Le nomine del Vescovo Santo per Cancelliere, Esorcisti e Vicario giudiziale

Sua Eccellenza Mons. Vescovo Santo Marcianò ha nominato: • don Rosario Vitagliano Cancelliere Vescovile, a decorrere dal 1° novembre 2025, confermando don Roberto Martufi Vice Cancelliere Vescovile • don Marcello Coretti e Mons. Bruno Durante Esorcisti Diocesani per Anagni – Alatripadre Ildebrando Di Fulvio – don Luciano Pusceddu – don Roberto Mabilia Esorcisti Diocesani per Frosinone – Veroli Ferentino a decorrere dal 1° novembre 2025 • don Giuseppe Principali Vicario giudiziale delle due diocesi

La prima Lettera Pastorale dell’arcivescovo Santo

«Capii che l’amore è tutto!» è il titolo della prima Lettera Pastorale dell’arcivescovo Santo, indirizzata ai sacerdoti, ai consacrati, ai laici e a tutto il popolo di Dio delle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino. In distribuzione in tutte le parrocchie delle due diocesi.

Marcianò: «Bernadette ci ricorda che la vita è dono». E ai genitori: «Parlate di Dio ai vostri figli»

Per tre giorni, da martedì 28 a giovedì 30 ottobre, le reliquie di Santa Bernadette hanno sostato a Fiuggi, nella chiesa Regina Pacis, esposte alla venerazione di centinaia di fedeli che hanno partecipato ai momenti di preghiera comunitari e personali, organizzati dall’Unitalsi diocesana e dai frati francescani della parrocchia. Nel pomeriggio di mercoledì 29, la celebrazione eucaristica è stata presieduta dall’arcivescovo Santo Marcianò, accolto dal parroco padre Enzo e dai confratelli padre Ercolano e padre Paolino, dal presidente dell’Unitalsi, Paola Pietrobono, dall’ex presidente, Pier Giorgio Ballini, che tanto si è adoperato per questo evento, dal presidente della sezione di Frosinone, Francesco Santoro, dai militari dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, in una chiesa gremita e alla presenza anche di decine di malati assistiti dai volontari Unitalsi, sia della sezione di Anagni-Alatri che di Frosinone, con numerosi bambini dediti al servizio all’altare e con i quali il presule si è intrattenuto scherzosamente prima della Messa, ma anche chiamandoli in causa durante la celebrazione stessa, suscitando un moto di simpatia e di applausi spontanei da parte dei fedeli. Nel corso dell’omelia, monsignor Marcianò ha detto tra l’altro: «E’ un dono poter venerare le reliquie di un santo, così come è un dono la vita. Nessuno di noi può dire di essersela donata, perché la vita è dono, per chi crede in Dio. Bernadette visse in un periodo in cui in Francia imperava il razionalismo, il pensare che solo la ragione può dare soluzione ai problemi dell’uomo. Il razionalismo impediva di andare oltre e in quel tempo era difficile rispondere così come abbiamo fatto noi qui, riconoscendo che la vita è dono di Dio. I credenti, pur usando la ragione – ragione e fede camminano insieme, sono come due sorelle che si prendono per mano – hanno la ragione illuminata che ci aiuta a comprendere che la fede è dono, a dare un senso alla nostra vita. Solo la fede illuminata dalla ragione ci può far comprendere il senso della vita e così possiamo parlare di vita eterna, perché nel cuore di Dio noi siamo da sempre». E Bernadette, ha poi rimarcato il presule, fa esperienza della bellezza di Maria, tanto da desiderare poi di morire, pur di poter rivedere la Madre che le era apparsa; inoltre, incontrando Maria quella piccola pastorella «fa esperienza dell’eterno e dell’eternità. Bernadette fa esperienza di Cristo, ed ecco che il messaggio di Lourdes è “cristologico” perché Bernadette ci indica Maria come colei che ci rimanda a Cristo. Maria è madre nostra; la maternità di Maria consiste nel consegnare a noi figli il suo figlio Gesù, tutto. Ecco perché è mamma: chiamatela mamma, madre», ha esortato monsignor Marcianò. E un altro invito, il vescovo lo ha rivolto ai genitori presenti: «Parlate di Dio ai vostri figli, non parlate loro solo di cellulari, della danza, della scuola, degli sport. Se non parlate voi di Dio, nessuno lo farà; anzi, gli diranno il contrario, li inciteranno a non credere in Dio, perché questa è la cultura che si insinua nella mente, nel cuore, nelle fibre dei giovani di oggi». Dopo la Messa, Marcianò ha abbracciato e salutato uno ad uno i malati presenti. di Igor Traboni

