Marcianò all’inaugurazione del nuovo anno accademico dell’Istituto Teologico Leoniano di Anagni

Con i saluti dell’arcivescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, Santo Marcianò, di quello di Gaeta, Luigi Vari (moderatore dell’Istituto) e del rettore del Collegio, don Emanuele Giannone, è stato inaugurato giovedì 23 ottobread Anagni il nuovo anno accademico dell’Istituto Teologico Leoniano. Dopo l’introduzione di Walter Fratticci, direttore dell’Istituto, il professor Leonardo Paris, docente di Cristologia all’Università Lateranense di Roma, ha tenuto la prolusione sul tema “Cosa vuol dire fare teologia oggi in Italia”. Prima della celebrazione della Messa, sono stati poi conferiti i gradi accademici a diversi studenti, tra i quali anche i nostri seminaristi diocesani Lorenzo Ambrosi, di Fiuggi, e Lorenzo Sabellico, di Fumone. (foto dai social del Pontificio Collegio Leoniano)

L’Azione Cattolica diocesana al cuore della comunità

Sabato 4 e domenica 5 ottobre 2025, presso il Centro Pastorale di Fiuggi, l’Azione Cattolica di Anagni-Alatri si è incontrata nel consueto appuntamento annuale dell’Assemblea Diocesana dal titolo “Al cuore della comunità: abitare il servizio, generare il bene”. Questa è stata l’occasione per vivere dei momenti di formazione e programmazione ma anche di confronto e riflessione sulla vita associativa, alla presenza anche della delegata regionale Caterina Castagnacci. In particolare, la prima giornata è iniziata con i saluti a tutti gli associati da parte della presidente Concetta Coppotelli che, presentando il Vangelo che guiderà l’anno associativo «Signore, è bello per noi essere qui» (Mt 17, 1-9), ricorda, come per i discepoli, quanto è bello per l’A.C. stare e camminare nel mondo insieme con il Signore, vivendo la realtà associativa, sognando, pensando, vivendo insieme per essere parte di un “antidoto straordinario contro la solitudine e la pigrizia”. E ancora, non si deve dimenticare l’importanza di “scendere dal monte” per immergersi con uno sguardo nuovo nella quotidianità. Serve accorgersi che il nostro vivere, pensare e progettare ha bisogno di impregnarsi in quell’esistenza verticale così cara a Pier Giorgio Frassati… «Verso l’Alto». Un dono da scoprire per tutte e tutti noi”. A seguire, i vice-presidenti dei settori hanno presentato i testi annuali suggerendo alle associazioni parrocchiali nuovi spunti ed idee da sviluppare all’interno delle singole realtà. Le attività poi, si sono concentrate su un momento formativo in gruppi di lavoro tematici. I tre gruppi, ciascuno con un simbolo e un focus specifico, hanno approfondito gli svariati aspetti della vita associativa e spirituale dei laici impegnati nella Chiesa e nel territorio. Il primo gruppo “Cacciatori di Speranza, la spiritualità laicale”, guidato da don Bruno Durante e Maria Letizia Fenicchia, ha esplorato il tema della spiritualità laicale. “Una spiritualità che non è al di sopra o separata dall’esistenza, ma che ne custodisce l’interezza permettendo di tenere insieme il vissuto delle persone ed evitando che ci sia una separazione fra le varie dimensioni della vita.” Durante il confronto, i partecipanti hanno condiviso esperienze personali, sottolineando che la spiritualità è innanzitutto ascolto della Parola di Dio, forza interiore e capacità di leggere la propria vita alla luce dello Spirito Santo. Don Bruno ha ricordato, inoltre, che vivere nel mondo e non secondo il mondo significa lasciarsi guidare dallo Spirito in ogni stato di vita, nel lavoro, nella parrocchia e nella diocesi. Lo slogan “Fedeli nel mondo, laici nella Chiesa”, scaturito dalla riflessione, ha sintetizzato l’identità spirituale dell’associato di Azione Cattolica e guardando al futuro sono emerse le proposte su cui lavorare per rafforzarla costantemente ovvero esercizi e weekend spirituali, incontri di discernimento sulla realtà contemporanea e momenti comunitari di fraternità. Il secondo gruppo, “Tessitori di Speranza, il legame associativo”, guidato da Caterina Castagnacci e Marilena Ciprani, ha posto al centro la cura delle relazioni come elemento essenziale della vita associativa. “La cura del legame associativo e le relazioni fraterne sentite come primaria responsabilità, vissuti nell’unitarietà e arricchiti dall’intergenerazionalità, con la consapevolezza che il contributo di tutti è importante a prescindere dall’incarico associativo o dall’esperienza.” Attraverso due domande – “Quando ci siamo sentiti parte viva dell’associazione?” e “Qual è il tessuto comune che ci unisce?” – i partecipanti hanno cercato di riconoscere il filo rosso che lega le singole esperienze personali all’interno dell’Azione Cattolica. Dal confronto sono emersi alcuni elementi condivisi che definiscono il senso di appartenenza e di corresponsabilità: la responsabilità, vissuta nel prendersi cura dei gruppi, nel guidare attività parrocchiali o nel ricoprire ruoli di coordinamento; la cura reciproca, che si manifesta tanto nel sostenere gli altri quanto nell’essere sostenuti nei momenti di difficoltà associativa; la collaborazione, non solo all’interno dell’Azione Cattolica ma anche con altre realtà ecclesiali e sociali, per costruire una comunità viva e accogliente; l’incontro, come momento di apertura e relazione che fa sentire accolti e parte di un progetto più grande; il dono del tempo, che diventa espressione concreta di impegno; la crescita personale, perché vivere nell’associazione significa conoscersi meglio, maturare nella fede e imparare a stare nel mondo con autenticità. Riflettendo sul futuro, il gruppo ha sottolineato l’importanza di continuare a essere testimoni, non solo attraverso i ruoli di responsabilità diretta, ma con la preghiera che sostiene, la presenza che incoraggia e l’impegno nel far crescere i più piccoli: come un filo che attraversa le generazioni, l’Azione Cattolica si rinnova ogni volta che un “semino di un bambino” cresce fino a diventare una “pianta vigorosa di un adulto”. Il terzo gruppo “Seminatori di speranza, il legame con la chiesa e il territorio”, guidato da Raniero Marucci, ha affrontato il tema del rapporto tra fede, comunità e territorio. “La cura per la propria comunità e il proprio territorio, per essere costruttori di alleanze “dentro e fuori” il mondo ecclesiale, e aiutare le associazioni locali a pensare la loro proposta formativa in chiave missionaria.” Essere seminatori di speranza significa restare presenti e attivi nei luoghi della vita quotidiana, con uno sguardo di fiducia e dialogo. La speranza, illuminata dalla fede, non è un semplice ottimismo, ma la certezza che nasce dal Cristo risorto: è la consapevolezza che la parola definitiva sulla nostra vita è l’amore del Padre. Per questo, seminare speranza vuol dire anche costruire sempre di più alleanze dentro e fuori la Chiesa, leggere i bisogni del territorio, sostenere le comunità in difficoltà e partecipare alla vita ecclesiale con spirito missionario. Dunque, le riflessioni emerse in Assemblea mostrano un’Azione Cattolica viva, consapevole e desiderosa di rinnovarsi. “Cacciatori”, “Tessitori” e “Seminatori” di Speranza non sono solo immagini evocative, ma espressioni concrete di un impegno condiviso: custodire la fede dentro la vita concreta, intrecciare relazioni e generare speranza nel mondo vivendo la propria spiritualità come presenza attiva, responsabile e missionaria nella Chiesa e nella società di oggi con il cuore, le mani e la mente sempre rivolti alla speranza. La prima giornata d’incontro si è conclusa con l’arrivo dell’arcivescovo Santo Marcianò il quale, accogliendo con entusiasmo l’invito dell’Azione Cattolica Diocesana, ha condiviso il momento dei Vespri del sabato e successivamente la cena comunitaria. Quest’ultimo

