La “Madonna di Vico” è tornata a casa dopo il restauro

La “Madonna di Vico”, così come viene comunemente chiamata la statua appartenente al gruppo di quelle lignee medievali realizzate nelle botteghe di area laziale tra il XII secolo e i primi decenni di quello successivo, è tornata a Vico nel Lazio, di nuovo incastonata nella chiesa di San Martino, uno dei gioielli di questo paese che a sua volta è scrigno di arte, storia e fede e non a caso conosciuto come “la Carcassone del Lazio”. Nel pomeriggio di giovedì 8 maggio è stato infatti presentato il restauro della statua, reso possibile dai fondi dell’8xmille alla Chiesa Cattolica, in una breve ma suggestiva cerimonia a cura dell’Ufficio per i Beni culturali ecclesiastici e l’Edilizia di culto della diocesi di Anagni-Alatri e della Confraternita Orazione e Morte della parrocchia di San Michele. E’ intervenuto il vescovo Ambrogio Spreafico (che ha poi celebrato la Messa, peraltro in un clima di profonda commozione perché c’era appena stata la fumata bianca per l’elezione del nuovo pontefice) esprimendo tutto il suo vivo compiacimento per il restauro, così come per l’azione dei carabinieri del Nucleo artistico che per ben due volte hanno ritrovato la statua, dopo altrettanti furti. «Maria ci indica la strada – ha detto poi Spreafico cogliendo a pieno alcune delle evocazioni suggerite dalla statua – perché oggi invece ci si perde facilmente. Maria ci invita ad andare da Gesù, attraverso di Lei». Dal vescovo anche un plauso alla comunità di Vico, a cui ha anche assegnato un compito: «Coinvolgete di più i giovani, con il vostro esempio di solidarietà e generosità». Un breve saluto è stato poi portato da Federica Romiti, responsabile dell’Ufficio diocesano Beni culturali ed Edilizia di culto, che ha comunicato come il restauro della “Madonna di Vico” è stato poi inserito nel programma della giornata di sabato 10 maggio di un seminario tenutosi a Modena e dedicato alla presentazione delle iniziative speciali promosse per il Giubileo 2025. Un saluto ad ospiti e presenti anche da parte del parroco don Giggino Battisti, visibilmente – e per sua stessa ammissione – molto emozionato per l’evento. Sono quindi seguiti alcuni interventi “tecnici”, tanto brevi quanto incisivi e con il merito di non scadere nei soliti saluti stereotipati. Così Alessandro Betori, Soprintendente per i beni archeologici delle province di Frosinone e Latina, a sottolineare come l’arte si coniuga con quelle forme di pietà e devozione «molto vive in paesi come Vico nel Lazio, dove prima non ero mai stato e che ho trovato molto bello». Bellezza che rifulge anche in questa «opera eccelsa, anche nel gesto del Bambino che acclama verso la Vergine e quella umanità che Egli ha voluto incarnare». Betori non ha ppoi potuto fare a meno, così come gli altri ospiti, di sottolineare il fatto che per ora la statua è giocoforza ingabbiata dietro alcune griglie in ferro «simbolo della barbarie del nostro tempo», per quanto ingentilite dall’apposizione del simbolo mariano della rosa, per via dei furti di cui si è detto. Non solo un mero lavoro di restauro, ma «anche partecipazione e trasporto» verso questa opera, per molti versi simile alla Madonna di Costantinopoli conservata in Santa Maria Maggiore, ad Alatri, ha rimarcato Lorenzo Riccardi, funzionario storico dell’arte della Soprintendenza. Con fare affabulatorio, Riccardi ha ricordato che la statua venne restaurata già nel 1941 e che a pagarne le spese di trasporto verso Alatri e poi per Roma fu proprio la Confraternita. E ancora: mentre la statua di Vico andava verso Roma, il percorso inverso lo fece il camioncino di Nicola Cece, fratello del parroco di allora, che andava a riprendere la statua della Madonna di Costantinopoli anch’essa restaurata nella Città Eterna. Dal canto suo, la restauratrice Arianna Ercolani, facente parte di un gruppo di lavoro «con un insieme di responsabilità e competenze perché le opere continuino ad esserci nel tempo», ringraziando altresì la comunità di Vico per il calore dell’ospitalità (che peraltro abbiamo avuto modo di saggiare di persona con un piacevole banchetto allestito al termine della cerimonia) e raccontando di come un signore del posto, mentre portavano via la statua per il restauro, le si era raccomandato così: “Non la trattate solo come un pezzo di legno”; la Ercolani ha poi chiosato con l’ulteriore bellezza dello svelamento della statua di Maria proprio nel giorno della festa della mamma
Il vescovo Ambrogio per i 30 anni della chiesa di Tecchiena Castello: «Gratitudine per la vostra storia»

