una convivenza fraterna e solidale, che sembra davvero impossibile. Ma il nostro essere qui, sorelle e fratelli, mostra che questo è possibile, perché Dio lo rende possibile con la sua grazia, con un amore che non smette mai di parlarci e di aiutarci a vivere. Il Signore conosce il nostro peccato, le nostre fragilità, le nostre incertezze e paure. Eppure, continua a convocarci perché ha fiducia in noi.    Per questo ci raduna attorno alla Parola di vita eterna, che si fa cibo per noi. Per questo ha consacrato diaconi, presbiteri e vescovi, perché possano essere portatori di un “lieto annuncio”, quel vangelo che si prende cura dei poveri, che soccorre e salva, che proclama la grazia di Dio per l’umanità. Noi siamo indegnamente rivestiti di questa grazia che, attraverso la proclamazione della Parola e i sacramenti della Chiesa, può scendere in abbondanza nella vita delle donne e degli uomini e fecondarla, farla germogliare di frutti di bene. Forse oggi è facile anche per noi perderci d’animo, cedere alle scorciatoie e in fondo accontentarci di ciò che si riesce a fare. Il pessimismo non risparmia il nostro modo di vivere e di guidare le nostre comunità, che comunque sono sempre ricche di donne e uomini che condividono con noi il desiderio di comunicare agli altri, a partire dai piccoli e dai giovani, la bellezza della vita cristiana. Come già ho detto più volte, nel cammino sinodale, ma anche prima che iniziasse per tutta la Chiesa, tanti si sono impegnati. Siamo grati a tutti loro. Non ci nascondiamo le fatiche. Il mondo cambia velocemente e l’abitudine all’isolamento, che ha sempre tante cause personali e collettive, rende difficile incontrarsi, dialogare, ascoltarsi e parlarsi.    La vita cristiana, sorelle e fratelli, è vita di popolo, sempre. Soprattutto nei momenti difficili, in questo tempo segnato da tante sofferenze, delusioni, solitudini, siamo chiamati a riscoprire la gioia e la forza di essere popolo, comunità di donne e uomini, di cui i presbiteri e i diaconi sono al servizio per il ministero ricevuto dal Signore Gesù nella Chiesa. Siamo coloro che hanno ricevuto di più, quindi siamo chiamati ad essere generosi nel dare, amabili nelle relazioni, inclusivi, forti della grazia di Dio, che dobbiamo seminare largamente perché largamente abbiamo ricevuto. L’autoritarismo e l’individualismo non aiutano l’autorevolezza di chi come un padre ascolta e parla con amore ai suoi figli. Così è il Signore Iddio con noi. Così dovremmo essere noi con tutti coloro che il Signore ci ha affidato e che abitano la terra in cui viviamo, anche se non frequentano le nostre comunità abitualmente.       Il profeta, le cui parole abbiamo ascoltato, si trovava davanti una città e una terra impoverite e rassegnate. La Parola di Dio lo aiutò a scoprire la chiamata ad essere profeta per tutta quella gente che aspettava parole di speranza, un tempo di grazia che rispondesse alla delusione e al pessimismo e indicasse una via per il futuro. Oggi il Signore ci chiama ad essere profeti, ad accogliere la sua parola rileggendola nel tempo in cui siamo, per aiutare a trovare la strada del bene, a ricostruire una comunità di popolo, dove tutti possano trovare accoglienza e condivisione. La profezia è visione, che diventa pensiero e aiuta ad assumersi la speranza di un nuovo inizio. Sorelle e fratelli, non basta ripetere ciò che abbiamo ricevuto dalla storia solo come una consuetudine, anche se tutto è prezioso e nulla va smarrito. Il Signore soffia nella polvere che siamo il suo alito di vita, perché ci assumiamo la responsabilità di rinnovare il mondo cominciando dal cambiamento di noi stessi e delle nostre comunità. Il mondo ha bisogno di profeti che facciano germogliare il deserto di bene, di amore, di pace!     Allora, cari amici, ricostruiamo un tessuto di fraternità nel trama sfilacciata della vita, dove sembrano dominare tanti io, poco inclini a formare un noi. Questa terra, che ci vede ministri e servi assieme a tanta gente, attende parole di speranza. Le attendono i poveri e gli esclusi, come i giovani disorientati e gli anziani sempre più soli. Le aspettano i migranti e le famiglie in difficoltà. Il Signore riempia il nostro animo della sua grazia. Il suo amore faccia traboccare i nostri cuori di frutti buoni, che possano come un seme irrigare e fecondare i cuori di tutti, perché il mondo sia meno ingiusto, più pacifico e umano. Ci affidiamo al Signore, camminando con lui in questi giorni di Passione, perché Lui, che ha portato il peccato del mondo, ci faccia partecipi della vita che il Padre gli ha donato. E non dimentichiamo mai di pregare per chi soffre per la guerra e la violenza, come l’Ucraina, la Terra Santa, il Sudan, e molti altri luoghi. Signore: fa che il mondo finalmente cerchi e percorra la via della pace e della fraternità! E rende tutti noi responsabili di costruire questa via con la preghiera e la vita di ogni giorno. Abbazia di Casamari, mercoledì 16 aprile 2025

