Alatri (ri)scopre i dipinti della Cappella di San Sisto

Domenica 21 aprile si è tenuto ad Alatri, nella Concattedrale di San Paolo, un evento di grande spessore culturale sulla biografia artistica della pittrice Maria Letizia Giuliani, autrice delle due opere che si trovano all’interno della Cappella di San Sisto e da pochi finora conosciuti. L’evento, voluto fortemente dal coro “In Laetitia Cantus“ in collaborazione con l’Associazione Gottifredo e il patrocinio della diocesi di Anagni-Alatri e del Comune di Alatri,  ha riscosso molto successo nonostante il pomeriggio piovoso. Tutto si è illuminato grazie agli interventi musicali del coro “In Laetitia Cantus” diretto dal Maestro Elisabetta Scerrato e con la bellissima spiegazione del professor Mario Ritarossi. È stato Carlo Fantini a moderare l’evento, introducendo i brani musicali e i tre interventi di Ritarossi, il quale è partito dalla biografia della pittrice fino ad arrivare alla spiegazione dei due dipinti. Maria Letizia Giuliani proveniva da una famiglia borghese romana numerosa, aveva studiato all’Istituto Magistrale e l’amore e la passione per l’arte le è stata trasmessa dal nonno materno, Eugenio Cisterna, artista, pittore e decoratore di chiese. La Giuliani si è poi formata nella Scuola Libera del Nudo dell’Accademia di Belle Arti di Roma, sviluppando una particolare attitudine nell’ideazione di cartoni per le vetrate d’arte e nella realizzazione di pitture murali. La famiglia Giuliani, infatti, avviò un’attività di artigianato artistico, la “Studio Vetrate d’Arte Giuliani”, destinata a diventare negli anni una delle più importanti della capitale. I due grandi dipinti, eseguiti nel 1932 per la Cappella di San Sisto ad Alatri, sono molto importanti e inediti perché il nonno Eugenio, a cui furono originariamente commissionate le opere, le affidò per intero alla nipote poco prima di morire. L’opera a sinistra raffigura l’ingresso nel 1132 delle reliquie del Santo all’interno della città di Alatri, accolte dal vescovo e da molti fedeli. Quella di destra racconta l’intervento miracoloso del Santo Patrono in occasione dell’assedio alla città di Alatri, compiuto da Federico II di Svevia nel 1243. Tra i presenti all’iniziativa anche il sindaco, Maurizio Cianfrocca, il quale ha sottolineato come nella città di Alatri ci sono ancora tanti tesori che devono essere portati alla luce, ma  che soltanto con la collaborazione di tutti questo potrà realizzarsi. di Emanuela Sabellico

Museo diocesano di Alatri: questi i membri del Comitato scientifico

Il vescovo Ambrogio Spreafico ha nominato, a far data dal 25 marzo e “ad triennum”, i membri del Comitato scientifico del Museo diocesano di Alatri nelle persone di: don Italo Cardarilli, professor Mario Ritarossi, dottoressa Maria Elena Catelli, dottor Luca Attenni.

Il vescovo: «San Sisto ci aiuti ad essere donne e uomini che profumano di pace e amore per tutti!»