Ai prossimi 30, e poi ancora 50 e 100, ma sempre con lo stesso spirito di comunità, di fraternità e di Fede vissuta nel concreto: è questo l’augurio più bello che si possa fare alla parrocchia (in tutte le sue componenti) di Tecchiena Castello, che nel pomeriggio di domenica 4 maggio 2025 ha celebrato e festeggiato i 30 anni di consacrazione della chiesa dedicata a Maria Santissima Regina. Una celebrazione presieduta dal vescovo Ambrogio Spreafico, che non ha voluto far mancare la sua presenza in questo momento di gioia per una comunità piccola ma particolarmente attiva, e che ha concelebrato la Messa assieme al vicario generale della diocesi, monsignor Alberto Ponzi, e ad alcuni dei sacerdoti che in questi 30 anni si sono succeduti alla guida pastorale della comunità, dall’attuale parroco don Giorgio Tagliaferri, al primo e storico, don Marino Pietrogiacomi, e quindi don Fabio Massimo Tagliaferri, don Edoardo Pomponi, don Luca Fanfarillo. «Ci tenevo particolarmente a venire – ha esordito il vescovo, davanti ai fedeli che riempivano la chiesa – per ringraziare tutti voi che fate parte di questa bella comunità e chi è stato ed è qui, ad iniziare da don Marino e fino all’attuale parroco don Giorgio. La vostra storia ci aiuta a capire che tutti noi siamo dentro una Storia. E questo dobbiamo ricordarcelo bene, soprattutto oggi, in questo mondo in cui c’è troppo individualismo, in cui si diventa tutti più egoisti davanti alle difficoltà della vita, in cui si dice sempre “prima io”, anche se veramente chi viene prima è Gesù. Nessuno è primo davanti a Gesù, noi cerchiamo di seguirlo come possiamo». Il vescovo ha poi richiamato e sottolineato il sostantivo “gratitudine” nei confronti di chi «ha mantenuto vivo questo luogo, una grande cosa, perché essere comunità nel mondo oggi non è normale: tutti hanno sempre tanto da fare, nessuno trova il tempo per fermarsi, per parlare con l’altro. C’è sempre la tentazione di vivere ognuno per sé, di dire “faccio quello che posso, non chiedermi di più”, ma non è così che funziona la vita dei cristiani». Rifacendosi poi al Vangelo del giorno, annunziato poco prima dal diacono Giovanni Straccamore, monsignor Spreafico ha rimarcato l’importanza di riconoscere Gesù nella vita di ogni giorno, anche nelle piccole cose: «Chiediamoci: ma non è che Gesù ci parla e io invece faccio orecchie da mercante? Perché Gesù non ci abbandona mai, vive con noi nella quotidianità, proprio come fece con i pescatori del brano del Vangelo: Gesù sa che sono delusi, perché hanno pescato tutta la notte e non hanno preso niente. Un po’ come tanti di noi: ci affrettiamo, lavoriamo, ma alla fine della giornata spesso diciamo: che ho fatto? E siamo insoddisfatti, tristi. Allora Gesù si avvicina e ci dice: senti un po’, perché non getti la rete dall’altra parte? Ci chiede insomma di cambiare il nostro modo di pensare, di ragionare, il nostro modo di essere, di cambiare la nostra umanità! Gesù osa dirci di fare cose che prima non abbiamo fatto, perché ci vuole bene. Gesù ci dice come vivere, ci indica la via del dialogo, nel mondo, nelle comunità, proprio come ha fatto Papa Francesco. Gesù vuole essere nostro amico, camminare con noi, ci incontra nella vita. E allora, nei momenti difficili fermiamoci un po’, facciamo una preghiera, leggiamo una pagina del Vangelo. E tutti insieme prendiamoci cura degli altri, aiutiamoci, diamoci una mano, siamo attenti a chi ha bisogno, agli anziani, ai malati. Vogliamo essere donne e uomini che costruiscono un mondo fraterno. Siate sempre una comunità solidale, generosa», ha concluso il vescovo, tracciando questo augurio per la realtà di Tecchiena Castello, nel solco di quello che sta per l’appunto vivendo da trent’anni. Una cerimonia molto sentita, curata nei particolari (dai canti al servizio all’altare delle chierichette e alle intenzioni della preghiera dei fedeli) e al termine della quale – dopo un breve saluto di ringraziamento anche da parte di don Giorgio – il vescovo, i sacerdoti presenti e i fedeli si sono portati fuori, nel giardino antistante la chiesa, per lo scoprimento e la benedizione di una bellissima croce in legno, eretta a ricordo di questo 30°. La serata si è conclusa in maniera fraterna e conviviale con una gustosa pasta e fagioli offerta ai presenti. La parrocchia ha inoltre voluto donare una targa commemorativa del trentennale al vescovo e ai sacerdoti presenti, al sindaco dell’epoca Patrizio Cittadini, che intervenne alla cerimonia di consacrazione; al progettista Giuseppe Morini, al titolare dell’impresa esecutrice, Roberto Maddaleni. Nella giornata di sabato altre targhe erano state invece consegnate al sindaco Maurizio Cianfrocca e al Coro Monti Ernici del Maestro Antonio D’Antò, dopo l’apprezzato concerto. Nei prossimi giorni altre targhe verranno consegnate a quanti non sono potuti intervenire per altri impegni pastorali: a don Antonio Castagnacci, a don Antonello Pacella, a don Domenico Pompili (ora vescovo di Verona, concelebrante in quel maggio del 1995 e che ha indirizzato una bella lettera alla comunità), al vescovo emerito Lorenzo Loppa, a padre Andrea dei Frati minori, alle suore del Preziosissimo Sangue, alla famiglia dello scomparso don Renzo. Nei locali sottostanti la chiesa è stata anche allestita una mostra con foto d’epoca, che si potrà visitare fino a domenica 11 maggio. di Igor Traboni