L’omelia del Vescovo Santo, ad Anagni, per la professione di una monaca Clarissa

Questo il testo dell’omelia pronunciata dall’arcivescovo Santo Marcianò alla celebrazione per la professione temporanea di suor Maria Chiara Pacifica, presso la chiesa delle monache Clarisse – Anagni, 3 ottobre 2025 Carissime Sorelle Clarisse, carissima Maria Chiara, è un momento di gioia, è un momento di festa, è un momento di Grazia! Celebrare la solennità di San Francesco con la tua Professione Temporanea è un Dono immenso per te, per la vostra Comunità di Clarisse, per tutta la nostra Diocesi. È un Dono per me che, all’inizio di un nuovo Ministero, posso sentimi accolto – e vi ringrazio molto! – da quella preghiera alla quale mi sono voluto affidare ancor prima di entrare fisicamente in questa nostra terra. L’ho fatto con una Lettera inviata a voi claustrali e a tutti i contemplativi nella Festa della Trasfigurazione del Signore, consegnandovi tre parole tratte dal Vangelo (Lc 9,28b-36): il Volto, la Veste, la Voce. Un Mistero grande la Trasfigurazione! E se qualcuno lo ha vissuto pienamente, venendo a sua volta trasfigurato a immagine di Cristo, è stato proprio San Francesco il quale, scrive il Celano nella Vita Prima, «Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra»; e «proprio perché portava e conservava sempre nel cuore con mirabile amore Gesù Cristo, e questo Crocifisso (1 Cor 2,2), perciò fu insignito gloriosamente più di ogni altro della immagine di Lui»[1]. Chiara seppe vedere questa immagine di Cristo in Francesco e volle seguirne le orme, per andare dietro a Gesù; e tu ti sei incamminata sulle orme di Chiara, attratta dalla santità grazie alla quale Ella, secondo le testimonianze, attraeva già le prime donne con «la fragranza del suo profumo (cfr. Ct 1,3)»[2]. Nella Bolla di riconoscimento, Innocenzo IV definisce così «la forma di vita dell’Ordine delle Sorelle Povere, istituita dal Beato Francesco: osservare il Santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità»[3]. Oggi tu, Maria Chiara, emetti questi primi Voti, per seguire Gesù; li accolgo e, con la Parola di Dio, ti consegno ancora le tre parole: il Volto, la Veste, la Voce. «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita», abbiamo cantato nel Salmo 15 (16) che, sappiamo, è un Salmo Sacerdotale; e lo è anzitutto per il riferimento al «calice». Nel processo di canonizzazione si dice di S. Chiara «Quando stava per ricevere il Corpo del Signore versava prima calde lacrime e, accostandosi quindi con tremore, temeva Colui che si nasconde nel Sacramento non meno che il Sovrano del cielo e della terra»[4], si dice di Santa Chiara. Un amore per l’Eucaristia, il suo, che non è devozioni stico ma carico di affetto, di timore, di passione. È l’amore di chi ha dinanzi un Volto e si commuove nel riceverLo, imparando adadorarLo. Si radica qui, Maria Chiara carissima, il Voto di Castità: nel Volto. Un Volto da amare con tutta te stessa – con il corpo, gli affetti, l’interiorità -; da adorare con dedizione, tempo e tenerezza; un Volto Sacramento di Colui che ti ha rapito il cuore. È interessante che Benedetto XVI veda in questo Salmo la castità del celibato sacerdotale il cui «vero fondamento», dice, «può essere racchiuso solo nella frase: Dominus pars – Tu sei la mia terra. Può essere solo teocentrico. Non può significare il rimanere privi di amore, ma deve significare il lasciarsi prendere dalla passione per Dio, ed imparare poi grazie ad un più intimo stare con Lui a servire pure gli uomini»[5]. Nella vita di clausura, il servizio ha le sue peculiarità. Non è certamente una forma di apostolato attivo ma è comunque un «giogo», che ha il suo peso e, per così dire,vi lega le une alle altre. Un giogo che viene da Dio, nel Vangelo (Mt 11,25-30) Gesù ce lo assicura, e che è «dolce» e «leggero» se sappiamo viverlo nell’obbedienza: «imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita». Fare Voto di Obbedienza, cara Maria Chiara, richiede di ascoltare la Voce di Gesù, che sempre ci riporta alla bellezza dell’umiltà e della fraternità, cuore di ogni servizio. Te lo insegna anche la tua Madre la quale «inverso le Sore sue era umile, benigna et amorevole, et aveva compassione delle inferme; e mentre che essa fu sana, le serviva e lavava a loro li piedi e dava l’acqua alle mani»[6]. Non smettere di ascoltare lei, che si fa Voce dello Sposo della tua anima. E obbedire ti sarà leggero anche nei momenti più duri, come è il giogo di Cristo per i cuori umili e poveri. E infine, ecco la povertà. Quella “Madonna Povertà” che Francesco amava come Sposa. Cosa rappresenta e come raggiungerla? Non basta aver rinunciato a tanti beni, neppure aver rinunciato a tutto, questo lo capisci. Bisogna arrivare a fare l’esperienza di Paolo nella prima Lettura (Gal 6,14-18): «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo». Il Crocifisso: c’è forse un’immagine di Povero più reale, scandalosa, forte? Per vivere la povertà, dice Paolo quasi commentando la vita di Francesco, bisogna che tutto non sia solo “lasciato” ma «crocifisso»; trasformato in un’offerta d’amore fatta da chi, per amore, si offre, si lascia crocifiggere con Lui. È Lui, il Cristo Povero, il motivo vero della povertà: lasciare tutto, crocifiggere il mondo, significa trovare Lui e farti rivestire di Lui. Sì, la Veste che Gesù dona al tuo e al vostro Voto di Povertà, care sorelle, è Lui! E questa povertà, nell’economia della salvezza, potrà rivestire tanti fratelli poveri di pane, di dignità, di pace… poveri di Dio. «Il Crocifisso amato ricambia l’amante e colei che tanto è infiammata d’amore per il mistero della Croce, è per virtù della Croce resa luminosa dà segni e miracoli»[7], si diceva

