Preghiera ecumenica: la riflessione del vescovo Ambrogio
(Preghiera ecumenica, Tecchiena 24 gennaio 2025) Sorelle fratelli, è sempre motivo di gioia trovarci insieme in questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.Quanto bisogno di unità c’è non solo tra i discepoli di Gesù, ma nel mondo, segnato da troppedivisioni, conflitti, da una montagna di odio che rende difficile vivere insieme. Siamo chiamati ariscoprire la forza della fede, che ci vede insieme nella professione del Credo niceno-costantinopolitano, riconosciuto da tutti i cristiani come norma del nostro credere, proprionell’anniversario del Concilio di Nicea.Che cosa significa che la fede ha una sua forza di vita? Nel mondo la forza è ben altro. E’ la forzadei potenti, di coloro che esibiscono il loro io per sottomettere gli altri, per dominare. E’ la forza deldenaro che corrompe, che umilia i poveri, che distrugge il creato sfruttando le sue risorse in modorapace, provocando ingiustizie e disuguaglianze, illudendo che solo con la ricchezza si vive felici.Per questo il mondo ha bisogno dei cristiani e della loro fede. La fede è una forza di vita, disperanza e di amore. È la prima delle virtù teologali, proprio perché chi pone la sua fiducia in Dioriceve una forza che da solo non avrebbe mai.Lo scrive la Prima Lettera di Pietro: “Dio vi custodisce nella fede con la sua potenza, fino aquando vi darà la salvezza, che sta per manifestarsi negli ultimi tempi. In questa attesa siate ricolmidi gioia, anche se ora, per un po’ di tempo, dovete sopportare difficoltà di ogni genere”. La forzadella fede è gioia anche nelle difficoltà, nelle paure e nelle fatiche di questo tempo. Come viverequesta gioia, che non viene dalla solitudine dell’io, ma dalla condivisione con le nostre comunitàdella preghiera, dell’amicizia, della solidarietà? Si cerca ancora troppo la felicità nella solitudinedell’io e dei simili al nostro io. Così si creano tante divisioni, invece di vivere quella fede chedovrebbe essere il fondamento della vita di ognuno e del nostro essere popolo, comunità, nelladifferenza delle nostre espressioni di fede.Vorrei indicare due aspetti che possono aiutarci a condividere la gioia con il nostro popolo didiscepoli di Gesù. Il primo lo indica il libro del Deuteronomio: “Ascolta, Israele”. “Ascolta” è ilfondamento della nostra vita. Noi ascoltiamo il Signore che ci parla oppure la sua parola non entranel nostro cuore e non diventa il nostro pensiero, le nostre parole e le nostre scelte? Quando nellenostre giornate incontriamo gli altri, quando espletiamo il nostro quotidiano lavoro, la Parola di Dioche ascoltiamo ci accompagna nelle scelte o tutto rimane prigioniero delle abitudini e non cambia lanostra umanità e ciò che diciamo e facciamo?Poi, secondo aspetto. Tommaso, quando Gesù appare ai discepoli riuniti, non era presente.Chissà! Avrà avuto da fare, avrà avuto i suoi impegni, forse avrà avuto un imprevisto. Capita anchea noi. Insomma, c’è sempre un motivo per giustificarci e non essere presenti nelle nostre comunità.Qual è il problema? Si dice. E si aggiunge: ci sono altri che non ci sono quasi mai! Gesù, sorelle efratelli, appare alla comunità riunita. Se lo vuoi riconoscere, accogliere, ascoltare, devi essercisempre anche tu, altrimenti la tua fede si indebolisce, perché la fede vive e cresce in un popolo, nonè mai solo una questione individuale, una faccenda tra me e Dio. Infatti, Tommaso per riconoscereGesù risorto deve tornare in mezzo a quei discepoli. In fondo, era mancato solo una volta, ma quellavolta fu decisiva. Ecco il senso del nostro essere insieme per la celebrazione dell’Eucaristia, il culto,la preghiera, l’incontro.Riscopriamo, sorelle e fratelli, la forza delle fede nella condivisione della nostra vita con le nostrecomunità, per poter essere donne e uomini felici e aiutate gli altri a incontrare il Signore Gesù,nostro maestro e pastore, così da rispondere alla forza violenta del male con la mitezza e l’amore,per costruire un mondo fraterno e pacifico. E continuiamo a pregare per la pace ovunque i conflittiseminano distruzione dolore, morte.