Messa in suffragio di Papa Francesco: l’omelia del vescovo Ambrogio

Sorelle e fratelli, ci uniamo stasera in questo luogo dedicato al papa San Sisto I durante i giornidella sua festa per pregare per papa Francesco. Negli Atti degli Apostoli, dopo la liberazione diPietro e Giovanni, la comunità di Gerusalemme rivolse al Signore la sua preghiera perché le fosseconcesso di “proclamare con tutta franchezza la sua parola, stendendo la sua mano affinché sicompissero guarigioni, segni e prodigi nel nome del suo santo servo Gesù”. Erano tempi diincertezza, di paura, di minacce a quei discepoli. Così è stato anche il tempo del pontificato diFrancesco, un tempo segnato da tanta violenza e morte, anche contro i cristiani. Eppure, proprionelle paure, nelle incertezze, nella fragilità della vita, il Signore si presenta a noi come ai suoidiscepoli con un saluto che sempre sorprende, visto il loro tradimento e abbandono nel momento deldolore: “Pace a voi”. Lo dice per ben tre volte.Sì, pace. È stata una delle parole che ha accompagnato il pontificato di Francesco. Non ha maismesso di invocare la pace, di aiutare l’umanità, là dove fosse possibile, a ritrovare la via della pace.I suoi numerosi incontri, con i grandi della terra, ma anche con i leader delle grandi religionimondiali, i suoi viaggi, hanno sempre voluto comunicare il desiderio della ricerca di pace efraternità. Infatti, la pace non è solo la fine della guerra, ma è la possibilità di vivere insieme inpienezza, in un’armonia che non esclude le differenze, frutto di un processo di dialogo e reciprocafiducia. Lo ha espresso in maniera profonda nell’enciclica Fratelli tutti, che insieme alla Laudato si’hanno collocato tutti noi e la Terra in un creato dove essere insieme come suoi abitatori, con tutte lecreature che lo popolano. “Nessuno si salva da solo”, aveva detto durante il Covid in una piazza sanPietro vuota, proprio per aiutarci a capire che, anche nella solitudine, siamo chiamati a essere partedi una vocazione alla fraternità universale. Papa Francesco era davvero un vescovo con il suopopolo e nel mondo, perché la Chiesa non è del mondo, ma vive nel mondo. Lo ha mostrato finoalla fine, quando nel giorno di Pasqua ha voluto dare la benedizione Urbi et orbi, alla città e almondo, scendendo poi per passare a salutare la gente. È stato il suo pontificato: un pastore con ilpopolo, in mezzo al popolo.Sorelle fratelli, ci ha parlato tante volte di “Chiesa in uscita” e ci ha donato l’Evangeli gaudium, ilprogramma del suo pontificato, che aveva affidato alla Chiesa in Italia all’Assemblea ecclesiale diFirenze, perché fosse oggetto di riflessione e di una “pastorale missionaria”, tesa a comunicare atutti la gioia del Vangelo. Lo dobbiamo ringraziare, perché il suo invito e il suo spirito ci hannoaiutato come diocesi in questi anni, soprattutto da Firenze in poi, a incontraci, ascoltarci, riflettere, apartire dalle sue parole e dalle Sacre Scritture, che hanno aiutato la Chiesa a comunicare la gioia delVangelo a tutti e non solo a una minoranza chiusa ed elitaria. Non è questa la Chiesa di Francesco, né quella di Cristo Signore, che è venuto perché il Vangelo fosse per tutti, non solo per chi cifrequenta abitualmente. “Io sono missione”, ci ha detto, affidando queste parole a ognuno di noi.Alcuni non si sono molto coinvolti in questo spirito, preferendo tracciare confini, percorrereitinerari personali solo per alcuni, come se il Vangelo che ci è stato affidato di nuovo dal Risortonon fosse per tutti. Ringrazio tutti coloro che con impegno generoso, passione evangelica, hannovissuto questo percorso sinodale Anche i recenti ministeri istituiti o sono parte di una Chiesamissionaria, non elitaria, di puri e giusti, oppure non daranno frutto.La Chiesa “in uscita” mette al centro le periferie, i poveri. Così l’amore per i poveri diventa parteessenziale della vita cristiana, che attinge allo sguardo misericordioso di Gesù su di loro. In unmondo in cui si respira la “globalizzazione dell’indifferenza” davanti al dolore degli altri, comedisse nella sua visita a Lesbo, ha istituito la “Giornata mondiale dei poveri”, la domenica primadella Festa di Cristo Re, per ricordarci ogni anno che nel Regno essi avranno il primo posto, comelo devono avere nelle nostre comunità. Dovreste ricordarlo ogni anno! E poi la “Domenica dellaParola”, l’altro primato, la roccia su cui fondare la nostra vita. Tutto si celebra la Domenica, il cuoreeucaristico della nostra vita, segnato dall’amore del Signore fatto dono di vita per noi. Sì, avere quiil cuore, avere un cuore, come ci ha indicato nella sua ultima enciclica Dilexit nos, Sull’amoreumano e divino del Cuore di Gesù. Sorelle e fratelli, Nel