L’omelia del Vescovo Santo, ad Anagni, per la professione di una monaca Clarissa

Questo il testo dell’omelia pronunciata dall’arcivescovo Santo Marcianò alla celebrazione per la professione temporanea di suor Maria Chiara Pacifica, presso la chiesa delle monache Clarisse – Anagni, 3 ottobre 2025 Carissime Sorelle Clarisse, carissima Maria Chiara, è un momento di gioia, è un momento di festa, è un momento di Grazia! Celebrare la solennità di San Francesco con la tua Professione Temporanea è un Dono immenso per te, per la vostra Comunità di Clarisse, per tutta la nostra Diocesi. È un Dono per me che, all’inizio di un nuovo Ministero, posso sentimi accolto – e vi ringrazio molto! – da quella preghiera alla quale mi sono voluto affidare ancor prima di entrare fisicamente in questa nostra terra. L’ho fatto con una Lettera inviata a voi claustrali e a tutti i contemplativi nella Festa della Trasfigurazione del Signore, consegnandovi tre parole tratte dal Vangelo (Lc 9,28b-36): il Volto, la Veste, la Voce. Un Mistero grande la Trasfigurazione! E se qualcuno lo ha vissuto pienamente, venendo a sua volta trasfigurato a immagine di Cristo, è stato proprio San Francesco il quale, scrive il Celano nella Vita Prima, «Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra»; e «proprio perché portava e conservava sempre nel cuore con mirabile amore Gesù Cristo, e questo Crocifisso (1 Cor 2,2), perciò fu insignito gloriosamente più di ogni altro della immagine di Lui»[1]. Chiara seppe vedere questa immagine di Cristo in Francesco e volle seguirne le orme, per andare dietro a Gesù; e tu ti sei incamminata sulle orme di Chiara, attratta dalla santità grazie alla quale Ella, secondo le testimonianze, attraeva già le prime donne con «la fragranza del suo profumo (cfr. Ct 1,3)»[2]. Nella Bolla di riconoscimento, Innocenzo IV definisce così «la forma di vita dell’Ordine delle Sorelle Povere, istituita dal Beato Francesco: osservare il Santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità»[3]. Oggi tu, Maria Chiara, emetti questi primi Voti, per seguire Gesù; li accolgo e, con la Parola di Dio, ti consegno ancora le tre parole: il Volto, la Veste, la Voce. «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita», abbiamo cantato nel Salmo 15 (16) che, sappiamo, è un Salmo Sacerdotale; e lo è anzitutto per il riferimento al «calice». Nel processo di canonizzazione si dice di S. Chiara «Quando stava per ricevere il Corpo del Signore versava prima calde lacrime e, accostandosi quindi con tremore, temeva Colui che si nasconde nel Sacramento non meno che il Sovrano del cielo e della terra»[4], si dice di Santa Chiara. Un amore per l’Eucaristia, il suo, che non è devozioni stico ma carico di affetto, di timore, di passione. È l’amore di chi ha dinanzi un Volto e si commuove nel riceverLo, imparando adadorarLo. Si radica qui, Maria Chiara carissima, il Voto di Castità: nel Volto. Un Volto da amare con tutta te stessa – con il corpo, gli affetti, l’interiorità -; da adorare con dedizione, tempo e tenerezza; un Volto Sacramento di Colui che ti ha rapito il cuore. È interessante che Benedetto XVI veda in questo Salmo la castità del celibato sacerdotale il cui «vero fondamento», dice, «può essere racchiuso solo nella frase: Dominus pars – Tu sei la mia terra. Può essere solo teocentrico. Non può significare il rimanere privi di amore, ma deve significare il lasciarsi prendere dalla passione per Dio, ed imparare poi grazie ad un più intimo stare con Lui a servire pure gli uomini»[5]. Nella vita di clausura, il servizio ha le sue peculiarità. Non è certamente una forma di apostolato attivo ma è comunque un «giogo», che ha il suo peso e, per così dire,vi lega le une alle altre. Un giogo che viene da Dio, nel Vangelo (Mt 11,25-30) Gesù ce lo assicura, e che è «dolce» e «leggero» se sappiamo viverlo nell’obbedienza: «imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita». Fare Voto di Obbedienza, cara Maria Chiara, richiede di ascoltare la Voce di Gesù, che sempre ci riporta alla bellezza dell’umiltà e della fraternità, cuore di ogni servizio. Te lo insegna anche la tua Madre la quale «inverso le Sore sue era umile, benigna et amorevole, et aveva compassione delle inferme; e mentre che essa fu sana, le serviva e lavava a loro li piedi e dava l’acqua alle mani»[6]. Non smettere di ascoltare lei, che si fa Voce dello Sposo della tua anima. E obbedire ti sarà leggero anche nei momenti più duri, come è il giogo di Cristo per i cuori umili e poveri. E infine, ecco la povertà. Quella “Madonna Povertà” che Francesco amava come Sposa. Cosa rappresenta e come raggiungerla? Non basta aver rinunciato a tanti beni, neppure aver rinunciato a tutto, questo lo capisci. Bisogna arrivare a fare l’esperienza di Paolo nella prima Lettura (Gal 6,14-18): «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo». Il Crocifisso: c’è forse un’immagine di Povero più reale, scandalosa, forte? Per vivere la povertà, dice Paolo quasi commentando la vita di Francesco, bisogna che tutto non sia solo “lasciato” ma «crocifisso»; trasformato in un’offerta d’amore fatta da chi, per amore, si offre, si lascia crocifiggere con Lui. È Lui, il Cristo Povero, il motivo vero della povertà: lasciare tutto, crocifiggere il mondo, significa trovare Lui e farti rivestire di Lui. Sì, la Veste che Gesù dona al tuo e al vostro Voto di Povertà, care sorelle, è Lui! E questa povertà, nell’economia della salvezza, potrà rivestire tanti fratelli poveri di pane, di dignità, di pace… poveri di Dio. «Il Crocifisso amato ricambia l’amante e colei che tanto è infiammata d’amore per il mistero della Croce, è per virtù della Croce resa luminosa dà segni e miracoli»[7], si diceva