Questo il testo dell’omelia pronunciata da monsignor Ambrogio Spreafico nella Messa solenne in onore del patrono San Sisto, in Alatri, mercoledì 3 aprile 2024 ——————————————————————- Sorelle e fratelli, fare memoria di un santo non può essere la semplice ripetizione di un rito con lesue caratteristiche e reminiscenze (sarebbe troppo poco!), ma è poter rivivere la storia di qualcunoche ha accolto l’annuncio della Pasqua come una possibilità di vita e di futuro, non solo dopo lamorte, ma già nella vita terrena. Oggi siamo un po’ tutti facilmente chiusi in noi stessi, occupatinell’esecuzione dei nostri giusti doveri e impegni, a volte stanchi e pieni di paure e delusioni per unmondo dove si fatica a vivere insieme. Così cresce la tristezza, la rinuncia alla solidarietà, lo scontroinvece del dialogo. La rabbia e l’odio diventano un modo di vivere, diventano violenza. La guerraci sembra normale, anche se la detestiamo, ma forse solo per le sue nefaste conseguenze. Il facilegiudizio, in genere malevolo, ci tiene distanti degli altri invece di avvicinarci, ascoltarci e aiutarci.Che fare, ci chiediamo? O forse meglio: che posso fare io con tutto quello che ho già di mio? Cosìsi abbassa lo sguardo e si finisce per vedere solo se stessi e poco oltre. La Pasqua, fratelli e sorelle,anzitutto ci fa alzare gli occhi, come fece alzare gli occhi a Pietro e Giovanni. “Fissando lo sguardosu di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: “Guarda verso di noi”. Era un poveretto, storpio fin dallanascita, che ogni giorno portavano alla porta del tempio, il luogo della preghiera, a chiederel’elemosina. Che fare? Quanti, come quell’uomo chiedono l’elemosina, chiedono cioè di esseraiutati, per le strade delle nostre città o davanti alle nostre chiese. Nella preghiera di quell’uomo sinasconde quella di un numeroso popolo di poveri, di anziani, di gente che non ha nulla, di famigliebisognose di tutto, di profughi da guerre e miseria, e molti altri. Chi li guarderà? Chi si fermerà adascoltare la loro supplica? La risposta di Pietro potrebbe sembrare non adeguata al bisogno diquell’uomo, eppure fu la risposta, perché i bisognosi e i poveri non si aiutano solo dando quantoessi chiedono. “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo,il Nazareno, alzati e cammina! Lo prese per la mano destra e lo sollevò”. Il Vangelo della Pasqua èuna forza di amore, è una parola che risponde al bisogno di vita, di guarigione dei tanti parte di quelpopolo, aiutandoci a prenderci cura di loro. Sì, possiamo superare la distanza dagli altri, da chi habisogno, guardando, avvicinandoci, dando la mano e sollevandoli dal loro dolore, dal male che liaffligge, con gesti e parole di speranza. Non sarebbe bello e umano un mondo così? I cristiani cicredono. Noi vogliamo crederci e per questo scegliamo di non scappare più davanti al bisogno e alladomanda di aiuto di un altro, come fecero il levita e il sacerdote della parabola del Buonsamaritano. Chi di noi non conosce qualcuno che avrebbe bisogno del nostro sguardo, di essereascoltato, delle nostre parole, della nostra cura? Non continuare a far finta di niente, maledicendo il tempo e il mondo, dando la colpa agli altri delle cose che non vanno, e rimanendo così triste e rancoroso, senza risolvere niente, come se il bene dipendesse solo dagli altri.Ma Gesù sa che facciamo fatica a fare questa scelta. Ci conosce. Sa che spesso camminiamodelusi e tristi, incapaci di alzare lo sguardo, di guardare oltre, oppressi dai nostri problemi e fatiche.Così si avvicina, come fece con i due discepoli che scendevano da Gerusalemme a Gerico. Oggi misembra di vedere il nostro santo patrono che cambia strada proprio per avvicinarsi a questa città e aognuno di noi, per aiutarci a credere in quell’amore in cui egli ha creduto, nel Vangelo della Pasqua,la buona notizia della Pasqua. Con Gesù si avvicina, ci parla, dialoga, ci chiede di spiegare la nostradelusione e la tristezza del cuore, e poi ci aiuta con le Sante Scritture, la Bibbia, quella parola di Dioantica con cui Dio Padre aveva parlato al suo popolo Israele e oggi in Gesù parla ancora a noi. Cosìci spiega con pazienza, e anche a noi comincia ad ardere il cuore, perché percepiamo il grandeamore che il Signore ha per noi e che vorrebbe noi vivessimo per essere un popolo fraterno, di genteche sa vivere insieme in modo rispettoso e pacifico, in cui tutti possano avere un posto e unadignità, quella che tutti trovano nella famiglia di Gesù, senza escludere nessuno.San Sisto, papa e martire, ci indica proprio questo. Papa, cioè segno di unità dei discepoli di Gesù– allora la Chiesa era unita – nella frammentazione di un mondo sempre più in guerra. Martire, unuomo che non ha rinunciato a credere che la fede nel Signore morto e risorto lo avrebbe salvatodalla morte eterna. Oggi si avvicina a noi, a questa città, a questa bella terra, per dirci: non averepaura, affidati al Signore, ascoltalo, e lui ti aiuterà, ti salverà e ti renderà forza di amore e di pace inun mondo che ama più la guerra della pace, ti darà lo sguardo per accogliere tutti come parte dellagrande famiglia umana, unita dall’amore di Dio e dalla tua responsabilità di renderla tale ognigiorno! Ricordati che troverai la felicità solo nel bene che saprai fare, nella scelta di prenderti curadegli altri, a cominciare da chi ha bisogno del tuo aiuto, del tuo ascolto, della tua parola, della tuatenerezza, della tua presenza amorevole. Signore Gesù, che ci hai dato San Sisto come amico epatrono, aiutaci con lui ad essere donne e uomini che profumano di pace e di amore per tutti! Amen