La Lettera dell’Arcivescovo ai monasteri

“MENTRE GESÙ PREGAVA…” LETTERA ALLE SORELLE E AI FRATELLI DEDICATI ALLA VITA CONTEMPLATIVA DELLE DIOCESI DI FROSINONE-VEROLI-FERENTINO E ANAGNI-ALATRI In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto (Lc 9,28b-36). Carissime sorelle, carissimi fratelli, nel Messaggio inviato nel giorno in cui è stata annunciata la Nomina del Papa a vostro Pastore, mi sono rivolto alle nostre Diocesi come a una «terra impregnata… della preghiera che abita in particolare i monasteri». Da subito ho portato nel cuore della mia preghiera tutti voi chiamati alla vita monastica, claustrale, eremitica; ora desidero affidare con forza alla vostra preghiera il tempo che ci separa dall’inizio del mio ministero tra voi e tutto il cammino che faremo assieme, specie i primi passi. Lo faccio in questa bella Festa consegnandovi, con il Vangelo della Trasfigurazione del Signore che leggeremo quest’anno  (Lc 9,28b-36), tre parole: il Volto, la Veste, la Voce. … il suo volto cambiò d’aspetto Sul Tabor, gli apostoli vedono cambiare il Volto di Cristo, quando Egli entra nel Mistero della relazione intima con il Padre. E a ciascuno di voi, la cui vita è dedicata alla contemplazione del Volto del Signore, in qualche modo viene schiuso questo Mistero. È un Volto che si rivela nella preghiera personale, dove sperimentate pure un cambiamento del vostro volto, una vera e propria trasfigurazione. Ogni vita consacrata è prima di tutto una storia d’amore tra Dio e noi; ma a voi l’amore di Gesù è stato rivelato quale Bellezza capace di trasformarvi con la forza dell’interiorità, con il dimorare a lungo e fedelmente nella relazione con Lui; curatela sempre questa relazione, continuando a vivere alla Sua Presenza e della Sua Presenza. Questo Volto rifulge anche nella Liturgia, dove il Signore è presente come “il Tu” al quale dare lode e benedizione e la cui Grazia trasfigura i cuori, liberandoli dal male; sono un dono le vostre Liturgie, Tabor che fa intuire al mondo la Luce vera, capace di trasfigurare ogni volto e ogni amore. E il Volto di Cristo si riflette nel volto degli altri: i fratelli della comunità da amare con gioia, i volti di quanti accogliete e cercate di conoscere. Aiutate anche me a farlo! A conoscere meglio i volti e i cuori di coloro che il Signore mi affida. Non solo una conoscenza concreta, di fatti e storie, ma una conoscenza interiore, di un volto che si vuole e si può trasfigurare. Non lo dimenticate: la vostra, la nostra preghiera può restituire un volto all’uomo di oggi; può far risplendere il Volto della nostra Chiesa, quale Sposa che sta davanti a Lui e, come dal Sole, viene continuamente rivestita di Luce. … e la sua veste divenne candida e sfolgorante La Luce del Tabor si riflette straordinariamente nella veste candida di Gesù. L’immagine ci riporta alla veste che Dio mette addosso all’uomo nel Giardino, dopo il peccato. Quanto è necessario oggi tornare alla verità della Creazione, deturpata da ideologie e menzogna, da una scristianizzazione e un secolarismo che lasciano l’uomo solo e “nudo”! E quanto è importante farlo non con proclami ma con la delicatezza della contemplazione: della vostra contemplazione! Il Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi, di cui celebriamo gli 800 anni, offre una chiave di tale contemplazione; e tante altre potremmo trovarle nelle vostre Regole e tradizioni monastiche, eremitiche, claustrali. Come la tunica stesa su Adamo ed Eva copre la nudità, ovvero una verità che, anche se rifiutata, rimane come purezza luminosa di ciò che esce dalle Mani di Dio, così la vostra preghiera può essere una veste per custodire la verità di ogni persona, Sua creatura e Sua immagine. E la veste ci fa pensare pure alla tunica di Gesù, giocata a sorte ma mantenuta intatta nella Passione, simbolo della Chiesa e della sua unità. Custodire l’unità nella nostra Chiesa! È ciò che mi sta più a cure e che affido alla vostra preghiera. Unità tra vescovo e preti; di preti e consacrati tra loro e con il popolo di Dio; unità tra le due Diocesi. La vostra vita sia una fiduciosa intercessione per questo, anche quando sperimentate la tribolazione, la crisi; e sia intercessione e speranza per chi soffre. La tunica di Gesù, in realtà, sarà sostituita dalle bende del Sepolcro e quelle stesse bende saranno la prima testimonianza di Risurrezione; le scoprirà proprio Giovanni, Icona della vita contemplativa: l’apostolo che sa vedere ciò che altri non vedono, o non vedono ancora, e sa ascoltare ciò che altri faticano a sentire, perché storditi da frastuoni inutili o impauriti dalle voci dei potenti del mondo. … e dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!» Nella nube del Tabor i discepoli hanno paura; ed è lì che si sente la Voce del Padre che rivela il Figlio, Sua Parola vivente. La paura è la principale malattia dell’uomo moderno, in un mondo in cui troppo spesso i frastuoni delle guerre e le urla dei presuntuosi annientano le grida dei poveri. Ma Dio è lì! Non si sottrae al grido dei poveri, degli