50° di sacerdozio del vescovo Ambrogio: il saluto della diocesi di Anagni-Alatri

Caro Vescovo Ambrogio, ci uniamo al coro dei tanti che ringraziano il Signore per il dono del Suo sacerdozio ricevuto 50 anni fa. E’ stato questo l’inizio di tante grazie che il Signore le ha concesso nel suo ministero di Pastore. Desideriamo sfogliare questi anni con la memoria riconoscente che Dio ha operato in Lei a favore di tanti uomini e donne e a nostro favore, con l’apertura al futuro in cui ci attende il Signore con amore e tenerezza, con la responsabilità attenta allo Spirito e alla novità che la fantasia dello Spirito semina nel nostro presente. Nel saluto che Lei ha fatto alla nostra Diocesi del 10 novembre 2022 ebbe a dire: «Sarò in mezzo a voi come un Pastore ma anche come un amico. Continueremo a costruire insieme, in questo tempo così difficile, una Chiesa che risponda ai problemi, alle domande e al bisogno di salvezza di tanti uomini e donne del nostro mondo, comunicando il Vangelo che è una buona notizia e prendendoci cura gli uni degli altri. Sono qui per essere al servizio dell’unità e dell’amore reciproco, per vivere insieme la gioia di essere popolo, sorelle e fratelli tra noi e sempre con i poveri e gli ultimi». Un programma realizzato pienamente con tanta disponibilità, trovando sempre il tempo per stare in mezzo a noi e a tutte le comunità parrocchiali incontrate. Insieme a tutto il presbiterio Le dico grazie per l’affetto, il rispetto, l’attenzione, la stima che ha in tutti noi sacerdoti, nei diaconi, nei religiosi e religiose, e verso l’intera comunità e per il cammino fatto con prudenza e saggezza insieme con la Chiesa sorella di Frosinone-Veroli-Ferentino. Certamente per tutti noi sacerdoti questa festa è un’occasione per ravvivare l’entusiasmo del nostro servizio e la passione per vivere e trasmettere la gioia del Vangelo. Ci uniamo al Suo Te Deum di gratitudine a Dio, alla sua famiglia, alle persone che l’hanno accompagnata, implorando per Lei le più elette benedizioni nel continuo del Suo ministero di Pastore. Auguri vivissimi Monsignor Alberto Ponzi Vicario generale della diocesi di Anagni-Alatri