cuore di ogni donna e ogni uomo esiste ladomanda di conoscere Gesù, di incontrare il suo amore, come fu per Nicodemo, che lo cercò dinotte. C’è tanta notte nel mondo. Non è solo la notte delle guerre e della violenza, che benconosciamo anche in questa terra, ma è la notte della solitudine, della sofferenza, dellosmarrimento. È la notte dei tanti egoismi, dei tanti “io” pieni di arroganza e prepotenza, cheripetono “prima io”, dimentichi che siamo chiamati ad essere un “noi”, perché solo così si vivefelici e si rende vivibile il mondo. Ricordiamocelo anche per le nostre comunità e per il nostroessere servi, e non padroni sicuri di se stessi, che vivono secondo schemi e abitudini immutabili.Nicodemo capì che doveva cambiare se stesso, nascere di nuovo, e che ciò sarebbe stato possibileascoltando lo Spirito di Dio.Sorelle e fratelli, mentre affidiamo papa Francesco alla gioia della Liturgia del cielo, chiediamo alui di pregare per noi, lui che ci ha donato il Giubileo della speranza, perché in un mondo segnatodalla violenza, sappiamo guardare le ferite del corpo di Gesù nelle tante ferite dei poveri, degliscartati, degli ultimi, per dare speranza con il servizio amorevole, la solidarietà, l’amicizia.Guardando e toccando le ferite di Gesù, come fu chiesto all’apostolo Tommaso, nelle ferite deisofferenti della terra, saremo il popolo di Gesù, annunciando a tutti la vita del risorto e vivendo conamore reciproco la gioia del Vangelo. (Alatri, Concattedrale San Paolo, lunedì 28 aprile 2025)
Messa in suffragio di Papa Francesco

Lunedì 28 aprile, alle 18, nella concattedrale San Paolo di Alatri, il vescovo di Anagni-Alatri Ambrogio Spreafico presiederà la celebrazione eucaristica in suffragio di Papa Francesco. Sarà un momento di preghiera comunitario, insieme al Vescovo, per esprimere ancora una volta l’affetto filiale della Chiesa diocesana verso papa Francesco, dopo che nei giorni scorsi è stato già recitato un Rosario nella Cattedrale di Anagni. Altre Messe in suffragio sono state celebrate in varie chiese parrocchiali, così come altre comunità si sono ritrovate per recitare il Rosario o per veglie di preghiera
Alatri, celebrazione per San Sisto: l’omelia del vescovo Spreafico

Sorelle e fratelli, siamo riuniti oggi, come tradizione, per celebrare la festa di San Sisto I, papa e martire. Lofacciamo oggi mentre ancora siamo addolorati per la scomparsa di papa Francesco, per cuivorremmo pregare in questa celebrazione. Saluto la delegazione proveniente da Alife, che ognianno celebra con noi questa festa per il loro e nostro patrono. Una lunga storia unisce San Sisto,divenuto papa nel 115, a papa Francesco. È la storia della Chiesa, allora ancora indivisa, che giungefino a noi. Non siamo i primi e, per la grazia di Dio, non saremo gli ultimi, a vivere in questacomunione di amore e unità, che il vescovo di Roma, il papa, rappresenta per la nostra Chiesa. In unmondo che accetta le divisioni come se fossero normali, in cui gli ultimi e i poveri restano sempre ipiù esclusi e scartati, come ci ha detto molte volte papa Francesco, la festa di oggi ci richiamaanzitutto il senso e il valore dell’unità, da riscoprire e da vivere.Noi siamo qui come popolo di Dio, radunato dallo Spirito Santo attorno alla mensa della Parola diDio e del pane di vita eterna, l’Eucaristia. Siamo popolo, cari amici, comunità. Il mondo, pieno didonne e uomini soli, che camminano con lo sguardo distratto o a testa basta chini sul cellulare senzavedere nessuno, o di altri abbandonati a se stessi perché ritenuti inutili, come molti anziani, habisogno di noi, di cristiani che credono possibile vivere insieme, in pace, volendosi bene,aiutandosi, condividendo la propria vita con gli altri. Papa Francesco domenica ci ha mostrato conchiarezza il valore e il senso di essere popolo nel mondo. Con fatica e sforzo enorme ha volutodall’alto guardare la folla radunata a San Pietro e ha dato la benedizione urbi et orbi, per loro e peril mondo. Il suo sguardo è sempre stato largo: ha guardato il mondo, il dolore delle guerre, dellepersone migranti, dei poveri, degli sfruttati. Ha voluto guardare, come lo sguardo dell’apostoloPietro nel racconto degli Atti degli Apostoli, il dolore dei sofferenti e dei poveri. Ha pregato incontinuazione per la pace e il dialogo. Poi è sceso e ha voluto passare in mezzo alla gente. Era ilsuo modo di essere pastore “con l’odore del gregge”, come amava dire soprattutto a noi vescovi esacerdoti. Dovremmo ricordarcelo!Questa è la Chiesa, sorelle e fratelli. Queste sono e devono essere le nostre comunità. Non luoghichiusi nei loro piccoli mondi e nelle loro abitudini o tradizioni, ma case aperte, accoglienti, pronteall’ascolto, alla condivisone e alla solidarietà. “Chiesa in uscita”, ci ha ripetuto più volte a partire daquel testo, l’Evangelii gaudium, in cui è racchiuso il programma del suo pontificato e che ancoraoggi