“Chiamati ad essere donne e uomini per gli altri”: le parole del vescovo alla Messa per il miracolo eucaristico di Alatri

Nel giorno in cui si rinnova la memoria del miracolo eucaristico dell’Ostia incarnata, mercoledì 13 marzo il vescovo Ambrogio Spreafico ha presieduto una solenne celebrazione della Concattedrale di Alatri, concelebrata con il vicario diocesano don Alberto Ponzi, il parroco don Walter Martiello, i parroci di Alatri e quattro sacerdoti della diocesi di Verona, nell’ambito di quel gemellaggio della fede su cui torneremo tra poco. Nell’omelia, dopo aver ricordato che l’Ostia incarnata «è un segno prodigioso e noi abbiamo bisogno anche di segni per ritrovare il senso della fede», il vescovo ha preso le mosse dal brano del Vangelo proclamato poco prima dal diacono Giovanni Straccamore (“In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita”) per rimarcare come «oggi è tanto difficile vivere, in un mondo dove ci sono quelli che uccidono gli altri, come è accaduto l’altro giorno a Frosinone o anche qui ad Alatri, e non una sola volta; in un mondo dove ci sono le guerre e tanta prepotenza, solo per affermare se stessi. Ma noi ascoltiamo Gesù che parla? Portiamo nel cuore quella Parola senza la quale non possiamo vivere? La Parola di Dio è presenza reale in mezzo a noi? Oggi invece diamo tutto per scontato, anche la violenza, e pensiamo sempre: ma cosa posso fare io?». Ma non è «continuando a vivere così così – ha aggiunto il vescovo – che le cose possono cambiare. Però siccome Dio è grande e noi siamo piccoli, anche se c’è tanta gente che si innalza e pensa di avere sempre ragione, Dio non ci condanna, ma continua a parlarci con grande amore e non si dimentica certo di noi», ha aggiunto Spreafico richiamando anche il testo di Isaia della prima lettura «Quanto è grande l’amore di Dio per noi – ha ripreso il vescovo – Ci conosce e sa che siamo un po’ così così: un giorno ascoltiamo e l’altro facciamo finta di niente. Ma Lui ritorna, ci riparla, rinnova il Suo amore. Il Signore ci ha formato e a noi cristiani, tramite il Battesimo, ci ha voluto profeti, donne e uomini portatori del Suo amore, della Sua presenza». Da qui, ha aggiunto monsignor Spreafico, discende che «abbiamo una missione: siamo chiamati ad essere donne e uomini per gli altri, ovunque ci troviamo, anche nel nostro piccolo mondo di questa terra. Il Signore conta su di noi: su ognuno, individualmente, e insieme, come popolo. Dobbiamo ritrovare questa capacità di essere profeti e portare agli altri luce e speranza, senza cedere alle armi di diversa natura, comprese le parole che spesso fanno male, e allora è meglio tacere che straparlare». Il vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino ha quindi invitato i presenti anche ad abbandonare quel velo di pessimismo che spesso ci porta a dire «ma io cosa posso fare? Possiamo vivere la Parola che Dio ci ha donato, vincere la violenza con la mitezza, l’amore, la gentilezza, la tenerezza». A questo punto Spreafico si è rivolto ai sacerdoti e ai laici arrivati da Verona, dove nelle scorse settimane l’Ostia incarnata ha compiuto un pellegrinaggio di fede, ringraziando gli ospiti e salutando tramite loro il vescovo di Verona, Domenico Pompili, originario della diocesi di Anagni-Alatri e già parroco proprio della Concattedrale di Alatri. E a nome della diocesi veronese ha quindi preso la parola don Bruno Gonzaga, dopo aver donato alla Chiesa di Alatri una statua in terracotta di San Zeno, patrono di Verona, e aver ringraziato monsignor Spreafico e il sindaco Maurizio Cianfrocca, pure presente alla cerimonia accompagnato dal gonfalone ufficiale della Città di Alatri: «Il pellegrinaggio dell’Ostia incarnata a Verona è stato un segno straordinario di fede. Dovunque abbiamo avuto chiese piene, ad iniziare dalla Cattedrale, colma di fedeli fino all’inverosimile quando è arrivata la reliquia del miracolo di Alatri. Il pellegrinaggio ha avuto luogo in 15 chiese e in un monastero di clausura e dappertutto abbiamo avuto Messe molto partecipate, adorazioni notturne, file di fedeli ai confessionali. Davvero il Signore è passato in mezzo a noi perché è proprio vero che quando si muove Cristo, si muovono le folle», ha concluso don Gonzaga, anche lui, come tanti presenti, ancora visibilmente commosso. di Igor Traboni (nelle foto: un momento della Messa e il dono alla Chiesa di Alatri di una statua di San Zeno, patrono di Verona, da parte della diocesi veneta)