La Lettera dell’Arcivescovo ai monasteri

“MENTRE GESÙ PREGAVA…” LETTERA ALLE SORELLE E AI FRATELLI DEDICATI ALLA VITA CONTEMPLATIVA DELLE DIOCESI DI FROSINONE-VEROLI-FERENTINO E ANAGNI-ALATRI In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto (Lc 9,28b-36). Carissime sorelle, carissimi fratelli, nel Messaggio inviato nel giorno in cui è stata annunciata la Nomina del Papa a vostro Pastore, mi sono rivolto alle nostre Diocesi come a una «terra impregnata… della preghiera che abita in particolare i monasteri». Da subito ho portato nel cuore della mia preghiera tutti voi chiamati alla vita monastica, claustrale, eremitica; ora desidero affidare con forza alla vostra preghiera il tempo che ci separa dall’inizio del mio ministero tra voi e tutto il cammino che faremo assieme, specie i primi passi. Lo faccio in questa bella Festa consegnandovi, con il Vangelo della Trasfigurazione del Signore che leggeremo quest’anno  (Lc 9,28b-36), tre parole: il Volto, la Veste, la Voce. … il suo volto cambiò d’aspetto Sul Tabor, gli apostoli vedono cambiare il Volto di Cristo, quando Egli entra nel Mistero della relazione intima con il Padre. E a ciascuno di voi, la cui vita è dedicata alla contemplazione del Volto del Signore, in qualche modo viene schiuso questo Mistero. È un Volto che si rivela nella preghiera personale, dove sperimentate pure un cambiamento del vostro volto, una vera e propria trasfigurazione. Ogni vita consacrata è prima di tutto una storia d’amore tra Dio e noi; ma a voi l’amore di Gesù è stato rivelato quale Bellezza capace di trasformarvi con la forza dell’interiorità, con il dimorare a lungo e fedelmente nella relazione con Lui; curatela sempre questa relazione, continuando a vivere alla Sua Presenza e della Sua Presenza. Questo Volto rifulge anche nella Liturgia, dove il Signore è presente come “il Tu” al quale dare lode e benedizione e la cui Grazia trasfigura i cuori, liberandoli dal male; sono un dono le vostre Liturgie, Tabor che fa intuire al mondo la Luce vera, capace di trasfigurare ogni volto e ogni amore. E il Volto di Cristo si riflette nel volto degli altri: i fratelli della comunità da amare con gioia, i volti di quanti accogliete e cercate di conoscere. Aiutate anche me a farlo! A conoscere meglio i volti e i cuori di coloro che il Signore mi affida. Non solo una conoscenza concreta, di fatti e storie, ma una conoscenza interiore, di un volto che si vuole e si può trasfigurare. Non lo dimenticate: la vostra, la nostra preghiera può restituire un volto all’uomo di oggi; può far risplendere il Volto della nostra Chiesa, quale Sposa che sta davanti a Lui e, come dal Sole, viene continuamente rivestita di Luce. … e la sua veste divenne candida e sfolgorante La Luce del Tabor si riflette straordinariamente nella veste candida di Gesù. L’immagine ci riporta alla veste che Dio mette addosso all’uomo nel Giardino, dopo il peccato. Quanto è necessario oggi tornare alla verità della Creazione, deturpata da ideologie e menzogna, da una scristianizzazione e un secolarismo che lasciano l’uomo solo e “nudo”! E quanto è importante farlo non con proclami ma con la delicatezza della contemplazione: della vostra contemplazione! Il Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi, di cui celebriamo gli 800 anni, offre una chiave di tale contemplazione; e tante altre potremmo trovarle nelle vostre Regole e tradizioni monastiche, eremitiche, claustrali. Come la tunica stesa su Adamo ed Eva copre la nudità, ovvero una verità che, anche se rifiutata, rimane come purezza luminosa di ciò che esce dalle Mani di Dio, così la vostra preghiera può essere una veste per custodire la verità di ogni persona, Sua creatura e Sua immagine. E la veste ci fa pensare pure alla tunica di Gesù, giocata a sorte ma mantenuta intatta nella Passione, simbolo della Chiesa e della sua unità. Custodire l’unità nella nostra Chiesa! È ciò che mi sta più a cure e che affido alla vostra preghiera. Unità tra vescovo e preti; di preti e consacrati tra loro e con il popolo di Dio; unità tra le due Diocesi. La vostra vita sia una fiduciosa intercessione per questo, anche quando sperimentate la tribolazione, la crisi; e sia intercessione e speranza per chi soffre. La tunica di Gesù, in realtà, sarà sostituita dalle bende del Sepolcro e quelle stesse bende saranno la prima testimonianza di Risurrezione; le scoprirà proprio Giovanni, Icona della vita contemplativa: l’apostolo che sa vedere ciò che altri non vedono, o non vedono ancora, e sa ascoltare ciò che altri faticano a sentire, perché storditi da frastuoni inutili o impauriti dalle voci dei potenti del mondo. … e dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!» Nella nube del Tabor i discepoli hanno paura; ed è lì che si sente la Voce del Padre che rivela il Figlio, Sua Parola vivente. La paura è la principale malattia dell’uomo moderno, in un mondo in cui troppo spesso i frastuoni delle guerre e le urla dei presuntuosi annientano le grida dei poveri. Ma Dio è lì! Non si sottrae al grido dei poveri, degli