L’omelia del vescovo Ambrogio per il 50° di ordinazione sacerdotale

Fratelli e sorelle, “è bello e dà gioia che i fratelli siano insieme”, recita il Salmo. Sì, è bello per me  essere qui con voi a rendere grazie al Signore per i cinquant’anni dalla mia ordinazione sacerdotale. Grazie per la vostra presenza così numerosa e fraterna. Saluto il vescovo Giorgio, arcivescovo di Foggia, che è stato con me i primi anni a Frosinone, il padre Abate Loreto e la comunità monastica di Casamari, che ci ospita sempre con benevolenza. Saluto voi, cari sacerdoti, diaconi, consacrate e consacrati, e tutti voi, sorelle e fratelli, parte preziosa del popolo di Dio delle Diocesi che il papa mi ha affidato. Mi sento davvero parte di questo popolo di donne e uomini che nella loro vita e nei loro diversi impegni nelle nostre comunità e associazioni laicali desiderano costruire un mondo in cui si possa vivere insieme, con gli altri e per gli altri, con la preghiera, l’amicizia, la cura, soprattutto dei poveri e dei fragili, ma anche degli anziani e dei giovani. Ho visto seminare in questi anni tanto bene, tanto amore, tanta gratuità nel servizio, anche nei momenti difficili come gli anni del Covid o in questo tempo, in cui crescono le difficoltà nella vita quotidiana e anche la solitudine. Vi ringrazio di cuore. Ringrazio il prefetto e le autorità civili e militari, che sono qui, con cui abbiamo sempre cercato di contribuire insieme al bene di tutti. Come Chiesa non ci siamo mai tirati indietro nel contribuire alla crescita umana e sociale di questa terra, benedetta da Dio per le sue bellezze, ma anche tanto deturpata dall’affarismo e dagli opportunismi, a volte senza visione e con un pensiero corto. Premettetemi infine di salutare alcuni amici della Comunità di Sant’Egidio di Roma, che fin da diacono e poi da sacerdote mi ha aiutato a vivere la Parola di Dio a partire dalle periferie della città. Grazie di essere qui.     La Parola di Dio ci guida sempre a riscoprire il senso della grazia e della benevolenza di Dio, che tutto può cambiare anche nei tempi difficili, come era quello di Israele esiliato a cui si rivolge il profeta: “Non pensate più alle cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia; non ve ne accorgete?” Sorelle e fratelli, a volte siamo ancorati al passato e tristi nel presente, un po’ senza futuro. La Parola di Dio ci risveglia a una speranza vera, umana, gioiosa, vivibile. Se ascolti il Signore che ti parla, tutto può cambiare, perché è anzitutto Dio che ti cambia, ti rinnova, ti offre una nuova strada su cui camminare, quella del bene, della giustizia, della pace, della cura degli altri, di cui il mondo ha estremamente bisogno in questo tempo di tante guerre, di troppo odio, rivalità, di io che camminano senza gli altri, con la testa bassa, oppure pronti a giudicare e a condannare, tanto per sentirsi migliori.    Gesù sa quanto è facile vivere per se stessi, ma conosce anche la nostra fragilità, il nostro peccato, il bisogno di amore e di salvezza. Lo mostra a quella donna adultera, che gli portano davanti per essere giudicata e condannata, come voleva la legge. Per due volte, di fronte alle parole degli accusatori, Gesù si china e scrive per terra. Sì, Gesù si abbassa, si umilia, si assume il peso del peccato del mondo, per poi alzarsi e indicare la via della vita e della resurrezione, del perdono di Dio che salva da tutti i peccati e dalla morte definitiva. Così, in quel gesto di scrivere per terra ci sono i nomi di quando ci allontaniamo dal Signore, perché solo il perdono di Dio farà scrivere quei nomi nel cielo per vivere sempre con lui. Il Signore non è venuto infatti per condannare, ma perché tutti, ascoltando la sua parola, possano vivere la gioia del Vangelo, la bellezza di una fraternità che rende popolo e ci fa vivere nel bene, nell’amore per tutti, soprattutto per i poveri e gli ultimi.     Ho gustato la gioia di essere popolo con voi in tutti questi anni, soprattutto da quando abbiamo accolto l’invito di papa Francesco all’assemblea della Chiesa italiana a Firenze nel 2015, che ha chiesto di riflettere sulla Evangelii gaudium. Da allora lo abbiamo fatto senza interruzione, aprendo le porta delle nostre comunità a tutti, offrendo a molti, anche a chi non frequentava abitualmente la Chiesa, la possibilità di ascoltarsi, riflettere insieme, condividere il proprio tempo con chi aveva bisogno. Grazie a tutti quelli che si sono impegnati e hanno tenuto vivo fino ad oggi questo modo di essere Chiesa, un “noi” di persone che, nella ricchezza della loro differenza, camminano insieme e si aiutano, rendendo la casa di Dio non un élite di prescelti che se la giocano tra loro sentendosi migliori e giudicando gli altri, ma un luogo dove tutti possono trovare accoglienza e amicizia, cura e condivisione, e soprattutto possono trovare il Signore e gustare la speranza di vita e di bene della sua Parola e del pane di vita eterna nella Santa Liturgia e nei sacramenti della Chiesa.    Nel Giubileo corriamo allora come pellegrini di speranza, come ci suggerisce l’Apostolo Paolo. Nessuno, tanto meno io anche dopo 50 anni di sacerdozio, è arrivato alla perfezione, cioè a una vita ripiena della presenza di Dio. Ma tutti corriamo perché il Vangelo sia luce in questo tempo buio, pieno di paure e di solitudini, di pessimismo e di tristezza! Sì, non c’è tempo da perdere attorno a se stessi. Il mondo ha bisogno di questa speranza che viene dalla luce di Dio, che irradia perdono e amore, fraternità e pace. Ne hanno bisogno in Ucraina, in Terra Santa, e ovunque la guerra continua a umiliare e uccidere. Ne hanno bisogno anche le donne e gli uomini di questa terra, che devono trovare in noi la luce e lo sguardo amorevole e accogliente di Dio, che aiuta e salva. Affidiamoci l’un l’altro all’amore del Padre, perché camminando insieme con