Miracolo eucaristico di Alatri: le celebrazioni

Da martedì 12 a domenica 17 marzo si rinnova ad Alatri la devozione verso il miracolo eucaristico, detto anche dell’ostia incarnata, con il momento centrale che verrà vissuto mercoledì 13 con la Messa presieduta dal vescovo Ambrogio Spreafico e il rinnovarsi del recente gemellaggio di fede stabilito con Verona, di cui diremo meglio tra poco. Ricordiamo innanzitutto che il miracolo risale al 1228 quando – secondo una tradizione così tramandata – una ragazza del posto, delusa da un amore finito, si recò da una fattucchiera e questa le suggerì di bere un filtro magico, che però andava preparato con un’ostia consacrata. La ragazza andò quindi a comunicarsi ma riuscì a nascondere l’ostia e la nascose in un fazzoletto, riponendola in una madia, ma non portandola subito dalla fattucchiera perché presa da sensi di colpa. Quando si decise a farlo, tre giorni dopo, invece della particella bianca trovò un’ostia viva, di carne e rossa di colore. Si rivolse quindi ad un sacerdote e questi al vescovo che a sua volta interpellò papa Gregorio IX; il pontefice riconobbe l’avvenuto miracolo e lo certificò con una Bolla del 13 marzo 1228. Da allora la devozione non è mai venuta meno e da secoli l’ostia si trova in un ostensorio-reliquiario conservato nella Concattedrale di San Paolo (Civita), con quello di Alatri che è stato inserito a pieno titolo nel novero dei miracoli eucaristici italiani. Tornando al programma religioso di questi giorni, martedì  12 si comincia con la Messa in Santa Maria Maggiore, alle 17.30 e, a seguire l’adorazione eucaristica. Il 13 marzo, giorno anniversario della Bolla “Fraternitas tuae” di papa Gregorio IX, dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 17.15 l’ostensorio verrà debitamente esposto alla visione e alla preghiera dei fedeli, con un servizio di vigilanza garantito dai volontari dell’associazione carabinieri in congedo. Alle 17, e prima della processione con la reliquia, il vescovo Ambrogio Spreafico presiederà la solenne celebrazione eucaristica, assieme a 4 sacerdoti della diocesi di Verona, che torneranno in Ciociaria, assieme ad un gruppo di fedeli, a poche settimane di distanza dal pellegrinaggio dell’ostia incarnata di Alatri nella diocesi veneta. Un pellegrinaggio che ha visto migliaia di fedeli nelle varie tappe tra chiese, monasteri e altri luoghi di culto a Verona e dintorni.  Domenica 17 marzo, infine, sempre in Concattedrale, con inizio alle 17, si terrà la rassegna di musica corale sacra, giunta alla 18^ edizione, con la partecipazione delle corali di Alvito, Veroli e Alatri.

Il vescovo al funerale di don Mariano: «Sacerdote buono, colto ma umile»