Prima celebrazione ad Alatri: l’omelia del Vescovo Santo

Omelia alla prima Celebrazione nella Concattedrale di AlatriDomenica 28 settembre 2025 Carissimi fratelli e sorelle, giungo a questa Concattedrale dopo aver percorso la strada sul dorso della mula; una scelta e un’esperienza alla quale ho dato un profondo significato.L’ho fatto, certamente, per rispettare le tradizioni e la storia bellissima di questa terra e di questo popolo che il Signore mi affida. Le mura dell’Acropoli, le Chiese, le torri, le cime dei monti… il nome stesso di Alatri che pare richiami lo stemma cittadino: Torre alata o Alata Turris, da cui Alatris. Quale che sia il suo significato, mi piace pensare che la città porti nel suo nome le “ali” e che, così, ci rimandi verso l’“Alto”. Mi sembra una chiamata per la nostra Chiesa a “volare”, a testimoniare un respiro più grande, più “alto”.È il respiro del Trascendente, che arriva a innestarsi nelle nostre tradizioni, attraverso il linguaggiodella «pietà popolare». Espressione, questa, che San Paolo VI ha introdotto nell’Enciclica EvangeliiNuntiandi, considerandola una «pedagogia di evangelizzazione», portatrice dei «valori dei semplicie dei poveri»: la «sete di Dio», la «generosità e il sacrificio»; il senso di «paternità, provvidenza,presenza amorosa» del Signore; e poi «pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco,apertura agli altri, devozione» 1 …Quasi un Programma Pastorale, che ritroviamo nelle parole con cui San Paolo, nella secondaLettura (1Tm 6,11-16), indica a cosa il Vescovo debba tendere: «alla giustizia, alla pietà, alla fede,alla carità, alla pazienza, alla mitezza». È quanto io sono chiamato a perseguire, nella «missioned’insegnare a tutte le genti e di predicare il Vangelo ad ogni creatura» per compiere la quale, comedice il Concilio, «Cristo Signore promise agli apostoli – e ai Vescovi loro successori – lo SpiritoSanto e il giorno di Pentecoste lo mandò dal cielo, perché con la sua forza essi gli fossero testimonifino alla estremità della terra, davanti alle nazioni e ai popoli e ai re» 2 . Ma tutto ciò riguarda purevoi, popolo a me affidato: il dono dello Spirito è per evangelizzare il mondo, missione checoinvolge l’intera comunità – sacerdoti, consacrati, laici – in unità, collaborazione ecompartecipazione.E qui c’è la gioia del popolo e del Vescovo, come recita la bella Orazione che la Liturgia ci fapregare nella Festa di San Gregorio Magno: «Signore, dona il tuo spirito di sapienza a coloro chehai posto maestri e guide nella Chiesa, perché il progresso dei fedeli sia gioia eterna dei pastori». Sì,i doni del Vescovo sono per il progresso nella fede di tutti. Ecco la gioia! Ecco, per così dire, le“altezze” a cui siamo proiettati! Ma, chiediamoci, come arrivarci?Il Vangelo (Lc 16,19-31) oggi descrive un contrasto che richiama le Beatitudini e la prima Lettura( Am 6,1a.4-7 ): «Beati i poveri… guai ai ricchi…».C’è da una parte un uomo avvolto dalla ricchezza, che non solo gode dei vestiti, dei cibi, ma lo fa inmodo esagerato, in una sovrabbondanza di lusso che oscura la pietà e la carità. Dall’altra parte c’èun uomo immerso in una povertà esagerata, sovrabbondante; è addirittura leccato dai cani, ovveroimmondo.