Preghiera ecumenica interdiocesana
Le diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino si apprestano a celebrare l’annuale preghiera ecumenica, nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il tema scelto per il 2025 è “Credi tu questo?” (Giovanni 11, 26) e l’appuntamento è per venerdì 24 gennaio alle 20.30, presso la chiesa San-ta Maria del Carmine a Tecchiena di Alatri. La preghiera ecumenica sarà presieduta dal vescovo Ambrogio Spreafico e vi parteciperanno i fedeli e i delegati delle Chiese presenti nel territorio delle due diocesi. Il Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani ha messo a disposizione i testi in inglese della Settimana di preghiera, che si possono scaricare dal relativo sito internet. Come di consueto, un gruppo internazionale nominato congiuntamente dal Dicastero e dalla Commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese ha lavorato sul materiale insieme ai redattori, per finalizzarlo. Considerato il significato ecumenico del 2025, sono stati inseriti anche brevi testi patristici, per lo più del primo millennio, per offrire uno spaccato della riflessione cristiana dell’epoca e per aiutare a situare le definizioni del Concilio di Nicea nel contesto in cui hanno avuto origine e dal quale sono state influenzate. Le risorse possono essere utilizzate in vari modi e sono concepite non solo per la Settimana di preghiera, ma per tutto l’anno 2025.Il 2025 segna infatti anche il 1.700° anniversario del primo Concilio ecumenico, quello di Nicea per l’appunto, convocato e presieduto dall’imperatore Costantino I, il quale intendeva ristabilire la pace religiosa e raggiungere l’unità dogmatica, minata da varie dispute, in particolare sull’arianesimo. Questa commemorazione offre un’occasione unica per riflettere e celebrare la fede comune dei cristiani, così come è stata espressa nel Credo formulato in quel Concilio. La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2025 è un invito ad attingere a tale eredità comune e ad approfondire la fede che uniscetutti i cristiani. Igor Traboni
L’Alberghiero di Fiuggi, i corsi nel carcere di Frosinone e un presepe di pasta frolla donato al Vescovo
Lo hanno preparato per un mese intero, pezzetto dopo pezzetto, con tutta la maestria che impone l’utilizzo di ingredienti particolari: farina, uova, zucchero a velo e con la magia dell’immancabile cioccolato. Ma soprattutto con il desiderio di donare il presepe di pasta frolla, così creato, ad un ospite particolare: il vescovo Ambrogio Spreafico che, come ogni anno, anche nelle scorse festività natalizie è andato a portare gli auguri a tutto il personale e ai detenuti della Casa circondariale di Frosinone. E proprio questi ultimi, che nel carcere di via Cerreto frequentano le classi dell’Alberghiero della sede distaccata dell’Istituto Buonarroti di Fiuggi, hanno preparato – seguiti nei minimi particolari dall’insegnante Maria Gabriella Venditti – il delizioso presepe di pasta frolla, opera di alta pasticceria che è stata particolarmente gradita da monsignor Spreafico. Il presepe è stato poi esposto nel periodo delle festività natalizie – anche come una vera e propria opera d’arte – nella Cattedrale di Frosinone, per volere del parroco, don Paolo Cristiano, che ha accompagnato il vescovo durante la visita assieme al cappellano del carcere, ai volontari della Comunità di Sant’Egidio e della Pastorale carceraria e dagli Scout del Distretto Fse di Frosinone. Sono ben 10 anni che l’Istituto Alberghiero di Fiuggi è presente con i suoi corsi tra “i ragazzi di via Cerreto”, come recita la targhetta apposta al presepe di pasta frolla donato al Vescovo, una esperienza che attualmente sta coinvolgendo una trentina di detenuti, suddivisi in tre classi che si alternano tra lezioni in aula e il laboratorio pratico. Al termine dei vari cicli di studi, gli ospiti della casa circondariale possono quindi sostenere un esame di qualifica, con una commissione ad hoc che si reca in carcere, oppure la maturità, sostenendo l’esame presso la sede di Fiuggi. Questa esperienza, fortemente caldeggiata dalla dirigente professoressa Maria Rosaria Villani, in questo decennio ha aiutato decine di detenuti nel percorso di reinserimento sociale e lavorativo una volta scontato il debito con la giustizia. Ed ecco così alcune storie emblematiche, come quella del detenuto adulto (la maggior parte di questi studenti ha più di 50 anni e per il 50% si tratta dii stranieri) che, una volta uscito dal carcere, è stato assunto in una pizzeria di un paese del Lazio dal figlio, grazie alla qualifica da pizzaiolo conseguita proprio in via Cerreto. Igor Traboni