siamo chiamati a conoscere e a vivere: la gioia del vangelo che si comunica nell’incontro, nella condivisione, nell’amore. Non siamo qui per caso. Siamo qui perché sentiamo il bisogno di esserequi, di essere radunati dal Signore per essere suo popolo, donne e uomini che sentono il desiderio diessere con gli altri e per gli altri. Certo, la vita è spesso dura, sembra lasciare poco tempo per glialtri. Ma non vogliamo farci rubare la gioia dell’incontro, della preghiera comune, dellacondivisione, della solidarietà. L’Eucaristia della domenica è proprio questo: ritrovare ciò chesiamo, la vera immagine della nostra umanità. Il mondo ci abitua alla solitudine, a pensare a noistessi. Ci illude che questo porti felicità. Ma un io senza gli altri non è mai felicità. Gli altriesistono, quindi conviene che li incontri, te li fai amici. Il Signore ci raduna per farci gustare lagioia di essere tutti, nella nostra differenza, parte di un popolo il cui unico centro non sei tu, ma sololui, il nostro amico Gesù, e con lui noi possiamo essere fratelli e sorelle, amici.Oggi in particolare, per farcelo capire e gustare, ci offre l’esempio di un uomo come tanti, che haaccolto la chiamata a essere pastore, cioè a prendersi cura degli altri. Così fu san Sisto. Sorelle efratelli, il mondo ha bisogno di donne e uomini che si prendano cura degli altri, fermando la fretta dichi ha sempre da fare, ovviamente soprattutto per sé, per creare unità e amicizia. Quei due discepoli,di cui ci hanno parlato gli Atti degli Apostoli, se ne tornavano a casa loro col volto triste. Capitaanche a noi. La tristezza avvolge a volte la vita nel buio di questo tempo. Ma a un certo punto dellastrada qualcuno si avvicina e comincia a parlare con quei due e li aiuta a capire. Non lo riconobberosubito. Così è Gesù, cari amici. Si avvicina a noi, cammina con noi, soprattutto nei momentidifficili. Ricordiamolo sempre. Ci parla e ascolta le nostre parole piene di dubbi, domande. Gesùnon ha bisogno di persone sicure di tutto, che non hanno incertezze, fragilità, paure. Per questotende la mano per aiutarci, farci vedere la luce, quella della Pasqua, della vita. Certo, i due discepolilo riconobbero quando spezzò loro il pane, il pane dell’Eucaristia. Capite perché è bello essere conlui almeno nella Santa Messa della Domenica, dove lo riconosciamo meglio, gustiamo la luce che cifa vivere, ci nutriamo della sua Parola e del pane di vita eterna. Ogni domenica rinasce la comunità.Oggi il Signore affida un impegno a ognuno di noi: essere anche noi quelle persone che siavvicinano agli altri con lui, tendendo la mano con lui, per liberare dalla tristezza, aiutare gli altri aincontrarsi, dialogare, a essere amici, a vivere. Accogliamo questo invito per trovare la felicità checerchiamo e rendere il mondo pacifico e fraterno, un posto per tutti, a partire dagli ultimi e daipoveri.
Messa di Pasqua: l’omelia del vescovo Ambrogio

Pasqua 2025Atti 10,34-43; Colossesi 3,1-4; Giovanni 20,1-9 Sorelle e fratelli,Maria di Magdala voleva bene a Gesù Era stata perdonata e lo seguiva. La sua amicizia per Gesùla porta per prima ad andare al sepolcro. Ma ecco, la pietra era stata tolta dal sepolcro e il copro delSignore non c’era più. Corse da Pietro preoccupata e, insieme anche con l’altro discepolo Giovanni,tornarono al sepolcro, ma tale fu la sorpresa e lo sgomento che non capirono che cosa fosseaccaduto. Solo l’altro discepolo, il più giovane, dice il Vangelo, “vide e credette”. Questaannotazione del Vangelo ci dice che proprio quel giovane discepolo aveva visto in quei segnilasciati nel sepolcro che Gesù era vivo, a differenza di Pietro più anziano e forse troppo sicuro di sé,come appare altrove nei vangeli. Ciò non indica ovviamente una diminuzione del compito dipastore che Gesù affiderà a Pietro, ma forse ci vuole dire che in un giovane c’è a volte più prontezzanel capire e anche nel credere di quanto noi pensiamo abitualmente. Così inizia la fede nel Signorerisorto. Sì, tutti, cari amici, non solo chi viene da una lunga tradizione di fede, ma una donnapeccatrice e un giovane possono aiutarci a riscoprire la forza di vita che viene da quel sepolcro, acapire di nuovo quanto il Signore risorto ci comunica nel tempo in cui siamo, rinnovando così noistessi.Non sempre capiamo tutto. Oggi siamo qui per farci guidare dalla luce del risorto in un mondobuio, dove sembrano vincere la paura, la stanchezza, l’ingiustizia, la violenza della guerra. Chitoglierà via la pietra che nasconde la luce di quell’uomo, Figlio di Dio, che ha donato la vita per noi,rifiutando l’uso della spada, pregando per l’unità e per la pace in un mondo che sembra amarel’opposto? Quella pietra era pesante, come sono pesanti le pietre che nascondono il dolore e le feritedi tanti uomini e donne, resi invisibili dal buio dell’indifferenza, da sguardi ormai distratti, chepassano davanti al dolore