È un contrasto reale, persino nella nostra città; e noi siamo chiamati a denunciarlo, a individuare edare voce allo scandalo delle povertà più esagerate e sproporzionate, contrastanti con eccessi diricchezza, successo, potere. Così si costruisce la giustizia, il bene comune; si rispetta la dignità e la vita umana, si edifica la pace… E questa è l’“altezza” verso cui desideriamo tendere insieme, Chiesa e società!È interessante notare che nel Vangelo il povero ha un nome: Lazzaro, forma greca di Eliezer: «ilmio Dio aiuta». Il ricco invece non ha nome, lo ha smarrito: così, non capisce la sua umanità né ilsenso della vita.Cari amici, dobbiamo dare un nome non solo alle povertà ma ai poveri, ai nostri poveri! Che bellose riuscissimo a conoscerli, ad ascoltarne i bisogni, le storie, i ricordi… Consegnandoci questaParola, Dio ci affida la missione di chiamare per nome i nostri poveri, gli ultimi, i bimbi non nati, imalati, i morenti; e poi «gli oppressi, gli affamati, i prigionieri, i ciechi, chi è caduto, i giusti, iforestieri, l’orfano e la vedova» come esorta il Salmo 145, per ricordare a loro, e a noi, che ognicreatura umana è unica e irripetibile, preziosa agli occhi di Dio: la sua vita e la sua dignità sonosacre e inviolabili!Ma il Signore ci chiede di accompagnare pure i ricchi, i potenti, perché ricordino che anch’essihanno un nome: vengono dal Padre e condividono il destino dei fratelli. La lotta contro ogniingiustizia, violenza, abuso, guerra, per la Chiesa si unisce all’impegno nella formazione,l’educazione, la cultura.Tornando alla Parabola evangelica, dopo la morte il povero è nel seno di Abramo, immagine cherichiama l’amore; il ricco è negli «inferi» che, ha detto Papa Leone, «sono non tanto un luogo,quanto una condizione esistenziale: quella condizione in cui la vita è depotenziata e regnano ildolore, la solitudine, la colpa e la separazione da Dio e dagli altri». Il ricco era solo nel godere, oraè solo nel tormento; Lazzaro, invece, non è solo perché è in relazione con Dio, fin dal suo stessonome. Ecco la “beatitudine” della povertà, ecco il “guai” della ricchezza! E non si tratta di premioo punizione ma di una trasformazione: i beni terreni, cioè, si trasformano in tormenti, la povertà inconsolazione. Ora possiamo scegliere, ma arriva un tempo in cui non ci si può «ravvedere», comeper il ricco del Vangelo; e il greco metanoéin, usato da Luca, richiama la metànoia, la conversionesuscitata dall’ascolto della Parola di Dio.Cari amici, assieme all’ascolto di quello che Papa Francesco chiamava il grido dei poveri e dellaterra, è tempo di ascoltare la Parola di Dio, ciò che Essa dice a me: da qui può iniziare latrasformazione della vita. Noi cercheremo di farlo assieme, per essere comunità che si lasciatrasformare nella carità; ed è un invito che rivolgo a voi credenti e a voi non credenti, a voi checercate e a voi che accompagnate, a voi giovani e a voi adulti… ascoltiamoci, ascoltiamo insieme!È qui il cuore di una Chiesa sinodale, unita, fraterna, seme di unità e pace per la città e il mondointero.Il ricco si accorge di avere