Dialogo cattolici-ebrei: incontro con Spreafico e Giuliani
Le Diocesi di Anagni-Alatri e di Frosinone-Veroli-Ferentino hanno organizzato un incontro nell’ambito della Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, che si celebra ogni anno il 17 gennaio e che nel 2025 giunge alla XXXVI edizione. L’incontro avrà per tema “Pellegrini di speranza”, con gli interventi di monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, e del prof. Massimo Giuliani, docente di pensiero ebraico all’Università di Trento. L’appuntamento, aperto a tutti, è per martedì 14 gennaio, alle ore 18, presso l’Auditorium diocesano di Frosinone (viale Madrid, accanto alla chiesa di San Paolo). I due relatori prenderanno spunto da “Decostruire l’antigiudaismo cristiano” un testo pubblicato nel 2023 dalla Conferenza episcopale francese e ora tradotto in italiano, con la prefazione di mons. Ambrogio Spreafico. Nel giugno 2023, quando la Conferenza episcopale francese pubblicava quello che nella premessa all’edizione originale viene definito un «manuale», non si poteva immaginare ciò che sarebbe accaduto qualche mese dopo, il 7 ottobre dello stesso anno, ovvero la strage compiuta da Hamas vicino a Gaza e la conseguente risposta di Israele. Dopo questo terribile evento, come osserva il vescovo Ambrogio Spreafico nell’introduzione all’edizione italiana del libro, «l’antigiudaismo e l’antisemitismo sono così cresciuti» che solo «un rinnovato impegno della Chiesa cattolica per riscoprire le radici ebraiche della sua fede e per stabilire un dialogo fraterno con il popolo ebraico» può «preservarci dall’accondiscendere al clima di odio e di violenza che respiriamo»
“Sii te stesso!”: 37 giovani della diocesi immersi in due giorni di spiritualità
“Sii te stesso!” è stato il tema trattato nei due giorni di spiritualità per giovanissimi tenutisi ad Albano Laziale, presso i Missionari del Preziosissimo Sangue, dal 27 al 29 dicembre 2024. L’iniziativa ha visto impegnati l’Azione Cattolica diocesana in collaborazione con le Suore Adoratrici del Sangue di Cristo, l’Ufficio Catechistico diocesano e la Pastorale giovanile diocesana. Hanno partecipato all’iniziativa 37 giovanissimi delle scuole superiori della diocesi di Anagni-Alatri, provenienti da Alatri, Fiuggi, Anagni e Fumone. Sotto la guida di don Gianluigi Corriere e degli educatori, i giovani hanno potuto riflettere sul loro personale modo di essere se stessi. Confrontandosi con la determinazione di Gesù di Nazareth, nel rimanere fedele alla missione affidatagli dal Padre, e con la bellezza dell’atto creativo, riportato in Genesi, i giovani sono stati richiamati a concepire la “libertà” come responsabilità del “Bene”. Il perseguimento del “Bene” può rendere felici in pienezza e ricostituire l’originaria “armonia”. Nei due giorni passati insieme non sono mancati momenti ricreativi e di fraternità sentita, sia con visite per la città di Albano Laziale e sia con animazioni serali. I giovanissimi hanno apprezzato il tema trattato e i momenti di fraternità, come testimoniano alcune delle loro risonanze: «È stata un’esperienza molto costruttiva, veramente profondi i momenti di preghiera e le riflessioni guidate dal sacerdote»; «La mia esperienza ad Albano è stata davvero positiva. Mi sono trovata molto bene sia con gli educatori, che sono stati sempre disponibili, sia con gli altri ragazzi. L’ambiente era molto accogliente, e ho avuto l’opportunità di imparare cose nuove. È stata un’esperienza molto formativa, che mi ha arricchito sotto diversi aspetti»; «Sono stati due giorni brevi ma intensi. Le attività che abbiamo svolto ci hanno aiutato a riflettere