Veglia di preghiera per i missionari martiri

Venerdì 28 marzo il vescovo Ambrogio Spreafico presiederà l’annuale veglia di preghiera per la Giornata dei missionari martiri, promossa dalle diocesi di Anagni-Alatri e di Frosinone-Veroli-Ferentino. Questo momento di preghiera si terrà nel Santuario della Madonna della Neve a Frosinone, con inizio alle 20.45. La Giornata è giunta alla sua edizione numero e quest’anno ha come tema “Andate e invitate”, in riferimento al brano del Vangelo di Matteo che ha accompagnato tutto l’ultimo ottobre missionario. Nella parabola raccontata da Gesù, questo rappresenta un comando che il re dà ai suoi servi nel momento in cui gli invitati non si presentano al banchetto e quindi decide di invitare tutti, anche coloro che stanno ai crocicchi delle strade. In particolare, la sottolineatura dei due verbi “andate” e “invitate” ci ricorda che, sull’esempio dei missionari, come ha scritto papa Francesco nel messaggio per la Giornata missionaria mondiale del 2024 «la missione è un andare instancabile verso tutta l’umanità per invitarla all’incontro e alla comunione con Dio. Instancabile! Dio, grande nell’amore e ricco di misericordia, è sempre in uscita verso ogni uomo per chiamarlo alla felicità del suo Regno, malgrado l’indifferenza o il rifiuto». In questo giorni, fa sapere Missio, l’organismo pastorale della Cei che organizza la Giornata, «vogliamo ricordare in particolare tutte le missionarie e i missionari che hanno donato la propria vita nell’annuncio del Vangelo e nel servizio ai prossimi. In questa giornata di preghiera e di solidarietà, la loro testimonianza di vita vissuta alla luce della Parola incarnata nella quotidianità delle genti con cui l’hanno condivisa, ci richiama a vivere la nostra fede con autenticità. L’esempio dei tanti missionari, testimoni di una vita piena, ci incoraggia nel rinnovare il nostro impegno nell’aiuto ai più bisognosi, nella lotta alle ingiustizie e nel prendere posizione davanti a atti di prepotenza, ricordandoci che anche nelle situazioni umane più drammatiche può accendersi una luce di Speranza. Questo giorno in cui tutta la comunità ricorda i propri missionari caduti coincide con il giorno dell’uccisione di san Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, avvenuta nel 1980. Il suo impegno accanto al popolo salvadoregno in lotta contro un regime indifferente alle condizioni dei più deboli e dei lavoratori e la sua figura così vicina e attenta agli ultimi, lo resero un punto di riferimento».