Tra il vescovo Santo e i giovani è subito feeling!

Il feeling tra l’arcivescovo Santo Marcianò e i giovani è nato subito, in maniera spontanea, naturale, con quel moto di simpatia connaturato nei ragazzi quando si sentono accolti e voluti bene, ma al contempo proprio degli adulti che non fanno del finto “giovanilismo”, fine a sé stesso, ma che le braccia le spalancano davvero, per accogliere, per incontrare, per dialogare. Così ha fatto il vescovo Santo nei primi incontri con i giovani – lui che con i ragazzi ha già avuto diverse esperienze pastorali, sia da vescovo in Calabria che con i giovani militari durante l’Ordinariato – e così hanno risposto i “nostri” ragazzi. Il primo abbraccio c’è stato il 21 settembre, giorno dell’ingresso ufficiale del vescovo Santo in diocesi, ad Anagni. E qui va riavvolto il nastro della cronaca: i giovani hanno atteso per un’ora sotto un sole settembrino che nulla aveva da invidiare a quello dell’ultimo ferragosto; pazienti sì, ma anche festosamente “indisciplinati” da un angolo all’altro di piazza Cavour per salutare gli amici che magari non vedevano da tempo o i vecchi compagni di scuola. E hanno colorato la piazza con le loro magliette: da quelle della Pastorale giovanile diocesana, una delle quali è stata donata anche a papa Leone durante il Giubileo dei giovani a Tor Vergata, a quelle dell’Azione Cattolica, da quelle degli “Amici di Madre Claudia” a quelle dell’Istituto scolastico Bonifacio VIII. E hanno avuto un concitato gran daffare anche per srotolare gli striscioni di benvenuto e sistemarli nei punti strategici, anche in alto, sotto il mega schermo della diretta tv di Tele Universo, perché tutti potessero vederli. Così i giovani hanno accolto l’arcivescovo Santo Marcianò, richiamando a gran voce, e anche con alcuni slogan tipici di Ac, l’attenzione del nuovo vescovo, che subito dopo il saluto alle autorità li ha raggiunti, a braccia aperte, salutandoli con gioia e scambiando due battute con don Luca Fanfarillo, responsabile della Pastorale giovanile diocesana, e alcuni degli educatori laici presenti. Ma la festa dei giovani non si è fermata qui, perché hanno voluto “scortare”, festanti e gioiosi, l’arcivescovo Marcianò anche verso il Municipio, fermandosi con lui per delle foto-ricordo sotto la scalinata, e poi ancora verso la Cattedrale. E nel corso dell’omelia, come già accaduto nella celebrazione eucaristica per l’ingresso nella diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino, monsignor Santo Marcianò ha rivolto un pensiero particolare proprio ai ragazzi, a quelli di oggi sicuramente, ma anche a questi che saranno gli adulti e la Chiesa di domani: «Voi, miei giovani, saprete stupirci, come avete fatto nel Giubileo, e sarete artefici del mondo che assieme sogniamo. La Chiesa propone un umanesimo integrale e solidale, all’altezza del disegno di amore di Dio . Un programma meraviglioso: vogliamo provare a svolgerlo assieme? È difficile – ha chiosato l’arcivescovo – ma la Parola di Dio ci offre un altro binomio: fedeli in cose di poco conto – fedeli in cose importanti. Basta iniziare dal poco, con umiltà verso Dio e i fratelli». Domenica 28 settembre, giorno dell’ingresso ad Alatri, le scene di entusiasmo si sono ripetute, con striscioni  e battimani ad accogliere il vescovo Santo, prima che questi salisse sulla mula. E il presule ancora una volta a salutarli da vicino, abbracciandone alcuni, chiedendo il nome ad altri. E l’apoteosi dell’entusiasmo è arrivata quando il vescovo, saluto sul palchetto per il benvenuto ufficiale da parte del Comune, ha perfettamente mimato il gesto del cuoricino con le mani, per dire che porta tutti indistintamente nel cuore, ma scegliendo proprio «il cuoricino come fanno i giovani», ha detto, perché i giovani li porta tutti nel cuore. E più di qualcuno, anche tra i grandi, si è davvero commosso. Ad Alatri c’è stata la piccola variante… meteorologica della pioggia, che ha poi accompagnato il corteo fino in Concattedrale; ma neppure questo ha scoraggiato i ragazzi della Pastorale giovanile e dell’Azione Cattolica, che hanno scortato il Vescovo e la mula fino a Civita, per poi assistere alla Messa, proprio dal retro dell’altare, con il vescovo che durante la celebrazione si è girato proprio verso di loro, al momento dello scambio del segno della pace, ad esempio. E poi, anche durante questa omelia, le parole del vescovo, come a disegnare un programma di cammino pastorale, insieme: «Giovani, interrogatevi su quello che il Signore vuole da voi, non abbiate paura di ascoltare la voce del Signore. Non abbiate paura! Giovani, la Chiesa ha bisogno di voi, il mondo ha bisogno di voi!». di Igor Traboni