L’omelia dell’arcivescovo Marcianò per l’inizio del ministero pastorale: «Questa è l’ora dell’amore!»

Questo è il testo dell’omelia pronunciata da monsignor Santo Marcianò alla celebrazione per l’inizio del ministero pastorale nella Diocesi di Anagni-AlatriCattedrale di Anagni (FR), domenica 21.09.2025 Carissimi fratelli e sorelle,«Questa è l’ora dell’amore!» Lo esclamava Papa Leone XIV nella Messa di inizio del Ministero Petrino. Parole che desidero faremie, leggendovi una strada tracciata per la Chiesa universale e la nostra Chiesa particolare,profondamente unita a Pietro: terra “dei Papi” che ha pure dato i natali a Leone XIII, del quale ilnostro Pontefice ha voluto prendere il nome. Segni belli, che sembrano illuminare delicatamente ilcammino che oggi iniziamo, unendosi alla Luce splendente della Parola di Dio, lampada per i nostripassi (cfr Salmo 118).«Questa è l’ora dell’amore!».L’«ora» si riferisce al presente, necessariamente orientato verso il futuro, il nuovo che ci attende;ma questa «ora», secondo il significato biblico, non è solo krònos ma kairòs, non è un semplicemomento ma tempo di grazia, pienezza del tempo. L’«amore», così, è novità da accogliere,pienezza da perseguire, grazia da chiedere; ed è tutt’uno con la missione di essere, continua il Papa,«una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato».Sì, è proprio strada tracciata, dentro la quale vedo quasi delinearsi il filo conduttore del nostroProgramma Pastorale: una comunione, un’unità che ci chiama, anche nella complementarietà tra ledue Diocesi, e può essere seme di riconciliazione e pace pure per altri. Le Letture oggi ci aiutano adecifrarla meglio, accostando l’amore ad alcuni significati e declinando alcune polarità.La prima polarità è: amministratore – padrone.Nel Vangelo (Lc 16,1-13) c’è un amministratore e c’è un padrone che gli affida una ricchezza a cuiessere fedele.L’ora dell’amore è l’ora della fedeltà!E la fedeltà è anzitutto fedeltà di Dio. C’è un padrone che ha l’iniziativa; è Qualcuno a cui tutto etutti appartengono, nell’amore e nella libertà. È Lui, il Signore, che oggi ci raduna e ci consegnal’uno all’altro, in un’appartenenza reciproca. Noi ci apparteniamo perché, come nel Vangelo, ilPadrone si fida; affida al servo, a noi, il suo patrimonio.«I singoli vescovi, che sono preposti a Chiese particolari, esercitano il loro pastorale governo soprala porzione del popolo di Dio che è stata loro affidata», dice il Concilio. Sento con forza ecommozione questo affidamento. Sento la gratitudine e la grande responsabilità di avere affidato unpopolo, una terra bellissima, una storia ricca di cultura e arte – quanta bellezza e arte in questaCattedrale! -, ma che porta anche le fatiche e le sofferenze, le ingiustizie da sanare e la pace dacostruire, invocare, sognare… E questo affidamento, Dio lo fa non solo a me ma a tutta la nostracomunità, a tutti i cristiani, soprattutto a voi, carissimi sacerdoti. Ma come rispondere a taleaffidamento?Ecco la seconda polarità: sperperare – amministrare.Il servo malvagio «sperpera» il patrimonio del padrone. Luca usa lo stesso verbo greco(diaschorpìzein) parlando del figlio maggiore della parabola il quale, andato via da casa, aveva«sperperato» (Lc 15,13) i beni lasciati dal padre. «Sperperare» è perdere il valore delle cose;«rendere conto» è entrare nella logica della responsabilità, non solo di qualcosa ma verso qualcuno:ecco l’amore.L’ora dell’amore è l’ora della responsabilità!Nell’attuale cultura consumistica, non