Legalità e bene comune: tanti gli spunti dal confronto promosso da Azione Cattolica

Si è tenuto nel pomeriggio di lunedì 10 marzo, presso il Centro pastorale di Fiuggi, il convegno promosso dall’Azione Cattolica diocesana sul tema “Legalità e bene comune”, in cammino sulla strada tracciata dalla 50° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani svoltasi a Trieste dal 3 al 7 luglio 2024. La presidente dell’Azione Cattolica di Anagni-Alatri, Concetta Coppotelli, ha introdotto il convegno sottolineando il significato dell’iniziativa, ovvero un segno tangibile di quanto sia più importante avviare dei processi che possano portare con i giusti tempi ad un cambiamento, piuttosto che occupare spazi, un atteggiamento quest’ultimo dominante nell’agire politico contemporaneo.  La politica non può essere relegata a una dimensione teorica e distante, ma deve essere vissuta come un impegno quotidiano per migliorare la società. La formazione politica non deve essere vista come un privilegio per pochi, ma come una necessità per tutti coloro che desiderano contribuire al bene comune, soprattutto per i giovani. La presidente di Ac ha quindi citato il beato Giuseppe Toniolo e il suo pensiero sulla democrazia, ricordando quanto sia necessario tornare ad abitare nuovi luoghi, dove fede e impegno pubblico possano dialogare senza contrapposizioni, dando forma concreta alla costruzione del bene comune. Ha voluto ringraziare i tanti partecipanti che gremivano la sala, il vescovo Ambrogio Spreafico, le autorità politiche e militari presenti e i relatori che hanno accolto l’invito: il vescovo di Verona Domenico Pompili e il dottor Roberto Maria Sparagna, magistrato della Direzione Nazionale Antimafia. A moderare il convegno l’avvocato Daniele Bruno, della Fondazione Giovanni Paolo II per la Gioventù, Ente strumentale del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, il quale ha avviato il confronto ricordando i temi centrali affrontati a Trieste: lo stato attuale della democrazia e la partecipazione attiva dei cittadini colpita dal crescente fenomeno dell’astensionismo elettorale.  Proprio a questo proposito ha spiegato come il Magistero della Chiesa non vuole esercitare un potere politico né eliminare la libertà d’opinione dei cattolici su questioni contingenti, ma istruire e illuminare la coscienza dei fedeli, soprattutto di quanti si dedicano all’impegno nella vita politica, perché il loro agire sia sempre al servizio della promozione integrale della persona e del bene comune. Il vescovo Ambrogio Spreafico sul tema della partecipazione e del contributo dei cristiani alla vita politica, ha voluto ricordare come i cristiani rappresentano un “noi” nel trionfo attuale dell’”io” e come basterebbe recuperare pienamente questa consapevolezza per capovolgere la realtà del nostro tempo; da questo stesso principio deriva infatti il rispetto delle regole che è direttamente collegato a volere il bene dell’altro. «Noi siamo un noi – ha detto tra l’altro Spreafico – e il ritrovarci insieme è la prima risposta che possiamo dare al bisogno di partecipazione; se non lo fai, vuol dire che non ti interessa il bene dell’altro. E la partecipazione nasce da una cultura, da un modo di pensare. E’ necessario coltivare e far crescere la cultura del “noi”, anche nelle nostre