e a fare dei passi in avanti con il nostro rapporto con la fede. Ovviamente non sono mancati anche i momenti di divertimento insieme e le risate, con giochi, balli di gruppo, scherzi durante il pranzo e la cena… Insomma fare le ore piccole non è stato un problema visto che questo mini campo è stato il miglior modo di chiudere il 2024»; «L’esperienza è stata formativa soprattutto per i lavori di gruppo perché il confronto con gli altri è stato altamente stimolante». Significativa è stata anche la partecipazione dei giovani alla celebrazione dell’apertura dell’anno giubilare ad Anagni, svoltasi domenica 29 dicembre 2024, al termine della quale il vescovo Ambrogio Spreafico ha salutato i giovani e, richiamando il tema trattato nei due giorni passati ad Albano, li ha sollecitati ad un rinnovato impegno nel costruire comunione attraverso le relazioni. “L’unione fa la forza” … è un proverbio che bene rende l’importanza di mettersi in rete nel rispondere all’emergenza educativa. Suor Cleopatra Subiaco, ASC (nella foto, l’incontro dei giovani con il vescovo Ambrogio ad Anagni, al termine dell’apertura dell’anno giubilare)
Apertura del Giubileo in diocesi: l’omelia del vescovo Ambrogio
Sorelle e fratelli,siamo saliti verso la cattedrale come pellegrini, come gli uomini e le donne che salivano al tempio di Gerusalemme per incontrarsi con il Signore. Il Vangelo ci racconta che i genitori di Gesù usavano anche loro salire a Gerusalemme per la Pasqua. Salire verso il Signore, uscendo da se stessi. Salire insieme, come popolo, comunità. Ecco il primo grande dono del Giubileo: riscoprire e gustare la gioia di uscire da se stessi per essere insieme in un mondo diviso, dove la solitudine frantuma le relazioni. Insieme rinnoviamo la nostra fede nella forza di amore del nostro Dio, cifacciamo guidare da Gesù che nel Natale ci ha dato la speranza di un nuovo inizio. Pellegrini di speranza è ciò che deve caratterizzare questo anno che iniziamo con gioia.Giunti davanti al Signore riconosciamo le nostre fragilità e il nostro peccato. Infatti, il giubileo è ilgrande tempo del perdono di Dio e della remissione dei debiti: ognuno secondo la Bibbia tornava inpossesso di ciò che aveva perduto. Questo è anche il significato più vero dell’indulgenza plenaria.Di solito ci riteniamo creditori nei confronti degli altri. Crediamo che c’è sempre qualcuno che cideve qualcosa: attenzione, considerazione, affetto, e molto altro. Oggi scopriamo un’altra parte dinoi stessi: essere in debito con Dio, ma anche con gli altri. Riflettiamo allora: cosa avremmo potutofare per qualcuno e non lo abbiamo fatto? Oggi il Signore ci ricorda il debito verso di lui non perfarci sentire in colpa, ma perché possiamo gioire del suo perdono e così pentirci di tutto quello chenon abbiamo fatto o abbiamo fatto di male, per rendere più bella la nostra vita, essere capaci comelui di voler bene, perdonare, restituire il bene ricevuto, amare con gratuità senza sempre aspettarciqualcosa in cambio. Ecco la vera libertà: il perdono ci rende liberi di amare e il pentimento crea lacoscienza di essere tutti in debito con qualcuno, perché ci aiuta a riconoscere il male fatto e il benenon fatto. La grazia del Giubileo è perciò libertà e felicità. La porta che entrando abbiamoattraversato è la porta del perdono e della speranza.Il Signore ci attende. Gesù, come nel tempio con i saggi di Israele, vuole dialogare con noi. Ciascolta e parla. Egli mostra la sua saggezza non per sottometterci al suo volere, come i tiranni diquesto mondo, ma per aiutarci a vivere felici, perché chi lo accoglie, lo ascolta, accetta di farsiaiutare dalla sua parola, può crescere come lui in sapienza, età e grazia. Gesù stesso risponde aMaria e Giuseppe che deve occuparsi delle cose del Padre suo. Ecco l’impegno di questo anno digrazia: fare spazio nel cuore a Dio nostro Padre, per essere come la famiglia di Nazareth. Ma nonsiamo soli. Gesù cammina con noi, prega con noi, è in mezzo a noi, alle nostre comunità. Forsecome Maria e Giuseppe anche noi a volte lo perdiamo perché presi da noi stessi, dalla fretta dellenostre faccende. Cerchiamolo e si