si comprende come tutto sia dono da accogliere, custodire,valorizzare; e si finisce per sperperare, dilapidare l’eredità donata dal Padre. Sperperare è«calpestare il povero» «sterminare gli umili del paese», dice la prima Lettura (Am 8,4-7); invece diquesta «amministrazione», di questa “oichonomìa” – è il termine greco del Vangelo – bisognarendere conto!L’ora dell’amore invoca responsabilità verso i poveri, gli ultimi, il creato; addita una concretaeconomia di rispetto, condivisione, solidarietà. Nessuno può essere calpestato: non da economieinique, talora favorite da scelte politiche o internazionali, né dall’iniquità di economie nascostedietro presunti diritti. Non si può accettare l’industria della morte che vìola la terra e sopprime gliesseri umani – uomini donne, bambini… quanti bambini! – con armi o rifiuto, violenze o abusi; maneppure quella che elimina e abbandona vite deboli, malformate, non volute, malate, morenti.Quanto sperpero di persone, quanto sperpero di umanità! Vorrei che le nostre comunità – quellaecclesiale e quella civile – fossero coraggiose e unite nel dire “no”, dicendo un grande “sì”all’umano, dunque a Dio.E qui c’è un’altra polarità: Dio – la ricchezza.Il Padrone è uno, «non possiamo servire a due padroni», afferma Gesù in modo molto chiaro.L’ora dell’amore è l’ora della verità.E «la verità stessa dell’essere-uomo» è «la prima delle sfide più grandi, di fronte alle quali l’umanitàoggi si trova», leggiamo nel Compendio di Dottrina Sociale della Chiesa, un Documento fondativoche desidererei con voi rileggere, meditare, applicare all’oggi. Ricordando a Carpineto RomanoLeone XIII, Benedetto XVI spiegava come «all’interno della realtà storica i cristiani, agendo comesingoli cittadini, o in forma associata, costituiscono una forza benefica e pacifica di cambiamentoprofondo, favorendo lo sviluppo delle potenzialità interne alla realtà stessa. È questa – aggiungeva –la forma di presenza e di azione nel mondo proposta dalla dottrina sociale della Chiesa, che puntasempre alla maturazione delle coscienze quale condizione di valide e durature trasformazioni».Oserei oggi chiamare a raccolta tutta la comunità: i laici, i catechisti con il loro prezioso apporto dievangelizzazione per la nostra Chiesa; gli Organismi di Partecipazione che vanno potenziati evalorizzati; le Associazioni, il mondo della cultura, dell’educazione, dell’arte, i responsabili dellacosa pubblica. E infine i giovani; voi, miei giovani, che saprete stupirci, come avete fatto nelGiubileo, e sarete artefici del mondo che assieme sogniamo. La Chiesa – ancora il Compendio – propone un «umanesimo integrale e solidale… all’altezza del disegno di amore di Dio» . Un programma meraviglioso: vogliamo provare a svolgerlo assieme, comunità ecclesiale e civile?È difficile ma la Parola di Dio ci offre un altro binomio: fedeli in cose di poco conto – fedeli in coseimportanti.Basta iniziare dal poco, con umiltà verso Dio e i fratelli.L’ora dell’amore è l’ora dell’umiltà!Mi piace scorgerla nell’immagine eloquente del Salmo responsoriale (Sal 112 [113]): un Dio che«si china» a «guardare e sollevare» i deboli. Chinarsi è servizio e condivisione della sofferenza,Gesù ce lo ha insegnato portando per amore la Sua Croce e, nella Sua, le nostre. E noi vogliamocontinuare a farlo, con l’opera preziosa di tanti ministri della sofferenza umana. Potremmo tradurretale umiltà in una frase di

Il primo saluto del vescovo Marcianò: «Già amo questa Chiesa con tutto me stesso»