Lo stemma episcopale e il motto dell’Arcivescovo Santo: i significati

Nello stemma di S.E. mons. Santo Marcianò è rappresentata l’immagine del pellicano che nutre i propri figli con il sangue che sgorga dal suo cuore. La simbologia cristologica del pellicano trae origine, in particolare, dall’Adoro te Devote, antico canto eucaristico attribuito a san Tommaso d’Aquino, che recita:  «Pie pellicane, Iesu Domine, me immundum munda tuo sanguine; cuius una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere».  Le parole di questo canto hanno fatto del pellicano uno dei simboli eucaristici per eccellenza. L’iconografia cristiana, a partire dal Medioevo, ha usato l’immagine del pellicano come allegoria di Cristo che sulla Croce viene trafitto al costato perdendo sangue e acqua fonte di vita per gli uomini. Con questo simbolo, dunque, viene evidenziato il sacrificio di Cristo, la sua totale abnegazione, la sua morte in croce e l’amore del Padre che invia il proprio Figlio a versare il suo sangue per la nostra salvezza. Il Pellicano diventa, perciò, figura della Redenzione operata da Cristo, icona dell’amore, del dono totale di sé, simbolo dell’amore paterno di Dio.  Dante nella Divina Commedia accosta la scena dell’Ultima Cena, dove l’apostolo Giovanni china il capo sul petto del Maestro, con la figura del pellicano: «Questi è colui che giacque sopra’l petto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce al grande officio eletto» (Divina Commedia, Paradiso, Canto XXV, 112-114). In questo stemma il pellicano è rappresentato in argento, smalto simbolo della trasparenza, della Verità, sottolineando il messaggio di salvezza che il Signore proclama nel rispondere a Tommaso: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Il campo dello scudo è in azzurro, simbolo della incorruttibilità del cielo; rappresenta il distacco dai valori terreni e l’ascesa dell’anima verso Dio. La croce doppia, arcivescovile (detta anche patriarcale) con due bracci traversi all’asta, in oro, posta in palo, ovvero verticalmente dietro lo scudo è una croce trifogliata con cinque gemme rosse a simboleggiare le cinque piaghe di Cristo. Il motto: MAGNIFICAT ANIMA MEA DOMINUM Il motto riprende le parole d’inizio del Magnificat (Lc 1,46) con cui la Vergine, dopo il saluto di Elisabetta, inneggia al Signore.  Il Magnificat (Lc 1, 46-55), cantico che si ispira a quello di Anna riportato nell’Antico Testamento (1Sam 2,1-10), è un canto che rivela la spiritualità degli anawim biblici, ossia di quei fedeli che si riconoscevano poveri non solo nel distacco da ogni idolatria della ricchezza e del potere, ma anche nell’umiltà profonda del cuore, spoglio dalla tentazione dell’orgoglio, aperto all’irruzione della grazia divina salvatrice. Tutto il Magnificat è, infatti, marcato da questa umiltà, in greco tapeinosis, che indica una situazione di concreta umiltà e povertà.  L’anima di questa preghiera è la celebrazione della grazia divina che ha fatto irruzione nel cuore e nell’esistenza di Maria, rendendola Madre del Signore. Nelle parole del Magnificat ella non vede il segno della grandezza sua, ma di quella del suo Signore. «L’anima mia megalùnei, magnificat, fa grande il Signore». Maria si annienta di fronte a Dio per cantare la lode della Sua onnipotenza e misericordia. L’intima struttura del suo canto orante è la lode, il ringraziamento, la gioia riconoscente. La Madonna con questa lode del Signore dà voce a tutte le creature redente che nel suo Fiat, e così nella figura di Gesù nato dalla Vergine, trovano la misericordia di Dio.  Nel ricordare le opere divine il canto del Magnificat evidenzia lo stile a cui il Signore della storia ispira il suo comportamento: egli si schiera dalla parte degli ultimi. Il suo è un progetto che è spesso nascosto sotto il terreno opaco delle vicende umane, che vedono trionfare «i superbi, i potenti e i ricchi». Eppure, la sua forza segreta è destinata alla fine a svelarsi, per mostrare chi sono i veri prediletti di Dio: «Coloro che lo temono», fedeli alla sua parola; «gli umili, gli affamati, Israele suo servo», ossia la comunità del popolo di Dio che, come Maria, è costituita da coloro che sono poveri, puri e semplici di cuore. E così questo canto ci invita ad associarci a questo piccolo gregge, ad essere realmente membri del Popolo di Dio nella purezza e nella semplicità del cuore, nell’amore di Dio.