comunità». Il magistrato Roberto Sparagna si è espresso sul tema della legalità, tema inflazionato, ma che riguarda tutti e non solo gli operatori di giustizia. Legalità vuol dire osservare la legislazione vigente. La parola “legale” viene da legge, qualcosa che lega ovvero vincola e l’aspetto positivo di questa accezione è che la legalità presuppone l’unione con gli altri, “dove c’è società umana lì troverai il diritto, la legalità”. Citando Aristotele ha ricordato come “l’uomo è un animale sociale che comunica con gli altri”, ma l’uomo di oggi ha perso la sua qualità di essere uomo sociale parlante. I concetti di società, legalità e uomo sono fortemente connessi. La legalità ha bisogno di regole a diverse scale sociali che, se non sono rispettate, comportano per i trasgressori una sorta di estromissione dalla comunità: dalla famiglia allo Stato, fino ad arrivare alle organizzazioni sovranazionali. Le leggi per essere giuste devono rispettare dei principi fondanti e questi valori li ritroviamo nella Costituzione italiana (uomo come fine e non come mezzo, diritti e doveri della persona,  il diritto di voto per l’esistenza stessa della nostra comunità, il lavoro e la dignità che ne deriva, il principio di uguaglianza ecc.). La legge è paragonabile al vincolo di una fune che tiene unita tutta una comunità, ma occorre nominare chi la faccia rispettare e se qualcuno se ne approfitta il legame si scioglie e la fune viene tagliata. Sparagna ha poi raccontato la sua esperienza come magistrato nell’Operazione Minotauro, condotta contro la ‘ndrangheta in Piemonte, e come uno dei maggiori indagati abbia deciso di pentirsi e diventare un collaboratore di giustizia dopo averlo conosciuto. Un episodio fondamentale che attesta in modo indelebile l’importanza di rispettare la dignità delle persone con le quali abbiamo a che fare anche se hanno commesso dei reati gravi, perché la giustizia può ricucire il legame sociale reciso dalla trasgressione delle regole e raddrizzare le coscienze deviate.  Ha poi testimoniato l’impatto nella sua vita della scelta di seguire la legalità ovvero essere costretto a vivere sotto scorta con tante limitazioni per la sua vita privata. Il vescovo di Verona Domenico Pompili ha parlato del rapporto tra giustizia e carità individuando nella figura di Gesù la differenza tra la giustizia terrena e la giustizia di Dio. La carità porta a compimento la giustizia e il Magistero della chiesa lo ricorda ai cattolici già nella Rerum Novarum di Leone XIII fino a Papa Francesco in Fratelli Tutti, sottolineando la connessione tra legalità e fratellanza. Dai tempi della Rivoluzione francese libertà, uguaglianza e fraternità sono state adoperate in modo non unitario e una ha finito di prevalere sull’altra generando ideologie estremiste e i totalitarismi. Ha ricordato come il Vangelo può trasformare la realtà e come oggi manchi nella società un pensiero critico che va assolutamente recuperato sull’esempio del cristianesimo sociale dell’800 a Verona, quando sacerdoti e religiosi istituirono scuole, luoghi di cura e banche di credito cooperativo attraverso la loro presenza nei gangli della società del loro tempo e della loro città. Ha criticato l’atteggiamento di chi identifica le vittime con i colpevoli, stigmatizzando la mentalità per cui “i poveri se la sono