Il saluto dell’Arcivescovo Santo Marcianò (pdf) Ai Presbiteri, ai Diaconi, ai Religiosi e a tutti i fedeli delle Diocesidi Frosinone-Veroli-Ferentino e di Anagni-Alatri «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio»! (Lc 1,46-47) Carissimi fratelli e sorelle, è bello magnificare Dio ed esultare in Lui: come Maria, come Giovanni il Battista nella cui festa ho accolto la Volontà del Signore che, attraverso Papa Leone, mi invia a voi come pastore. Nel grembo di Elisabetta, Giovanni non vede ancora Gesù però Lo riconosce: ecco la gioia! Anch’io, nella gioia, riconosco il Signore che mi chiama a seguirLo, con voi e per voi, e attendo di vederLo in voi, nelle vostre storie, nella storia della nostra terra ricca di bellezza, cultura, tradizioni, arte… impregnata della fede dei padri, della preghiera che abita in particolare i monasteri, dellasperanza che vive in tante opere… terra che ha bisogno di speranza, per estirpare mali che minano il creato e la pacifica convivenza, guarendo i cuori con la tenera forzadell’Amore del Cuore di Cristo. In Lui saluto voi, carissimi Presbiteri, che questo Cuore ha scelto e unisce in Sé come collaboratori del ministero episcopale: grazie per il vostro “sì”, che sostiene e arricchisce il mio. Con voi saluto i seminaristi, grato per il dono grande che è il Seminario, i diaconi permanenti, i religiosi, le religiose e tutti i consacrati i quali attingono dal Cuore del Signore la radicalità dell’appartenenza e la fecondità dell’apostolato. E saluto illaicato, protagonista nell’evangelizzazione: comunità, aggregazioni, associazioni, organismi di partecipazione; e le famiglie, cuore pulsante della Chiesa e della società. Un abbraccio speciale invio ai giovani: voi, che siete il fuoco del Cuore di Gesù, incendiate d’amore questo mondo assetato di Dio, amando e lasciandovi amare da Lui, che colma il bisogno di affetto e dona senso alla vita. Perché la vita è dono meraviglioso: la vita dei nostri bimbi e dei più fragili, da accogliere dal concepimento e proteggere da violenze, sfruttamenti, abusi; dei nostri anziani, tesoro di memoria e maestri d’amore; dei nostri poveri, carcerati, stranieri, che bussano al cuore per farlo aprire con generosità; la vita di malati e sofferenti, preziosa e da sostenere fino all’ultimo respiro. La mia vita è per voi, per tutti! E spero che ogni vita, che è unica, sia sempre più promossa, anche con l’aiuto del mondo delle Istituzioni, della Cultura, della Comunicazione, dell’Arte: saluto con tanta stima voi che, con l’amore del Cuore diCristo, siete chiamati a servire la città dell’uomo, a scrutare la storia, a comunicare la verità, a indicare la bellezza; camminiamo insieme per rendere migliore la terra e scrivere pagine di pace e comunione. Perché la comunione, dono del Cuore di Gesù, è essenza della Chiesa: è sorgente di sinodalità, unità, servizio. È dono che desidero fortemente condividere con voi, accogliendo anche il desiderio di Leone XIV, il quale l’ha invocata fin dal primo giorno. Per tante ragioni la nostra terra è legata ai Papi, non ultimo perché ha dato i natali a Leone XIII; ringraziando infinitamente Dio, ringrazio commosso il Papa per la fiducia con cui mi ha voluto pastore di questa Chiesa, che già amo con tutto me stesso. E ringrazio di cuore Sua Eccellenza Monsignor Ambrogio Spreafico che questa Chiesa ha accompagnato con dedizione, preparazione, amore, aiutandola a crescere nell’unità. Sì, l’unità dei figli e con i figli è la gioia più grande per un padre, per un vescovo! E a noi essa viene consegnata anche nella bellezza di essere due Diocesi in un’unica Chiesa: un’armonia di diversi spalancata sul mondo, come il Cuore di Dio. È lasperanza che, in questo Giubileo, accogliamo insieme, Chiesa della terra e Chiesa del Cielo, con la preghiera dei nostri Santi Patroni. Mentre attendo con gioia di incontrarvi, per intercessione loro e della Vergine Maria, chiedo al Signore di benedire ciascuno di voi e il cammino che inizieremo, con Lui e incontro a Lui, nostra Speranza e nostra Pace! Con tanto affetto, nel Cuore di Cristo, Roma, 1 luglio 2025

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