Prima celebrazione ad Alatri: l’omelia del Vescovo Santo

Omelia alla prima Celebrazione nella Concattedrale di AlatriDomenica 28 settembre 2025 Carissimi fratelli e sorelle, giungo a questa Concattedrale dopo aver percorso la strada sul dorso della mula; una scelta e un’esperienza alla quale ho dato un profondo significato.L’ho fatto, certamente, per rispettare le tradizioni e la storia bellissima di questa terra e di questo popolo che il Signore mi affida. Le mura dell’Acropoli, le Chiese, le torri, le cime dei monti… il nome stesso di Alatri che pare richiami lo stemma cittadino: Torre alata o Alata Turris, da cui Alatris. Quale che sia il suo significato, mi piace pensare che la città porti nel suo nome le “ali” e che, così, ci rimandi verso l’“Alto”. Mi sembra una chiamata per la nostra Chiesa a “volare”, a testimoniare un respiro più grande, più “alto”.È il respiro del Trascendente, che arriva a innestarsi nelle nostre tradizioni, attraverso il linguaggiodella «pietà popolare». Espressione, questa, che San Paolo VI ha introdotto nell’Enciclica EvangeliiNuntiandi, considerandola una «pedagogia di evangelizzazione», portatrice dei «valori dei semplicie dei poveri»: la «sete di Dio», la «generosità e il sacrificio»; il senso di «paternità, provvidenza,presenza amorosa» del Signore; e poi «pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco,apertura agli altri, devozione» 1 …Quasi un Programma Pastorale, che ritroviamo nelle parole con cui San Paolo, nella secondaLettura (1Tm 6,11-16), indica a cosa il Vescovo debba tendere: «alla giustizia, alla pietà, alla fede,alla carità, alla pazienza, alla mitezza». È quanto io sono chiamato a perseguire, nella «missioned’insegnare a tutte le genti e di predicare il Vangelo ad ogni creatura» per compiere la quale, comedice il Concilio, «Cristo Signore promise agli apostoli – e ai Vescovi loro successori – lo SpiritoSanto e il giorno di Pentecoste lo mandò dal cielo, perché con la sua forza essi gli fossero testimonifino alla estremità della terra, davanti alle nazioni e ai popoli e ai re» 2 . Ma tutto ciò riguarda purevoi, popolo a me affidato: il dono dello Spirito è per evangelizzare il mondo, missione checoinvolge l’intera comunità – sacerdoti, consacrati, laici – in unità, collaborazione ecompartecipazione.E qui c’è la gioia del popolo e del Vescovo, come recita la bella Orazione che la Liturgia ci fapregare nella Festa di San Gregorio Magno: «Signore, dona il tuo spirito di sapienza a coloro chehai posto maestri e guide nella Chiesa, perché il progresso dei fedeli sia gioia eterna dei pastori». Sì,i doni del Vescovo sono per il progresso nella fede di tutti. Ecco la gioia! Ecco, per così dire, le“altezze” a cui siamo proiettati! Ma, chiediamoci, come arrivarci?Il Vangelo (Lc 16,19-31) oggi descrive un contrasto che richiama le Beatitudini e la prima Lettura( Am 6,1a.4-7 ): «Beati i poveri… guai ai ricchi…».C’è da una parte un uomo avvolto dalla ricchezza, che non solo gode dei vestiti, dei cibi, ma lo fa inmodo esagerato, in una sovrabbondanza di lusso che oscura la pietà e la carità. Dall’altra parte c’èun uomo immerso in una povertà esagerata, sovrabbondante; è addirittura leccato dai cani, ovveroimmondo.È un contrasto reale, persino nella nostra città; e noi siamo chiamati a denunciarlo, a individuare edare voce allo scandalo delle povertà più esagerate e sproporzionate, contrastanti con eccessi diricchezza, successo, potere. Così si costruisce la giustizia, il bene comune; si rispetta la dignità e la vita umana, si edifica la pace… E questa è l’“altezza” verso cui desideriamo tendere insieme, Chiesa e società!È interessante notare che nel Vangelo il povero ha un nome: Lazzaro, forma greca di Eliezer: «ilmio Dio aiuta». Il ricco invece non ha nome, lo ha smarrito: così, non capisce la sua umanità né ilsenso della vita.Cari amici, dobbiamo dare un nome non solo alle povertà ma ai poveri, ai nostri poveri! Che bellose riuscissimo a conoscerli, ad ascoltarne i bisogni, le storie, i ricordi… Consegnandoci questaParola, Dio ci affida la missione di chiamare per nome i nostri poveri, gli ultimi, i bimbi non nati, imalati, i morenti; e poi «gli oppressi, gli affamati, i prigionieri, i ciechi, chi è caduto, i giusti, iforestieri, l’orfano e la vedova» come esorta il Salmo 145, per ricordare a loro, e a noi, che ognicreatura umana è unica e irripetibile, preziosa agli occhi di Dio: la sua vita e la sua dignità sonosacre e inviolabili!Ma il Signore ci chiede di accompagnare pure i ricchi, i potenti, perché ricordino che anch’essihanno un nome: vengono dal Padre e condividono il destino dei fratelli. La lotta contro ogniingiustizia, violenza, abuso, guerra, per la Chiesa si unisce all’impegno nella formazione,l’educazione, la cultura.Tornando alla Parabola evangelica, dopo la morte il povero è nel seno di Abramo, immagine cherichiama l’amore; il ricco è negli «inferi» che, ha detto Papa Leone, «sono non tanto un luogo,quanto una condizione esistenziale: quella condizione in cui la vita è depotenziata e regnano ildolore, la solitudine, la colpa e la separazione da Dio e dagli altri». Il ricco era solo nel godere, oraè solo nel tormento; Lazzaro, invece, non è solo perché è in relazione con Dio, fin dal suo stessonome. Ecco la “beatitudine” della povertà, ecco il “guai” della ricchezza! E non si tratta di premioo punizione ma di una trasformazione: i beni terreni, cioè, si trasformano in tormenti, la povertà inconsolazione. Ora possiamo scegliere, ma arriva un tempo in cui non ci si può «ravvedere», comeper il ricco del Vangelo; e il greco metanoéin, usato da Luca, richiama la metànoia, la conversionesuscitata dall’ascolto della Parola di Dio.Cari amici, assieme all’ascolto di quello che Papa Francesco chiamava il grido dei poveri e dellaterra, è tempo di ascoltare la Parola di Dio, ciò che Essa dice a me: da qui può iniziare latrasformazione della vita. Noi cercheremo di farlo assieme, per essere comunità che si lasciatrasformare nella carità; ed è un invito che rivolgo a voi credenti e a voi non credenti, a voi checercate e a voi che accompagnate, a voi giovani e a voi adulti… ascoltiamoci, ascoltiamo insieme!È qui il cuore di una Chiesa sinodale, unita, fraterna, seme di unità e pace per la città e il mondointero.Il ricco si accorge di avere