«Un sacerdote buono, pieno di amore e vicinanza verso le persone che man mano gli sono state affidate nel suo ministero pastorale: i seminaristi, i malati, i giovani, gli adulti. Un uomo colto ma al tempo stesso umile». Così il vescovo Ambrogio Spreafico, nella Messa per il funerale celebrata martedì 27 febbraio nella Concattedrale di Alatri, ha ricordato alcuni tratti salienti di don Mariano Morini, morto nel primo pomeriggio di lunedì 26 febbraio, a 84 anni. Il vescovo ha voluto ricordare per l’appunto anche la grande cultura di don Mariano, sempre accompagnata da uno spirito umile, con la sua profonda conoscenza dell’ebraico, del greco, del latino (sono passate alla storia le sue immediate traduzioni già quando i professori dettavano la traccia di una versione in italiano), della matematica, delle scienze varie, ad iniziare dalla sua passione per l’astronomia. Insieme al vescovo hanno concelebrato una quindicina di sacerdoti, alla presenza di tanti fedeli, soprattutto di San Silvestro, dove era stato amato parroco, e della Maddalena, altra comunità che ha servito. E non a caso i cori di San Silvestro e della Maddalena hanno accompagnato il rito funebre. Per tanti anni don Mariano è stato anche cappellano dell’ospedale di Alatri, sempre stabilendo con tutti – medici, personale parasanitario e degenti – un rapporto di vicinanza e presenza costante. Don Mariano era il primo di sei fratelli: due sorelle, Giuseppina e Elena, e tre fratelli Luigi, Carlo e Paolino. Ordinato sacerdote il 3 luglio del 1965, ha svolto il suo primo incarico presbiterale come vicerettore del seminario minore di Alatri, fino al 1978. Dal 1965 è stato  anche canonico del Capitolo Cattedrale di Alatri. Lasciato il Seminario, era diventato, come detto, cappellano dell’ospedale civile di Alatri e della chiesa della Maddalena. Nel 1992 è stato nominato parroco di San Silvestro e vi è rimasto fino al 2016. Dal 2008 è stato amorevolmente accudito nel Seminario di Alatri e Giovanni Meta è stato il suo badante. Anche il sindaco di Alatri, Maurizio Cianfrocca, in un post sui social ha voluto ricordare don Mariano e la sua grande azione pastorale, culturale e sociale a servizio della città

Il Vescovo agli operatori pastorali: «Unità e comunione»