Mercoledì delle Ceneri: l’omelia del vescovo Ambrogio

Mercoledì delle Ceneri, 5 marzo 2025, Cattedrale di Anagni Sorelle e fratelli,l’inizio del tempo di Quaresima con il rito delle Ceneri ci sorprende sempre, perché sembra unacontraddizione in un mondo dove si ama la forza, dove si cercano uomini e donne forti cherispondano alle incertezze e alle paure che rendono difficile la vita. Siamo nel tempo della forza,che si impone, che ti abitua a pensare che la vita è vincere, sfruttare, sottomettere ed eliminare glialtri. Non si tratta solo delle guerre, ma anche di un sentire comune e di un modo di vivere, cherendono difficile una convivenza fraterna e amica. “Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai”sono parole singolari, che sembrano un po’ fuori dal mondo. In realtà sono parole che ci aiutano acapire chi siamo e a non averne paura. Siamo uomini e donne fragili, deboli. Basta poco perrenderci incerti, paurosi, preoccupati, ansiosi.Per questo il Signore vorrebbe dirci: non avere paura della tua fragilità. La forza vera, quella chefa vivere e crescere, che rende umani e felici, viene dal mio amore, dalla mia parola, dall’esserefratelli e sorelle, amici. Solo l’amore sconfigge il male e vince persino il nemico. Le ceneri chericeverai sul tuo capo ti ricordano chi sei e insieme la protezione di Dio sulla tua vita. Ma oggi cidice anche, come abbiamo ascoltato dal profeta Gioele: “Ritornate a me con tutto il cuore…ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grandeamore”. Il tempo che iniziamo è un invito alla fiducia e alla speranza. Possiamo trovare forza nelladebolezza nel Signore misericordioso e di grande amore. La sua Parola ci guiderà in questo tempotra le incertezze del tempo e la violenza del mondo per diventare donne e uomini che diffondono ilprofumo dell’amore di Dio con mitezza e umiltà, prendendoci cura gli uni degli altri, soprattutto deipoveri e delle persone più deboli di noi, come ad esempio gli anziani e i malati.Vogliamo essere in questo tempo come quel popolo di cui parla il profeta: “Radunate il popolo,indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti, esca lo sposodalla sua stanza e la sposa dal suo talamo”. Abbiamo bisogno di essere popolo, insieme, piccoli egrandi, giovani e anziani, per custodirci nella nostra fragilità. Quanto conta per un uomo e unadonna sapere di non essere solo, di essere in un popolo, una comunità, avere qualcuno a cui puoirivolgerti, che ti può ascoltare e aiutare. In questo senso siamo protetti e abbiamo la nostra forza e lasaggezza che ci viene da Dio.Per questo il Signore nel Vangelo ci offre le armi necessarie per vivere come suo popolo econdividere la nostra vita senza isolarci e pensare di far da soli, come ci fa credere il mondo conl’inganno delle sue parole e delle sue illusioni. Elemosina, preghiera e digiuno sono le armi che ci daranno forza e ci renderanno capaci di aiutarci e aiutare gli altri, persino al di là di coloro cheincontriamo ogni giorno. Infatti, l’elemosina ci apre alla condivisione e alla gratuità, la preghieratravalica i confini e raggiunge tutti, soprattutto chi soffre per la guerra e l’ingiustizia, il digiuno ciricorda di saper rinunciare a qualcosa di nostro per far spazio al Signore e agli altri. Non siamo soliin questo esercito disarmato di miti e di umili. Siamo nella Chiesa di Cristo, accompagnati dainostri fratelli e sorelle. Siate segno di unità della famiglia umana. Siate segno di amore e dicondivisione, germe di speranza per tutti senza mai escludere nessuno. Nella coscienza dellafragilità della condizione umana, ricordiamo oggi in particolare papa Francesco, perché siasostenuto dall’amore di Dio e possa tornare presto a guidarci con le sue parole di speranza e di pace.Sorelle e fratelli, che in questo tempo possiamo essere anche noi un popolo grande, che saavvicinare tutti alla mensa della Parola di Dio e del Pane di vita eterna, piccoli e grandi. Abbiamobisogno di riscoprire nella liturgia della Domenica il valore e la forza di essere insieme, di gustare lagioia e la bellezza di essere cristiani, amici, sorelle e fratelli.Amen

Preghiera per la pace e la fine di ogni violenza

Lunedì 3 marzo a Fiuggi, con inizio alle 18.30 nella chiesa parrocchiale di San Biagio, si terrà la preghiera – tradizionalmente organizzata in tutto il mondo dalla Comunità di Sant’Egidio – per la pace e la fine di ogni violenza, nel terzo anniversario dell’inizio della guerra in Ucraina. Questo momento di preghiera sarà guidato dal vescovo di Anagni-Alatri, Ambrogio Spreafico.

Rosario per Papa Francesco

La Chiesa di Anagni-Alatri tutta continua a pregare per la salute di Papa Francesco e lo farà anche recitando un Rosario, guidato dal vescovo Ambrogio, lunedì 3 marzo, alle ore 21, nella chiesa di Santa Teresa a Fiuggi.

Preghiera per Papa Francesco

Il vescovo Ambrogio Spreafico guiderà la preghiera per la salute di Papa Francesco, prevista – su iniziativa della Comunità di Sant’Egidio – per mercoledì 26 febbraio, alle ore 20, nella chiesa di San Benedetto a Frosinone alta (piazzale della Prefettura e delle Poste centrali)

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