Cari fratelli nel sacerdozio, sorelle e fratelli,

è sempre un grande dono ritrovarsi insieme nella Settimana Santa per camminare con Gesù sulla via dolorosa, che abbiamo iniziato accompagnandolo nell’ingresso festoso a Gerusalemme. Sono contento di essere con voi ed anche che ci sia il vescovo Lorenzo, che per tanti anni ha condiviso con voi fatiche e gioie dell’essere al servizio di Dio in questo presbiterio. E sarà una grazia cantare ancora una volta la vittoria della vita sulla morte nel giorno della Pasqua. Dovremmo rendere grazie al Signore per questo dono, perché ogni Pasqua è una grazia che si aggiunge alla nostra vita. Le Pasque, almeno in questa vita, non sono eterne. Talvolta si ha un’idea eterna di se stessi, come se la vita in questo mondo non finisse mai. Per questo non si sente l’urgenza della conversione. In fondo si crede di avere sempre tempo e si rimandano quelle scelte che ci renderebbero diversi, più umani, più discepoli. Si passa facilmente da una cosa a un’altra, da un impegno ad uno nuovo, ci si agita e ci si lamenta del troppo da fare, ma a volte poco si sceglie di fermarsi accanto al Signore. Eppure, il Signore desidera stare con noi. Lo leggiamo all’inizio del racconto della Passione del Vangelo di Luca: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi”. Gesù vuole stare con i suoi amici. E noi siamo suoi amici. Siamo il suo popolo, noi insieme ai fratelli e sorelle delle nostre comunità. Quanta tristezza in Gesù nell’orto degli ulivi, quando aveva chiesto ai discepoli di vegliare con lui, ma non ne furono capaci perché presi dal sonno. Eppure, Gesù non li condanna. Ebbe per Pietro uno sguardo di amore, benché l’avesse rinnegato, continuò a chiamare Giuda “amico”, nonostante l’avesse tradito, apparve ai discepoli risorto, anche se lo avevano abbandonato, dicendo “Pace a voi”, rimprovera con affetto Tommaso che arrivava sempre tardi.

Oggi il Signore si volge a ciascuno di noi, ci guarda negli occhi e nel cuore, perché riconosciamo il nostro peccato e il nostro bisogno di conversione e, nel silenzio della nostra camera, senza esibizione, piangiamo la nostra lontananza da Dio e dal suo amore. Sì, troppe volte ci dimentichiamo di Lui, nonostante ne siamo i ministri, e lo lasciamo solo a portare la croce insieme a tanta povera gente del nostro mondo, dagli anziani soli ai migranti, dai giovani a volte smarriti ai fragili, da chi ha perso il lavoro fino a chi soffre per la guerra e le calamità naturali. Quante croci nel mondo!

Il Signore, cari amici, ci ha costituiti “un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre”. Il presbiterio, riunito attorno al vescovo, potrebbe essere visto come l’anticipazione di questo regno nel quale tutti gli uomini e le donne avranno la possibilità di vivere in comunione con Dio. E ognuno di noi singolarmente, rinnovando oggi le promesse fatte al momento dell’ordinazione, è chiamato a riscoprire la grazia del dono ricevuto, attraverso il quale diviene dispensatore dei misteri di Dio e ministro della sua Parola. Infatti, attraverso gli oli, che oggi benediciamo e consacriamo, permettiamo a tanti di ricevere i sacramenti, perché siano trasfigurati dalla forza proveniente da Dio, che guarisce e salva. L’olio che sarà benedetto viene dal Seminario di Anagni, ma anche in parte da quegli ulivi piantati sul luogo della strage di Capaci, dove persero la vita Giovanni Falcone con la moglie e la scorta. Da un luogo di morte possiamo far nascere la vita, come dal legno della croce venne il Risorto. Il mondo ha bisogno di sacerdoti santi, uomini di Dio, perché uomini di preghiera e di carità, che sappiano comunicare l’amore del Signore, costruire unità dove c’è divisione, pace dove ci sono violenza e discordia, che diano speranza ai rassegnati, consolazione agli afflitti, sostegno ai deboli, che soccorrano i poveri e sollevino gli oppressi. Questo è il compito che il Signore di nuovo ci affida, lo stesso che egli proclamò per se stesso nella sinagoga di Nazareth: “Lo Spirito del Signore è su di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore”.

Nel nostro mondo c’è tanto disorientamento, e ognuno cerca il proprio interesse. C’è anche tanta violenza. Non dimentichiamo l’uccisione di Thomas ad Alatri. Come non pensare alla guerra in Ucraina e in altri Paesi. Quel “salva te stesso” che dissero insistentemente a Gesù sotto la croce è diventato il modo comune di vivere, un nuovo conformismo, che porta spesso persino all’eliminazione degli altri. I social ne sono un esempio quotidiano, quando con un clic trasformi un amico in nemico. Cerchiamo unità, cari amici. La Chiesa è comunione di vita, un cuore solo e un’anima sola.

Nella liturgia del crisma la Chiesa aiuta noi presbiteri e il popolo santo di Dio a ritrovare quell’unità che nasce dall’amore di un uomo, figlio di Dio, che non ha voluto salvare se stesso, ma il mondo. Cari sacerdoti, care sorelle e cari fratelli, questo tempo difficile, questo mondo diviso tra tanti interessi individuali o di gruppo, chiede a noi cristiani segni di amore e di unità. Noi siamo il popolo di Dio, la sua famiglia, segno dell’unità del genere umano. Il sacerdote deve rappresentare ovunque l’unità per cui il Signore ha pregato. Il nostro ministero è un servizio di comunione per la famiglia umana. Non smettiamo mai di pregare e di lavorare per questo, imparando a rinunciare alle nostre piccole rivalse e ai facili protagonismi, per essere ovunque testimoni di quell’amore per cui Cristo ha dato la vita. Ringraziamo il Signore per la grazia del sacerdozio e da lui impariamo a morire a noi stessi per dare la nostra vita nell’amore gratuito che Gesù ci ha insegnato. Moriamo con Cristo per poter risorgere con lui. Amen.

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