Ecco il testo completo dell’intervento di monsignor Ambrogio Spreafico per l’incontro interdiocesano degli operatori pastorali, tenutosi nella chiesa di Santa Maria del Carmine, a Tecchiena, domenica 25 febbraio 2024:  ——————————————————————– La Chiesa come assemblea Cari amici e amiche, come ormai si usa dire oggi, siamo qui nel tempo di Quaresima per aiutarci a vivere la nostra vita cristiana in questo mondo complesso e difficile, dove sembrano vincere le guerre e la violenza, ma insieme l’assuefazione che ti fa pensare che tanto tu non puoi mai far niente. A parte il lamento e la recriminazione, dipende sempre tutto dagli altri. All’inizio della quaresima abbiamo ascoltato un invito di Dio attraverso il profeta Gioele, che non viveva certo in un tempo migliore del nostro. “Ritornate a me”, ripete il Signore. E per ritornare dice al profeta: “Convocate un’assemblea”, un popolo, una comunità. “Ritornare” è cambiare e convertirsi, come si dice di solito. Ma convertirsi è tornare a Dio anzitutto. Ma, sottolinea il profeta, tornare insieme, come popolo, come comunità. Ma noi ci crediamo che la Chiesa è comunità, popolo, e non un insieme di individui, in cui ognuno fa la sua strada, che si incrocia con quella degli altri perché almeno ogni tanto, forse la domenica si incontra con quella degli altri? Siamo in un mondo di io. Il Covid lo ha evidenziato, ci ha abituato a stare da soli, a connetterci on line, ma non nella vita. E così spesso si continua. Cari amici, per sua natura, per fondamento, ogni cristiano appartiene a un “noi”, non è mai solo un individuo che cammina da solo. Questo è già evidente nell’esperienza del popolo di Israele come è narrata dalla Bibbia, poi fatta sua da Gesù di Nazareth e dalla Chiesa nascente. Israele si concepisce come popolo, come assemblea, come insieme di individui che condividono una fede e di conseguenza un’etica del vivere, che diventa anche un costituirsi particolare all’interno del mondo. Per l’Israele della storia ciò non ha mai significato l’identificazione con un particolare modello giuridico e politico: si è passati da una unità di tribù senza un governo unico (i giudici) alla monarchia (Davide…), all’assenza di qualsiasi espressione politica unitaria e indipendente (la diaspora), per poi giungere ai giorni nostri a uno stato, ma anche a un popolo che si riconosce nella dispersione dei popoli come partecipe di un’unità legata all’origine, solo in parte alla fede e a un’etica comune. Era tanto forte il senso di appartenenza e di interdipendenza che un profeta del VI secolo a.C., Ezechiele (cap. 18), dovette intervenire per affermare la responsabilità individuale di fronte al male commesso, per evitare che la colpa di un delitto fosse attribuita non all’individuo ma a tutta la sua famiglia. E’ la stessa convinzione che Gesù combatte nel racconto giovanneo del cieco nato in Giovanni 9. Quest’idea fortemente assembleare del vivere insieme dei credenti nel Dio di Israele contiene una verità affermata dalla Bibbia fin dall’inizio: la necessità del genere umano di concepirsi, e conseguentemente di vivere, come individui interdipendenti l’uno dall’altro. Il racconto di Caino e Abele, collocato proprio nei primi capitoli del libro sacro, costituisce un paradigma di questa necessità assoluta, perché il venir meno ad essa conduce a una violenza omicida che mette in pericolo il progresso stesso dell’umanità. Per la Bibbia non esiste un soggetto del tutto indipendente e quindi staccato dalla collettività. Lo stesso avvenne fin dall’inizio dell’attività di Gesù, che costituì un gruppo di uomini che lo seguivano stabilmente formando una comunità. Questa dimensione viene descritta come fattore essenziale delle prime comunità cristiane soprattutto negli Atti degli Apostoli. Il termine koinonia, comunione, ne è l’espressione compiuta. La Chiesa si costituisce così come una koinonia di uomini e donne che fanno riferimento a un unico Maestro e Signore. Atti 2,42-47 descrive in maniera concreta il senso della “comunione” della prima comunità di Gerusalemme, modello di ogni Chiesa locale, ma anche dell’insieme della Chiesa universale. .…Joseph Ratzinger scriveva in un articolo “La Chiesa «Communio»”: “In quest’unico testo (At 2,42) si delineano così i numerosi livelli della communio cristiana, che ultimamente rimandano a un’unica e identica comunione: la comunione con la parola di Dio incarnata, la quale mediante la sua morte ci rende partecipi della sua vita e ci vuole così condurre anche al servizio reciproco, alla comunione visibile e concreta” (in: Fede, ragione, verità e amore. La teologia di Joseph Ratzinger, un’antologia a cura di Umberto Casale, p. 342). La comunione ha un fondamento teologico, che poi si esprime, proprio per questo fondamento, come comunione tra uomini e donne. La koinonia è chiamata a diventare comunione di beni. I sommari del libro degli Atti (2,42-47,4,32-35; 5,12-14) non puntano sul distacco dai beni materiali o su un ideale di povertà. Invece, puntano sulla condivisione: se si condivide quello che si ha non è per essere povero, ma perché non ci siano poveri nella comunità. La koinonia prende il volto concreto quando c’è una condivisione che assicura a ciascuno quello di cui ha bisogno. Non esiste una comunità degna di questo nome se gli uni vivono nell’abbondanza mentre che gli altri passano la fame.  La comunione come solidarietà e condivisione Nella comunione cristiana si vive perciò la solidarietà, soprattutto a partire dai membri più bisognosi. L’apostolo Paolo descrive molto bene l’appartenenza a un solo corpo, affermando che proprio le parti “del corpo che sembrano più deboli, sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto” (1 Cor 12,22-23). Così nella comunione della Chiesa l’attenzione e la sollecitudine per i poveri ha un innegabile primato, che già troviamo nei Vangeli e che Giovanni XXIII esplicitava in quella frase famosa: “Chiesa di tutti, e particolarmente dei poveri”. La ben nota “opzione per i poveri”, nata in comunità cristiane che contestavano la ricchezza interna ed esterna e chiedevano giustizia, è in verità parte integrante e necessaria del modo di vivere del cristiano. Negli Atti degli Apostoli la “comunione” si esprime anche nel fatto che “tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni

Alatri: il vescovo in visita in ospedale e alla parrocchia della Fiura

Sabato 10 e domenica 18 febbraio il vescovo Ambrogio Spreafico ha fatto visita ad Alatri a due importanti realtà: una, l’ospedale San Benedetto, importante per l’intero territorio diocesano ma anche per quello provinciale, e l’altra – la parrocchia della Fiura – tra le più grandi presenze pastorali della città, con i suoi circa 4.500 abitanti e un territorio che arriva fino ai confini con Veroli e Collepardo. All’ospedale di Alatri il vescovo è stato accolto dal cappellano, don Alessandro Tannous, e con questi ha celebrato Messa al cambio turno delle 14, così da dare la possibilità a più personale possibile, sia medico che paramedico, di partecipare al rito, insieme ai malati che hanno potuto deambulare fino alla cappella ospedaliera. Spreafico, che ha così voluto suggellare le celebrazioni per la Giornata del malato insieme a quella interdiocesana di Fiuggi di domenica 11 febbraio, nel corso dell’omelia ha ricordato l’importanza di farsi prossimi con i malati e i sofferenti. La solitudine per queste persone è ancora più brutta, ha argomentato il vescovo, e tutti noi siamo chiamati a dare del tempo alle persone, a comunicare con gli altri, a non vivere isolati, in tanti “io” che non producono niente e che, anzi, fanno solo intristire le persone, giovani compresi, tutti intenti solo a pigiare sul telefonino, a chattare, senza curarsi del vicino di casa solo, dell’anziano che non ha nessuno che lo vada a visitare. Nella mattinata di domenica 18 febbraio, poi, il vescovo è tornato ad Alatri, nella contrada della Fiura e nella sua parrocchia, dedicata a Santa Maria della Mercede. Anche qui, insieme al sindaco Maurizio Cianfrocca,  è stato accolto da don Alessandro Tannous, il sacerdote che, insieme all’ospedale, porta avanti quest0altro compito pastorale. Originario del Libano, 47 anni, don Alessandro ora è anche cittadino italiano ed è parroco a La Fiura dal 2020, dopo aver servito in precedenza la parrocchia di Collepardo. Il vescovo Spreafico ha celebrato la Messa delle 11 e nel corso dell’omelia ha invitato a rapporti sempre più umani, nel segno della fratellanza e non di quelle critiche che servono solo a distruggere l’altro. «C’è bisogno di recuperare una dimensione sempre più umana e di costruire rapporti di armonia, di simpatia, senza star sempre lì a correre da una parte all’altra». Il vescovo ha benedetto anche gli anelli di una coppia di sposi della contrada, Giselda e Loreto, nel 50° di matrimonio e, al termine della Messa, si è intrattenuto a lungo con i fedeli per scambiare due chiacchiere.

L’Ostia Incarnata è tornata ad Alatri dopo la peregrinatio a Verona

Il 12 febbraio si è conclusa la peregrinatio della reliquia dell’Ostia Incarnata del Miracolo eucaristico di Alatri in alcune parrocchie della diocesi di Verona. La reliquia è stato presa in consegna dalla delegazione della diocesi di Anagni Alatri, composta dal Vicario generale Mons. Alberto Ponzi, da don Edoardo Pomponi e don Pierluigi Nardi e quindi riportata in Ciociaria e ricollocata in sede nella concattedrale San Paolo di Alatri. La peregrinatio ha rappresentato ovunque, nelle parrocchie e chiese della diocesi veronese, un momento intenso di preghiera, come auspicato dal vescovo Ambrogio Spreafico nella Messa ad Alatri per la consegna della reliquia.

L’alfabeto della pace dei ragazzi delle “parrocchie in comunione con Maria”

Dalla A di Amore alla Z di Zelo, passando per la D di Donare, la P di Perdono, la S di Speranza e perfino la H, la “mutina” di un tempo tanto trascurata e che invece hanno accostato magnificamente alla parola Happy. Così i ragazzi della catechesi dell’unità pastorale delle “parrocchie in comunione con Maria” hanno scritto un grande e meraviglioso Alfabeto della pace, raccogliendo in pieno l’invito fatto loro dal vescovo Ambrogio Spreafico che domenica scorsa, 21 gennaio, li ha incontrati nella chiesa di Mole Bisleti (vedi altro articolo sul sito). Durante il catechismo, insieme al parroco don Luca Fanfarillo e agli educatori, i ragazzi hanno poi approfondito i concetti espressi dal vescovo Ambrogio – con il consueto linguaggio affabile così da arrivare a tutti – e ne hanno tirato fuori 21 parole, tante quante sono le lettere dell’alfabeto, a comporre un mosaico che sa di Bontà, Rispetto, Tolleranza, Unione, tanto per citare solo alcuni degli altri termini scelti. Un alfabeto per i loro coetanei, indubbiamente, ma che dovrebbe esser mandato giù a memoria – e messo in pratica – anche e soprattutto dai grandi. Igor Traboni