farà trovare, perché è sempre lì, alla porta del nostro cuore. Lapreghiera personale e comune, la lettura della Bibbia, la Santa Messa della domenica, gli incontrinelle nostre comunità e associazioni, la condivisione della nostra vita con tutti, soprattutto con i deboli e i poveri, saranno il luogo dove possiamo sempre trovarlo. Non avere paura, non pensareche non puoi fare nulla per cambiare il volto violento del mondo, in cui sembrano vincere l’odio ela forza che sottomette e distrugge. E’ il giubileo della speranza. C’è speranza, perché il Signorevuole sperare con te in un tempo di pace e fraternità, di amicizia e solidarietà.Papa Bonifacio VIII, cittadino di questa nostra bella città, diede inizio il 22 febbraio 1300 alprimo Giubileo cristiano perché un concorso di popolo lo chiedeva, chiedeva l’indulgenza plenaria,chiedeva perdono per i peccati, sentiva il bisogno della misericordia di Dio in un secolo difficile. Sì,sorelle e fratelli, abbiamo bisogno anche noi di quella misericordia e di quell’amore paziente delSignore che può cambiare la vita, cominciando dal cambiamento di noi stessi. Questo è il tempo delperdono, del pentimento, della speranza che non delude. Così ha detto papa Francesco all’aperturadel Giubileo nella Basilica di San Pietro: “Sorelle, fratelli, questo è il Giubileo, questo è il tempodella speranza! Esso ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama alrinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventidavvero un tempo giubilare… A noi, tutti, il dono e l’impegno di portare speranza là dove è stataperduta: dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano ilcuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nellasofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde deipoveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza”.Sorelle e fratelli, facciamo nostra le parole di Francesco e la gioia di questo momento insieme,perché il Giubileo liberi le energie di bene che sono in noi e in tutti, perché ogni giorno il male siavinto dal bene, l’odio dal perdono, l’inimicizia dall’amore, l’esclusione dalla condivisione.
Messa del giorno di Natale: l’omelia del vescovo Ambrogio
“Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie. Sono le parole che nel profeta Isaia, pronunciate in un tempo buio a un popolo in esilio, dopo una guerra che aveva distrutto Gerusalemme e reso povera quella terra. Sì, la violenza, la guerra, le tante ingiustizie rendono buia lavita. Eppure noi già da più di un mese camminiamo nelle nostre città circondati da tante luci. Potremmo dire: ma dov’è tutto questo buio? Cari amici, il buio è ovunque, soprattutto nei cuori e nelle menti, ma ci si illude di essere nella luce; così si preferisce non pensarci, perché il buio ha sempre messo paura. Chi di noi non ha avuto paura del buio soprattutto da piccolo? Il buio circonda i luoghi di dolore e di solitudine: gli istituti abitati da anziani spesso soli, le campagne dei lavoratori sfruttati, i campi profughi dove migliaia di persone vivono di stenti, le periferie delle grandi città, le strade e le stazioni dei Paesi ricchi abitate da centinaia di senza fissa dimora, le discariche di grandi città dell’Africa e dell’Asia percorse da povera gente che si arrangia per sopravvivere, i Paesi martoriati dalla guerra, dalla violenza del narcotraffico, da gruppi armati assoldati da ricchi padroni o depredati dallo sfruttamento delle risorse. Chiediamoci: dove nascerebbe oggi Gesù? Forse non toccherebbe a uno di questi luoghi, come gli toccò la mangiatoia di Betlemme?E poi: dove sono i piedi di quel messaggero che annuncia la pace in un mondo diguerre? E quel è la sua buona notizia? Vale anche per noi? Si, proprio oggi riceviamola buona notizia, che può essere un nuovo inizio per noi e per il mondo: “Il Verbo – laParola di Dio – si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi; noi abbiamocontemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pienodi grazia e di verità”. Davvero una buona notizia, una speranza per l’umanità: quellaParola antica di Dio che, come abbiamo ascoltato nella Lettera agli Ebrei, “moltevolte e in molti modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti,ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio”. Gesù parla a noida quella mangiatoria di Betlemme. Ci parla come povero senza casa, comeviandante che non ha trovato un luogo ospitale, come bambino bisognoso di cura eamore. In lui vediamo la sofferenza, il dolore, la solitudine di tanti uomini e donne,esclusi da un mondo ingiusto e violento. Eppure, ci furono alcuni che accorsero dalui, attorno a Maria e Giuseppe: dei pastori e dei Magi d’oriente. Gente diversa,poveri e ricchi. Per tutti è possibile andare da lui. Ma si deve ascoltare la vocedell’angelo, il messaggero di Dio, per poter uscire dal proprio mondo di sempre, dalleproprie faccende e da quell’abitudine a non avere mai tempo se non per se stessi,poco tempo per ascoltare gli altri e per non farsi guidare solo dal proprio istinto odalle emozioni. Da quella mangiatoia viene la luce, viene la speranza di un Dio bambino in mezzo a noi, che illumina il buio e ti fa camminare con lui verso gli altri per essere con loro.Vai allora! Come i pastori lascia il tuo gregge, il tuo possesso, quello che sembradarti il necessario e la felicità. Lasciati guidare dalla stella, la luce di Dio, che ti portaverso la mangiatoria di Gesù, venuto a condividere la nostra vita, il dolore, la fatica,le paure, per darti la gioia di essere davanti a lui, per seguirlo, ascoltarlo, fare partedella sua famiglia senza confini. Con lui comincerai a incontrare gli altri, il lorodolore e la loro speranza, la loro tristezza e le loro attese, la loro debolezza e il lorobisogno. Li ascolterai con lui, e con lui cominceranno a far parte di una famiglialarga, la famiglia di Dio, il popolo delle nostre comunità, dove ci sarà posto per tutti,a cominciare dai poveri e dagli esclusi. E noi con loro saremo segno di quellafraternità che rende amici, felici di essere insieme, condividendo la nostra vita nellasolidarietà e nell’amore reciproco.Oggi, dopo il tempo di avvento, abbiamo di nuovo cantato il Gloria, il canto di lodedell’esercito celeste, un esercito la cui forza non è in armi che uccidono, ma nella vitache viene da Dio e che si esprime nel cantare la sua lode e non la nostra, come diconsueto in un mondo di donne e uomini abituati a lodare se stessi, a farsi lodare e adispiacersi se qualcuno non lo fa. Sono belle e piene di speranza le parole di questoinno che cantiamo così spesso: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra paceagli uomini amati dal Signore”. Pensate: la gloria di Dio è la pace sulla terra, quandonoi siamo capaci di costruirla e di aiutare gli altri a viverla. Cantiamo allora la suagloria, che di solito viene cantata per chi vince una guerra. Ecco la speranza delNatale, sorelle e fratelli: viviamo in pace, ovunque siamo costruiamo la pace conGesù, così renderemo gloria a Dio riconoscendolo “principe della pace”, amante dellavita, nostro unico Signore e Maestro. Grazie, Signore, perché torni in mezzo a noi perrenderci famiglia di Dio, sorelle e fratelli perché figli del Padre tuo, luce di vita e disperanza per l’umanità.Il Giubileo, a cui papa Francesco ha dato inizio ieri aprendo la porta Santa di SanPietro e che noi apriremo nella nostra diocesi domenica in questa Cattedrale, siadavvero la buona notizia che nella nascita di Gesù ci accompagnerà in tuttoquest’anno, donandoci la felicità di essere donne e uomini di pace, solidali, amici,fratelli e sorelle, pellegrini di speranza. Come ha detto Francesco: “A noi, tutti, ildono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta: dove la vita è ferita,nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nellastanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto,nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla
Fiuggi: pranzo di Natale della Comunità di Sant’Egidio con gli anziani della “Santa Elisabetta”