e alla morte come se fosse normale o non li riguardasse. Sì, il buio non favedere nessuno, tanto meno il dolore altrui, ma solo se stessi. Quanta indifferenza!Ma quella donna e quei discepoli non si persero d’animo. Corsero per cercare, vedere. E poiqualcuno, un angelo, come racconta Matteo, un giovane, come dice l’evangelista Marco, dueuomini in vesti sfolgoranti, come troviamo in Luca, Gesù stesso, come preferisce raccontareGiovanni, ci parleranno, ci aiuteranno a capire. Siamo qui per questo. Sì, Gesù nostro Signore èrisorto, è l’inizio di un tempo nuovo, in cui la morte non sarà la fine definitiva della vita, perché Dioha fatto risorgere Gesù da morte. Ma noi dobbiamo correre. Certo non tanto con le gambe, perchéqualcuno non ce la farebbe, ma con il cuore. Dobbiamo correre da Gesù, fermarci davanti al dolore di quel sepolcro, e poi ascoltare la parola di Dio, che ci parli del risorto, della nuova vita che iniziacon lui già durante la nostra vita terrena e poi dopo la morte.Allora oggi ci viene chiesto di scegliere come vivere, oppure vogliamo continuare tutto comeprima, o magari come altre Pasque in cui non è cambiato niente o solo poco? L’apostolo Paolo civiene in aiuto. “”Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destradi Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra”. Sorelle e fratelli, abbiamospesso lo sguardo basso, il pensiero rivolto a noi stessi, al nostro interesse, a quanto possiamo fareogni giorno. Certo, questo è comprensibile, direi normale. Anche guardare a se stessi serve pervivere soprattutto in un tempo difficile come questo. Ma non basta per realizzarci, soprattutto nonbasta per essere felici, per vivere bene. Si cammina a testa bassa, magari china sul cellulare, cosìnon si vede nessuno e tutto ci passa accanto senza che ce ne accorgiamo. Gli altri, soprattutto ipoveri, diventano inesistenti; a volte il mondo li considera inutili! Con la testa gli altri diventanopersino un fastidio, perché il tuo sguardo rivolto sempre in basso li rende tali. Ma gli altri esistono,non sono comparse occasionali. Il dolore esiste, la guerra esiste. E, se vuoi vivere bene, deviguardare oltre il basso, al di là dello sguardo sempre chino su di te! Alziamo allora lo sguardoanzitutto verso il Signore, verso la sua parola di vita. Cerchiamo le cose che vengono da lui, chevuole solo il nostro bene, la nostra felicità. Le cose di lassù non sono cose strane o superflue; sonola vita. Le possiamo cercare e trovare a partire da qui, dalle nostre comunità, dalla Parola di Dio edall’Eucaristia; le troviamo nella preghiera, nella cura e nell’amore per gli altri, nell’amorereciproco e nella condivisione della nostra vita. Così potremo fare di Pasqua davvero l’inizio di untempo nuovo. Comunichiamo agli altri, con gioia e semplicità, con le parole e l’esempio, questosguardo che vede oltre se stessi, questo tesoro di vita perché tutti vedano attraverso di noi losguardo e l’amore di Gesù risorto, che ci tende la mano per camminare con noi. E preghiamo perchéil saluto che il Signore risorto rivolse ai discepoli “pace a voi” sia per tutti, soprattutto per i paesi inguerra, l’inizio di un tempo di pace.
Messa Crismale: l’omelia del vescovo Ambrogio

Cari sacerdoti e diaconi, cari fratelli e sorelle, ci introduciamo con questa celebrazione al Triduo Santo, perché gli oli che saranno benedetti siano fonte di grazia e di unità nel popolo santo di Dio per tutti coloro che li riceveranno. Mai come in questa celebrazione sentiamo la forza e il bisogno dell’unità attorno al Signore Gesù, che si avvia verso la Passione, morte e resurrezione, cuore della nostra vita di fede. Il mondo ci abitua a ben altro: divisioni, arroganza, protagonismi, tribalismi, non fanno che umiliare il sogno di Dio dell’unità di tutto il genere umano, fino a rendere difficile una convivenza fraterna e solidale, che sembra davvero impossibile. Ma il nostro essere qui, sorelle e fratelli, mostra che questo è possibile, perché Dio lo rende possibile con la sua grazia, con un amore che non smette mai di parlarci e di aiutarci a vivere. Il Signore conosce il nostro peccato, le nostre fragilità, le nostre incertezze e paure. Eppure, continua a convocarci perché ha fiducia in noi. Per questo ci raduna attorno alla Parola di vita eterna, che si fa cibo per noi. Per questo ha consacrato diaconi, presbiteri e vescovi, perché possano essere portatori di un “lieto annuncio”, quel vangelo che si prende cura dei poveri, che soccorre e salva, che proclama la grazia di Dio per l’umanità. Noi siamo indegnamente rivestiti di questa grazia che, attraverso la proclamazione della Parola e i sacramenti della Chiesa, può scendere in abbondanza nella vita delle donne e degli uomini e fecondarla, farla germogliare di frutti di bene. Forse oggi è facile anche per noi perderci d’animo, cedere alle scorciatoie e in fondo accontentarci di ciò