L’omelia del Vescovo Santo, ad Anagni, per la professione di una monaca Clarissa

Questo il testo dell’omelia pronunciata dall’arcivescovo Santo Marcianò alla celebrazione per la professione temporanea di suor Maria Chiara Pacifica, presso la chiesa delle monache Clarisse – Anagni, 3 ottobre 2025 Carissime Sorelle Clarisse, carissima Maria Chiara, è un momento di gioia, è un momento di festa, è un momento di Grazia! Celebrare la solennità di San Francesco con la tua Professione Temporanea è un Dono immenso per te, per la vostra Comunità di Clarisse, per tutta la nostra Diocesi. È un Dono per me che, all’inizio di un nuovo Ministero, posso sentimi accolto – e vi ringrazio molto! – da quella preghiera alla quale mi sono voluto affidare ancor prima di entrare fisicamente in questa nostra terra. L’ho fatto con una Lettera inviata a voi claustrali e a tutti i contemplativi nella Festa della Trasfigurazione del Signore, consegnandovi tre parole tratte dal Vangelo (Lc 9,28b-36): il Volto, la Veste, la Voce. Un Mistero grande la Trasfigurazione! E se qualcuno lo ha vissuto pienamente, venendo a sua volta trasfigurato a immagine di Cristo, è stato proprio San Francesco il quale, scrive il Celano nella Vita Prima, «Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra»; e «proprio perché portava e conservava sempre nel cuore con mirabile amore Gesù Cristo, e questo Crocifisso (1 Cor 2,2), perciò fu insignito gloriosamente più di ogni altro della immagine di Lui»[1]. Chiara seppe vedere questa immagine di Cristo in Francesco e volle seguirne le orme, per andare dietro a Gesù; e tu ti sei incamminata sulle orme di Chiara, attratta dalla santità grazie alla quale Ella, secondo le testimonianze, attraeva già le prime donne con «la fragranza del suo profumo (cfr. Ct 1,3)»[2]. Nella Bolla di riconoscimento, Innocenzo IV definisce così «la forma di vita dell’Ordine delle Sorelle Povere, istituita dal Beato Francesco: osservare il Santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità»[3]. Oggi tu, Maria Chiara, emetti questi primi Voti, per seguire Gesù; li accolgo e, con la Parola di Dio, ti consegno ancora le tre parole: il Volto, la Veste, la Voce. «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita», abbiamo cantato nel Salmo 15 (16) che, sappiamo, è un Salmo Sacerdotale; e lo è anzitutto per il riferimento al «calice». Nel processo di canonizzazione si dice di S. Chiara «Quando stava per ricevere il Corpo del Signore versava prima calde lacrime e, accostandosi quindi con tremore, temeva Colui che si nasconde nel Sacramento non meno che il Sovrano del cielo e della terra»[4], si dice di Santa Chiara. Un amore per l’Eucaristia, il suo, che non è devozioni stico ma carico di affetto, di timore, di passione. È l’amore di chi ha dinanzi un Volto e si commuove nel riceverLo, imparando adadorarLo. Si radica qui, Maria Chiara carissima, il Voto di Castità: nel Volto. Un Volto da amare con tutta te stessa – con il corpo, gli affetti, l’interiorità -; da adorare con dedizione, tempo e tenerezza; un Volto Sacramento di Colui che ti ha rapito il cuore. È interessante che Benedetto XVI veda in questo Salmo la castità del celibato sacerdotale il cui «vero fondamento», dice, «può essere racchiuso solo nella frase: Dominus pars – Tu sei la mia terra. Può essere solo teocentrico. Non può significare il rimanere privi di amore, ma deve significare il lasciarsi prendere dalla passione per Dio, ed imparare poi grazie ad un più intimo stare con Lui a servire pure gli uomini»[5]. Nella vita di clausura, il servizio ha le sue peculiarità. Non è certamente una forma di apostolato attivo ma è comunque un «giogo», che ha il suo peso e, per così dire,vi lega le une alle altre. Un giogo che viene da Dio, nel Vangelo (Mt 11,25-30) Gesù ce lo assicura, e che è «dolce» e «leggero» se sappiamo viverlo nell’obbedienza: «imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita». Fare Voto di Obbedienza, cara Maria Chiara, richiede di ascoltare la Voce di Gesù, che sempre ci riporta alla bellezza dell’umiltà e della fraternità, cuore di ogni servizio. Te lo insegna anche la tua Madre la quale «inverso le Sore sue era umile, benigna et amorevole, et aveva compassione delle inferme; e mentre che essa fu sana, le serviva e lavava a loro li piedi e dava l’acqua alle mani»[6]. Non smettere di ascoltare lei, che si fa Voce dello Sposo della tua anima. E obbedire ti sarà leggero anche nei momenti più duri, come è il giogo di Cristo per i cuori umili e poveri. E infine, ecco la povertà. Quella “Madonna Povertà” che Francesco amava come Sposa. Cosa rappresenta e come raggiungerla? Non basta aver rinunciato a tanti beni, neppure aver rinunciato a tutto, questo lo capisci. Bisogna arrivare a fare l’esperienza di Paolo nella prima Lettura (Gal 6,14-18): «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo». Il Crocifisso: c’è forse un’immagine di Povero più reale, scandalosa, forte? Per vivere la povertà, dice Paolo quasi commentando la vita di Francesco, bisogna che tutto non sia solo “lasciato” ma «crocifisso»; trasformato in un’offerta d’amore fatta da chi, per amore, si offre, si lascia crocifiggere con Lui. È Lui, il Cristo Povero, il motivo vero della povertà: lasciare tutto, crocifiggere il mondo, significa trovare Lui e farti rivestire di Lui. Sì, la Veste che Gesù dona al tuo e al vostro Voto di Povertà, care sorelle, è Lui! E questa povertà, nell’economia della salvezza, potrà rivestire tanti fratelli poveri di pane, di dignità, di pace… poveri di Dio. «Il Crocifisso amato ricambia l’amante e colei che tanto è infiammata d’amore per il mistero della Croce, è per virtù della Croce resa luminosa dà segni e miracoli»[7], si diceva