Nel solco di un percorso di amicizia e vicinanza che va avanti da oltre un anno, la Comunità di Sant’Egidio di Fiuggi giovedì 19 dicembre si è stretta ancora una volta attorno agli ospiti della Rsa “Sant’Elisabetta” della città termale per il pranzo di Natale, presente il vescovo di Anagni-Alatri, Ambrogio Spreafico. Una volta a settimana, infatti, i volontari della Comunità di Sant’Egidio vanno a trovare gli anziani della Rsa di Fiuggi, non come mera opera di volontariato, beneficenza e assistenza, ma come una famiglia, riunita attorno al Vangelo, che va a trovare degli amici. E così è stato anche per il pranzo di Natale, cui hanno partecipato circa 80 persone, ad iniziare per l’appunto dagli anziani ricoverati nella struttura, la direttrice Maria Giacomini e la dirigenza tutta della Rsa, mentre i ragazzi dell’Istituto alberghiero “Buonarroti” di Fiuggi hanno preparato e servito i pasti. Il vescovo Ambrogio Spreafico è stato accolto con enorme affetto e simpatia dagli anziani ospiti della Residenza sanitaria assistenziale, che hanno peraltro ricordato con piacere il momento vissuto già lo scorso anno, quando Spreafico ha trascorso con loro e con i volontari della Comunità di Sant’Egidio il giorno di Natale. Il vescovo ha salutato tutti gli anziani e ha chiesto loro di pregare soprattutto per la pace, in questo difficile momento in cui tanti conflitti insanguinano il mondo, centinaia di guerre di cui spesso neppure conosciamo l’esistenza perché i media non ne parlano; a tutti ha chiesto di vivere nella quotidianità con uno spirito di pace, con uno sguardo benevolo gli uni verso gli altri, capace così di cambiare un mondo – anche il mondo attorno a noi – di troppe violenze. Dicevamo del solco in cui si inserisce il pranzo di Natale con i poveri, una tradizione della Comunità di Sant’Egidio da quando, nel 1982, un piccolo gruppo di persone povere fu accolto attorno alla tavola della festa nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, a Roma. Erano circa 20 invitati: c’erano anziani del quartiere che in quel giorno sarebbero rimasti soli, e alcune persone senza fissa dimora conosciute nelle strade di Roma. Da allora la tavola si è allargata di anno in anno e da Trastevere ha raggiunto tante parti del mondo, dovunque la Comunità è presente. Un Natale straordinario che ogni anno coinvolge circa 250mila persone in più di 70 Paesi: gente che vive nella strada, negli istituti, nelle carceri o nelle Rsa, come quella di Fiuggi . Igor Traboni
La preghiera di Natale del vescovo Ambrogio
Ecco il testo della preghiera composta dal vescovo Ambrogio per il Natale 2024
Avvento: la meditazione del vescovo Ambrogio
ELISABETTA E MARIA: DONNE DELL’ASCOLTO PER UN NUOVO INIZIO Dio parla e rende profeti di una storia di amore Quando si parla di inizio siamo abituati a pensare che ciò indica un giudizio sul passato, se non il suo superamento e la sua soppressione. Questa idea ha fatto spesso concludere che quanto Dio ha iniziato nella vicenda di Gesù di Nazareth significasse l’abolizione, o persino la “sostituzione”, di quanto Dio aveva operato con il suo popolo Israele. In realtà già abbiamo visto che sia con Abramo che con Mosè e Samuele siamo di fronte a nuovi inizi della storia di Dio con il suo popolo. Gli esempi in tal senso si potrebbero moltiplicare. Questa costatazione non ci ha impedito di vedere come l’opera di Dio nella storia con l’umanità sia costellata di nuovi inizi, attraverso cui il Signore opera nella storia e ne permette il rinnovamento e la prosecuzione. Ciò avviene anche con Elisabetta e Maria. Le due donne sono presentate dall’evangelista Luca come la prosecuzione e insieme il rinnovamento della storia di Dio con il suo popolo, un vero nuovo inizio, che non cancella il passato, ma lo conduce in un tempo nuovo. Elisabetta e Zaccaria costituiscono il legame con la storia di Dio con Israele e Maria introduce il nuovo, ma ambedue in stretta connessione con la manifestazione di Dio, caratterizzata dalla presenza continua dell’angelo, il messaggero di Dio secondo la tradizione della fede di Israele. Le due vicende di Zaccaria – Elisabetta e di Maria sono intrecciate anche dal punto di vista narrativo. Come ha mostrato… le narrazioni sono elaborate in corrispondenza: in 1,5-25 troviamo l’annuncio della nascita di Giovanni Battista, a cui segue l’annuncio della nascita di Gesù, mentre in 1-57-66 si racconta la nascita di