La città di Alatri e i giovani accolgono il nuovo Vescovo

Domenica 28 settembre la città di Alatri accoglierà l’arcivescovo Santo Marcianò, con una cerimonia che avrà il suo culmine nella celebrazione eucaristica nel piazzale antistante la Concattedrale (Civita) ma che avrà inizio alle 16, quando il nuovo vescovo di Anagni-Alatri verrà accolto a Porta San Pietro, uno degli antichi ingressi della città (lato Frosinone-Fumone). Il sindaco di Alatri, Maurizio Cianfrocca, consegnerà quindi le chiavi della città di Alatri all’arcivescovo e subito dopo si formerà un corteo (attenzione, non si tratta di una processione) verso la Concattedrale di San Paolo che monsignor Marcianò, così come fatto da alcuni suoi predecessori, compirà a dorso di una mula bianca. Quindi, come detto, la celebrazione della Messa, che verrà concelebrata con il parroco della Concattedrale, don Walter Martiello, e il clero diocesano e religioso di Alatri. A monsignor Marcianò verrà inoltre donato un anello con l’effige di San Sisto I, patrono di Alatri e compatrono della diocesi, come ulteriore segno tangibile dell’unione spirituale tra il vescovo e la comunità dell’antica diocesi alatrense. Ad attendere monsignor Marcianò e quindi ad accompagnarlo festosamente verso Civita, ci saranno anche i ragazzi della Pastorale giovanile diocesana, così come già accaduto ad Anagni, con momenti di grande allegria, i quali danno appuntamento per le 16 a Porta San Pietro a tutti i coetanei che vorranno partecipare. E lungo il percorso in salita fino alla Concattedrale, di certo saranno numerosi i fedeli che accoglieranno il nuovo vescovo, con strade e balconi addobbati da fiori e ornamenti, per sottolineare il momento di festa. Il Comune di Alatri, per facilitare la partecipazione dei fedeli, ha attivato un servizio navetta gratuito, dalle 15 alle 21, con partenza dall’area del mercato. Tornando invece alla simbologia della mula bianca, questa non è legata solo alla memoria dell’arrivo delle reliquie di san Sisto (quando proprio una mula bianca, diretta verso la Campania, scelse all’improvviso di dirigersi invece verso il colle di Civita) ma soprattutto all’ingresso di Gesù a Gerusalemme, con un preciso riferimento alla cavalcata papale con la quale nel IX secolo i papi appena eletti raggiungevano la Cattedrale di Roma.

Il Vicario mons. Ponzi termina il suo servizio: il “grazie” del Vescovo Santo

Dopo aver preso possesso della sede episcopale di Anagni-Alatri nella celebrazione di domenica 21 settembre nella Cattedrale di Anagni, l’Arcivescovo Santo Marcianò nella giornata di mercoledì 24 settembre ha incontrato, presso il Centro Pastorale di Fiuggi, tutti i membri della Curia, in un clima di grande dialogo e avvio di una fruttuosa collaborazione. In questo contesto, particolare riconoscenza è stata espressa al Rev.do Mons. Alberto Ponzi, già vicario generale, nei cui confronti l’Arcivescovo Marcianò ha avuto parole di enorme gratitudine per l’impegno svolto in questi anni, essendosi ora concluso il suo servizio. Al contempo, Monsignor Marcianò  ha reso nota la sua intenzione di incontrare nell’immediato i sacerdoti nelle tre Vicarie della Diocesi (Anagni-Alatri-Fiuggi). In quelle sedi, in un contesto di rinnovato e fraterno dialogo con i suoi sacerdoti, ascolterà da questi le indicazioni opportune per l’avvio del cammino pastorale in Diocesi.

L’omelia dell’arcivescovo Marcianò per l’inizio del ministero pastorale: «Questa è l’ora dell’amore!»

