Oltre la pandemia: riprendere il cammino nella responsabilità solidale e fraterna
La pandemia da Covid-19 è un’ombra che sta coprendo l’intero pianeta mettendo a dura prova l’umanità intera. Stiamo vivendo tutti una situazione di difficoltà inedita, drammatica, assolutamente destabilizzante. L’umanità intera è squassata da questa tempesta inattesa e si è scoperta impreparata a gestire l’emergenza. Tutti, a cominciare dal sottoscritto, si sono trovati impreparati. È come se avessimo ricevuto sul volto un pugno tanto inatteso quanto assolutamente crudo e brutale che ci ha fatto barcollare e quasi andare al tappeto. Siamo tutti come un pugile “suonato” che si sta guardando attorno smarrito e sta cercando di rialzarsi nella speranza di trovare un appoggio a un punto fermo. Ecco: dovremmo rialzarci. Dobbiamo rialzarci e riprendere il cammino. Ma, da dove ripartire? E come ripartire? “Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendosi in noi stessi”. Così ha affermato Papa Francesco nell’omelia della Messa di Pentecoste indicando “tre nemici del dono sempre accovacciati alla porta del cuore: il narcisismo, il vittimismo e il pessimismo” (31 maggio u.s.). Per rinascere e ripartire bisogna guardare avanti non con la falsa retorica dell’ottimismo ad oltranza e dei proclami, ma con la solida e affidabile speranza cristiana, fondata sulla fede nella promessa di Dio che, nonostante le smentite della cronaca e della storia, mai e poi mai abbandona i Suoi figli e che a loro dà tutto ciò che serve per attraversare qualsiasi tempesta della vita rimanendo nel Suo amore e nella Sua pace. Non basta dire “andrà tutto bene”, anche se bene non va. L’ottimismo guarda il bicchiere mezzo pieno, ma il bicchiere non si riempie. Sono gli occhi della speranza che vedono quello che non c’è e che ci fa riposare sul cuore di un Dio per cui siamo più importanti dei passerotti che cadono e di un capello della nostra testa. Da dove ripartire? Prima di tutto dal Vangelo, dall’illuminazione che ci dona, dallo sguardo sulla vita che ci propone, dall’atteggiamento di Gesù in cui dobbiamo specchiarci. Il Vangelo non ci propone cose strane, ci offre un’illuminazione che non è frutto di tecniche ed esercizi particolari, ma è la conseguenza di una nuova coscienza di noi stessi come figli, che hanno “conosciuto” il Padre attraverso Gesù Cristo, e degli altri come fratelli e sorelle. Questa luce ci fa vedere la realtà così come è e non come viene falsata dalla proiezione dei nostri desideri, delle nostre paure e dei nostri incubi. Inoltre il dono dello Spirito permette a noi credenti di leggere la storia alla luce della Pasqua che è anche anticipo del nostro futuro. La logica della croce – risurrezione è la verità ultima, la chiave di lettura della nostra vita, il criterio per vivere nella verità. Infatti, se dovessimo leggere la storia solo alla luce del presente, a volte opaco e deludente, concluderemmo che l’amore, il dono e la gratuità (i tratti essenziali della vita di Cristo) sono sconfitti e perdenti. Invece, leggendo il presente alla luce della sapienza di Dio manifestatasi nella risurrezione del Crocifisso, siamo in grado di capire come solo l’amore ostinato – anche se smentito e crocifisso – costruisce la storia ed è il fondamento di una esistenza solida. Infine il nostro vero specchio è l’atteggiamento di Gesù verso la gente: “Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Mt 9,36). L’ansia per la salvezza, la passione per il Regno, la “compassione” di Gesù per la gente, che si declina in una attività di annuncio e di guarigione – cura per la persona, vanno assolutamente condivise … E questo – mi permetto di dire – soprattutto da chi, come noi, è coinvolto nel ministero pastorale e di guida dei propri fratelli e sorelle. Inoltre, nel riprendere il viaggio con una buona dose di consapevolezza occorre prendere atto di due realtà che sono emerse in maniera netta in questa situazione di difficoltà inedita e così drammatica: la precarietà e il limite, che segnano l’esistenza individuale e collettiva, e in cui siamo tutti connessi; l’interdipendenza di tutti noi: noi siamo parte dell’umanità e l’umanità è parte di noi. Il limite pervade la nostra esistenza. Siamo tutti “precari”. E i poveri non sono una categoria a parte e che non ci riguarda: tutti possiamo diventare poveri da un momento all’altro. Perché ognuno di noi, in cinque minuti, può perdere la salute, le sostanze, la tranquillità familiare, l’equilibrio personale … E siamo solidali nella vulnerabilità e nel limite. Dobbiamo assolutamente riconoscere la precarietà della nostra vita che è mortale. Ma, insieme, occorre nutrire la speranza che non lo sia il mistero d’amore che la percorre e l’attraversa. La pandemia, come ogni “pestilenza” e le altre malattie contagiose, fa di ciascuno di noi, senza che lo vogliamo, un colpevole e una vittima. Siamo portati a vedere nell’altro una minaccia “infettiva” da cui prendere le distanze e proteggersi. Occorre vincere questa tendenza! Bisogna riconoscere che siamo affidati gli uni agli altri ed è necessario fare il passaggio dalla interconnessione di fatto alla solidarietà voluta. Abbiamo avuto, soprattutto nella fase acuta del “Coronavirus”, tanti esempi di “passaggio” verso azioni responsabili e atteggiamenti di fraternità (operatori sanitari; volontari; ricercatori e scienziati; tanti papà e mamme; anziani e giovani; responsabili delle comunità religiose). L’attenzione maggiore, però, va offerta soprattutto ai più fragili: agli anziani e ai disabili! Non è, infine, di poco conto prestare molta attenzione a come si parla dell’agire di Dio in questa congiuntura storica. Bisogna, soprattutto, prendere le distanze da quello schema rozzo e blasfemo che stabilisce una corrispondenza tra peccato e colpa da una parte e punizione dall’altra; tra “lesa maestà divina” e “rappresaglia sacra” … Ricordo solo che il Dio di Gesù Cristo non passa l’eternità a progettare vendette né spreca la Sua onnipotenza nel comminare castighi … L’asse attorno a cui gira la storia non è il peccato dell’uomo, ma l’amore di Dio: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito …” (Gv 3,16). E ricordo, soprattutto, una della più belle e consolanti parole di