Giovanni Battista e di seguito quella di Gesù (2,1-7). Al centro – ma torneremo su questo in seguito – si colloca la visita di Maria a Elisabetta, quasi una narrazione superflua rispetto alla centralità degli altri racconti. In ambedue le donne si esaltano l’ascolto e la fiducia in Dio. Rileggendole alla luce di racconti di vocazione profetica, sembra di essere di fronte a una vera e propria chiamata che rende le due partecipi dello spirito della profezia (cf. 1Sam 3; Is 6,1-8; Ger 1,4-10). Nel racconto della nascita di Giovanni Battista il protagonista appare il padre Zaccaria, sacerdote del tempio. Tuttavia, Zaccaria non accoglie con fiducia l’annuncio dell’angelo. Per questo, nonostante il Signore abbia accolto la sua preghiera (1,13), diviene muto (1,20) per non avere ascoltato e quindi creduto. Quando la sua lingua si scioglie e comincia a parlare di nuovo? Proprio qui entra in gioco come protagonista Elisabetta, che interviene in un momento cruciale, quello della circoncisione, attraverso cui il nuovo nato entra a far parte dell’alleanza di Dio con il suo popolo. Elisabetta si distacca dalla tradizione familiare (1,60) nella scelta del nome. È quindi lei che permette a Zaccaria di aderire alla sua richiesta, che acconsente alla scelta della moglie. Da quel momento egli comincia a parlare benedicendo Dio. Un duplice strappo alle consuetudini: il nome viene scelto dalla madre prima che dal padre, mentre non rispetta la tradizione familiare. Si tratta di qualcosa che implica una novità. È quindi Elisabetta che indica nell’attribuzione del nome il senso della vita di quel figlio, facendo comprendere che siamo in un momento di passaggio, come poi cantato dal padre nel suo canto di lode. I due racconti, di Elisabetta e Maria, continuano a intrecciarsi in modo complementare. Di nuovo entra in scena l’angelo Gabriele, che si era qualificato con il nome prima di dire a Zaccaria la sua incredulità. Il saluto “turba” Maria. In lei nasce una domanda che nel prosieguo della narrazione diventa dialogo con l’angelo. Dio dialoga con Maria attraverso il suo messaggero. La sua parola viene spiegata, non è un enigma. Tuttavia, va ascoltata perché possa realizzarsi: “Ecco, sono la serva del Signore. Avvenga per me secondo la tua parola”. In ambedue i racconti, la parola di Dio si realizza perché due donne l’hanno resa possibile, ascoltandola e accogliendola come la novità della loro vita e di quella del loro popolo. Infatti, non si tratta di una rivelazione privata, che tocca solo la vita delle due, ma di una parola che riguarda il popolo, la sua storia, il suo passato e il suo futuro. Le parole del Magnificat terminano con un chiaro riferimento a Israele e alla storia di Dio con il suo popolo: “Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre”. Così sarà anche per canto di Zaccaria che all’inizio dice: “Benedetto il Signore Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo. Ha suscitato per noi una salvezza potente nella casa di Davide suo servo, come aveva promesso per bocca dei suoi santi profeti di un tempo”. Sembra quasi che il Magnificat concluda ciò che poi Zaccaria riprende all’inizio del suo cantico di lode. Insomma, mi sembra chiara la continuità tra i due eventi, che suscitano parole di lode per quanto il Signore ha operato per il suo popolo, e non solo per due donne. Dio agisce nella storia dell’umanità perché ci sono donne e uomini che accolgono la sua Parola e rendono possibile quindi la sua realizzazione. La parola di Dio non si impone, non è neppure solo frutto dell’intervento dell’Altissimo. Essa risponde a un dialogo tra Dio e l’umanità, tra Dio e uomini e donne che si fidano di quanto ascoltano e se ne fanno carico perché possa operare ciò per cui Dio ha mandato la sua Parola. Ascolto e incontro Nella narrazione delle due donne si inserisce il racconto della visita di Maria a Elisabetta. Di per sé sarebbe stato superfluo in ordine a quanto l’evangelista stava raccontando. L’essenziale era già detto. Tuttavia, proprio la scelta di Maria di andare da Elisabetta ci fa entrare nell’intimità di una relazione che non è solo parentale, ma che rende