che si riesce a fare. Il pessimismo non risparmia il nostro modo di vivere e di guidare le nostre comunità, che comunque sono sempre ricche di donne e uomini che condividono con noi il desiderio di comunicare agli altri, a partire dai piccoli e dai giovani, la bellezza della vita cristiana. Come già ho detto più volte, nel cammino sinodale, ma anche prima che iniziasse per tutta la Chiesa, tanti si sono impegnati. Siamo grati a tutti loro. Non ci nascondiamo le fatiche. Il mondo cambia velocemente e l’abitudine all’isolamento, che ha sempre tante cause personali e collettive, rende difficile incontrarsi, dialogare, ascoltarsi e parlarsi. La vita cristiana, sorelle e fratelli, è vita di popolo, sempre. Soprattutto nei momenti difficili, in questo tempo segnato da tante sofferenze, delusioni, solitudini, siamo chiamati a riscoprire la gioia e la forza di essere popolo, comunità di donne e uomini, di cui i presbiteri e i diaconi sono al servizio per il ministero ricevuto dal Signore Gesù nella Chiesa. Siamo coloro che hanno ricevuto di più, quindi siamo chiamati ad essere generosi nel dare, amabili nelle relazioni, inclusivi, forti della grazia di Dio, che dobbiamo seminare largamente perché largamente abbiamo ricevuto. L’autoritarismo e l’individualismo non aiutano l’autorevolezza di chi come un padre ascolta e parla con amore ai suoi figli. Così è il Signore Iddio con noi. Così dovremmo essere noi con tutti coloro che il Signore ci ha affidato e che abitano la terra in cui viviamo, anche se non frequentano le nostre comunità abitualmente. Il profeta, le cui parole abbiamo ascoltato, si trovava davanti una città e una terra impoverite e rassegnate. La Parola di Dio lo aiutò a scoprire la chiamata ad essere profeta per tutta quella gente che aspettava parole di speranza, un tempo di grazia che rispondesse alla delusione e al pessimismo e indicasse una via per il futuro. Oggi il Signore ci chiama ad essere profeti, ad accogliere la sua parola rileggendola nel tempo in cui siamo, per aiutare a trovare la strada del bene, a ricostruire una comunità di popolo, dove tutti possano trovare accoglienza e condivisione. La profezia è visione, che diventa pensiero e aiuta ad assumersi la speranza di un nuovo inizio. Sorelle e fratelli, non basta ripetere ciò che abbiamo ricevuto dalla storia solo come una consuetudine, anche se tutto è prezioso e nulla va smarrito. Il Signore soffia nella polvere che siamo il suo alito di vita, perché ci assumiamo la responsabilità di rinnovare il mondo cominciando dal cambiamento di noi stessi e delle nostre comunità. Il mondo ha bisogno di profeti che facciano germogliare il deserto di bene, di amore, di pace! Allora, cari amici, ricostruiamo un tessuto di fraternità nel trama sfilacciata della vita, dove sembrano dominare tanti io, poco inclini a formare un noi. Questa terra, che ci vede ministri e servi assieme a tanta gente, attende parole di speranza. Le attendono i poveri e gli esclusi, come i giovani disorientati e gli anziani sempre più soli. Le aspettano i migranti e le famiglie in difficoltà. Il Signore riempia il nostro animo della sua grazia. Il suo amore faccia traboccare i nostri cuori di frutti buoni, che possano come un seme irrigare e fecondare i cuori di tutti, perché il mondo sia meno ingiusto, più pacifico e umano. Ci affidiamo al Signore, camminando con lui in questi giorni di Passione, perché Lui, che ha portato il peccato del mondo, ci faccia partecipi della vita che il Padre gli ha donato. E non dimentichiamo mai di pregare per chi soffre per la guerra e la violenza, come l’Ucraina, la Terra Santa, il Sudan, e molti altri luoghi. Signore: fa che il mondo finalmente cerchi e percorra la via della pace e della fraternità! E rende tutti noi responsabili di costruire questa via con la preghiera e la vita di ogni giorno. Abbazia di Casamari, mercoledì 16 aprile 2025
50° di sacerdozio del vescovo Ambrogio: il saluto della diocesi di Anagni-Alatri

Caro Vescovo Ambrogio, ci uniamo al coro dei tanti che ringraziano il Signore per il dono del Suo sacerdozio ricevuto 50 anni fa. E’ stato questo l’inizio di tante grazie che il Signore le ha concesso nel suo ministero di Pastore. Desideriamo sfogliare questi anni con la memoria riconoscente che Dio ha operato in Lei a favore di tanti uomini e donne e a nostro favore, con l’apertura al futuro in cui ci attende il Signore con amore e tenerezza, con la responsabilità attenta allo Spirito e alla novità che la fantasia dello Spirito semina nel nostro presente. Nel saluto che Lei ha fatto alla nostra Diocesi del 10 novembre 2022 ebbe a dire: «Sarò in mezzo a voi come un Pastore ma anche come un amico. Continueremo a costruire insieme, in questo tempo così difficile, una Chiesa che risponda ai problemi, alle domande e al bisogno di salvezza di tanti uomini e donne del nostro mondo, comunicando il Vangelo che