Questo è il testo dell’omelia pronunciata da monsignor Santo Marcianò alla celebrazione per l’inizio del ministero pastorale nella Diocesi di Anagni-AlatriCattedrale di Anagni (FR), domenica 21.09.2025 Carissimi fratelli e sorelle,«Questa è l’ora dell’amore!» Lo esclamava Papa Leone XIV nella Messa di inizio del Ministero Petrino. Parole che desidero faremie, leggendovi una strada tracciata per la Chiesa universale e la nostra Chiesa particolare,profondamente unita a Pietro: terra “dei Papi” che ha pure dato i natali a Leone XIII, del quale ilnostro Pontefice ha voluto prendere il nome. Segni belli, che sembrano illuminare delicatamente ilcammino che oggi iniziamo, unendosi alla Luce splendente della Parola di Dio, lampada per i nostripassi (cfr Salmo 118).«Questa è l’ora dell’amore!».L’«ora» si riferisce al presente, necessariamente orientato verso il futuro, il nuovo che ci attende;ma questa «ora», secondo il significato biblico, non è solo krònos ma kairòs, non è un semplicemomento ma tempo di grazia, pienezza del tempo. L’«amore», così, è novità da accogliere,pienezza da perseguire, grazia da chiedere; ed è tutt’uno con la missione di essere, continua il Papa,«una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato».Sì, è proprio strada tracciata, dentro la quale vedo quasi delinearsi il filo conduttore del nostroProgramma Pastorale: una comunione, un’unità che ci chiama, anche nella complementarietà tra ledue Diocesi, e può essere seme di riconciliazione e pace pure per altri. Le Letture oggi ci aiutano adecifrarla meglio, accostando l’amore ad alcuni significati e declinando alcune polarità.La prima polarità è: amministratore – padrone.Nel Vangelo (Lc 16,1-13) c’è un amministratore e c’è un padrone che gli affida una ricchezza a cuiessere fedele.L’ora dell’amore è l’ora della fedeltà!E la fedeltà è anzitutto fedeltà di Dio. C’è un padrone che ha l’iniziativa; è Qualcuno a cui tutto etutti appartengono, nell’amore e nella libertà. È Lui, il Signore, che oggi ci raduna e ci consegnal’uno all’altro, in un’appartenenza reciproca. Noi ci apparteniamo perché, come nel Vangelo, ilPadrone si fida; affida al servo, a noi, il suo patrimonio.«I singoli vescovi, che sono preposti a Chiese particolari, esercitano il loro pastorale governo soprala porzione del popolo di Dio che è stata loro affidata», dice il Concilio. Sento con forza ecommozione questo affidamento. Sento la gratitudine e la grande responsabilità di avere affidato unpopolo, una terra bellissima, una storia ricca di cultura e arte – quanta bellezza e arte in questaCattedrale! -, ma che porta anche le fatiche e le sofferenze, le ingiustizie da sanare e la pace dacostruire, invocare, sognare… E questo affidamento, Dio lo fa non solo a me ma a tutta la nostracomunità, a tutti i cristiani, soprattutto a voi, carissimi sacerdoti. Ma come rispondere a taleaffidamento?Ecco la seconda polarità: sperperare – amministrare.Il servo malvagio «sperpera» il patrimonio del padrone. Luca usa lo stesso verbo greco(diaschorpìzein) parlando del figlio maggiore della parabola il quale, andato via da casa, aveva«sperperato» (Lc 15,13) i beni lasciati dal padre. «Sperperare» è perdere il valore delle cose;«rendere conto» è entrare nella logica della responsabilità, non solo di qualcosa ma verso qualcuno:ecco l’amore.L’ora dell’amore è l’ora della responsabilità!Nell’attuale cultura consumistica, non si comprende come tutto sia dono da accogliere, custodire,valorizzare; e si finisce per sperperare, dilapidare l’eredità donata dal Padre. Sperperare è«calpestare il povero» «sterminare gli umili del paese», dice la prima Lettura (Am 8,4-7); invece diquesta «amministrazione», di questa “oichonomìa” – è il termine greco del Vangelo – bisognarendere conto!L’ora dell’amore invoca responsabilità verso i poveri, gli ultimi, il creato; addita una concretaeconomia di rispetto, condivisione, solidarietà. Nessuno può essere calpestato: non da economieinique, talora favorite da scelte politiche o internazionali, né dall’iniquità di economie nascostedietro presunti diritti. Non si può accettare l’industria della morte che vìola la terra e sopprime gliesseri umani – uomini donne, bambini… quanti bambini! – con armi o rifiuto, violenze o abusi; maneppure quella che elimina e abbandona vite deboli, malformate, non volute, malate, morenti.Quanto sperpero di persone, quanto sperpero di umanità! Vorrei che le nostre comunità – quellaecclesiale e quella civile – fossero coraggiose e unite nel dire “no”, dicendo un grande “sì”all’umano, dunque a Dio.E qui c’è un’altra polarità: Dio – la ricchezza.Il Padrone è uno, «non possiamo servire a due padroni», afferma Gesù in modo molto chiaro.L’ora dell’amore è l’ora della verità.E «la verità stessa dell’essere-uomo» è «la prima delle sfide più grandi, di fronte alle quali l’umanitàoggi si trova», leggiamo nel Compendio di Dottrina Sociale della Chiesa, un Documento fondativoche desidererei con voi rileggere, meditare, applicare all’oggi. Ricordando a Carpineto RomanoLeone XIII, Benedetto XVI spiegava come «all’interno della realtà storica i cristiani, agendo comesingoli cittadini, o in forma associata, costituiscono una forza benefica e pacifica di cambiamentoprofondo, favorendo lo sviluppo delle potenzialità interne alla realtà stessa. È questa – aggiungeva –la forma di presenza e di azione nel mondo proposta dalla dottrina sociale della Chiesa, che puntasempre alla maturazione delle coscienze quale condizione di valide e durature trasformazioni».Oserei oggi chiamare a raccolta tutta la comunità: i laici, i catechisti con il loro prezioso apporto dievangelizzazione per la nostra Chiesa; gli Organismi di Partecipazione che vanno potenziati evalorizzati; le Associazioni, il mondo della cultura, dell’educazione, dell’arte, i responsabili dellacosa pubblica. E infine i giovani; voi, miei giovani, che saprete stupirci, come avete fatto nelGiubileo, e sarete artefici del mondo che assieme sogniamo. La Chiesa – ancora il Compendio – propone un «umanesimo integrale e solidale… all’altezza del disegno di amore di Dio» . Un programma meraviglioso: vogliamo provare a svolgerlo assieme, comunità ecclesiale e civile?È difficile ma la Parola di Dio ci offre un altro binomio: fedeli in cose di poco conto – fedeli in coseimportanti.Basta iniziare dal poco, con umiltà verso Dio e i fratelli.L’ora dell’amore è l’ora dell’umiltà!Mi piace scorgerla nell’immagine eloquente del Salmo responsoriale (Sal 112 [113]): un Dio che«si china» a «guardare e sollevare» i deboli. Chinarsi è servizio e condivisione della sofferenza,Gesù ce lo ha insegnato portando per amore la Sua Croce e, nella Sua, le nostre. E noi vogliamocontinuare a farlo, con l’opera preziosa di tanti ministri della sofferenza umana. Potremmo tradurretale umiltà in una frase di

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