è una buona notizia e prendendoci cura gli uni degli altri. Sono qui per essere al servizio dell’unità e dell’amore reciproco, per vivere insieme la gioia di essere popolo, sorelle e fratelli tra noi e sempre con i poveri e gli ultimi». Un programma realizzato pienamente con tanta disponibilità, trovando sempre il tempo per stare in mezzo a noi e a tutte le comunità parrocchiali incontrate. Insieme a tutto il presbiterio Le dico grazie per l’affetto, il rispetto, l’attenzione, la stima che ha in tutti noi sacerdoti, nei diaconi, nei religiosi e religiose, e verso l’intera comunità e per il cammino fatto con prudenza e saggezza insieme con la Chiesa sorella di Frosinone-Veroli-Ferentino. Certamente per tutti noi sacerdoti questa festa è un’occasione per ravvivare l’entusiasmo del nostro servizio e la passione per vivere e trasmettere la gioia del Vangelo. Ci uniamo al Suo Te Deum di gratitudine a Dio, alla sua famiglia, alle persone che l’hanno accompagnata, implorando per Lei le più elette benedizioni nel continuo del Suo ministero di Pastore. Auguri vivissimi Monsignor Alberto Ponzi Vicario generale della diocesi di Anagni-Alatri
L’omelia del vescovo Ambrogio per il 50° di ordinazione sacerdotale

Fratelli e sorelle, “è bello e dà gioia che i fratelli siano insieme”, recita il Salmo. Sì, è bello per me essere qui con voi a rendere grazie al Signore per i cinquant’anni dalla mia ordinazione sacerdotale. Grazie per la vostra presenza così numerosa e fraterna. Saluto il vescovo Giorgio, arcivescovo di Foggia, che è stato con me i primi anni a Frosinone, il padre Abate Loreto e la comunità monastica di Casamari, che ci ospita sempre con benevolenza. Saluto voi, cari sacerdoti, diaconi, consacrate e consacrati, e tutti voi, sorelle e fratelli, parte preziosa del popolo di Dio delle Diocesi che il papa mi ha affidato. Mi sento davvero parte di questo popolo di donne e uomini che nella loro vita e nei loro diversi impegni nelle nostre comunità e associazioni laicali desiderano costruire un mondo in cui si possa vivere insieme, con gli altri e per gli altri, con la preghiera, l’amicizia, la cura, soprattutto dei poveri e dei fragili, ma anche degli anziani e dei giovani. Ho visto seminare in questi anni tanto bene, tanto amore, tanta gratuità nel servizio, anche nei momenti difficili come gli anni del Covid o in questo tempo, in cui crescono le difficoltà nella vita quotidiana e anche la solitudine. Vi ringrazio di cuore. Ringrazio il prefetto e le autorità civili e militari, che sono qui, con cui abbiamo sempre cercato di contribuire insieme al bene di tutti. Come Chiesa non ci siamo mai tirati indietro nel contribuire alla crescita umana e sociale di questa terra, benedetta da Dio per le sue bellezze, ma anche tanto deturpata dall’affarismo e dagli opportunismi, a volte senza visione e con un pensiero corto. Premettetemi infine di salutare alcuni amici della Comunità di Sant’Egidio di Roma, che fin da diacono e poi da sacerdote mi ha aiutato a vivere la Parola di Dio a partire dalle periferie della città. Grazie di essere qui. La Parola di Dio ci guida sempre a riscoprire il senso della grazia e della benevolenza di Dio, che tutto può cambiare anche nei tempi difficili, come era quello di Israele esiliato a cui si rivolge il profeta: “Non pensate più alle cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia; non ve ne accorgete?” Sorelle e fratelli, a volte siamo ancorati al passato e tristi nel presente, un po’ senza futuro. La Parola di Dio ci risveglia a una speranza vera, umana, gioiosa, vivibile. Se ascolti il Signore che ti parla, tutto può cambiare, perché è anzitutto Dio che ti cambia, ti rinnova, ti offre una nuova strada su cui camminare, quella del bene, della giustizia, della pace, della cura degli altri, di cui il mondo ha estremamente bisogno in questo tempo di tante guerre, di troppo odio, rivalità, di io che camminano senza gli altri, con la testa bassa, oppure pronti a giudicare e a condannare, tanto per sentirsi migliori. Gesù sa quanto è facile vivere per se stessi, ma conosce anche la nostra fragilità, il nostro peccato, il bisogno di amore e di salvezza. Lo mostra a quella donna adultera, che gli portano davanti per essere giudicata e condannata, come voleva la legge. Per due volte, di fronte alle parole degli accusatori, Gesù si china e scrive per terra. Sì, Gesù si abbassa, si umilia, si assume il peso del peccato del mondo, per poi alzarsi e indicare la via della vita e della resurrezione, del perdono di Dio che salva da tutti i peccati e dalla morte definitiva. Così, in quel gesto di scrivere per terra ci sono i nomi di quando ci allontaniamo dal Signore, perché solo il perdono di Dio farà scrivere quei nomi nel cielo per vivere sempre con lui. Il Signore non è venuto infatti per condannare, ma perché tutti, ascoltando la sua parola, possano vivere la gioia del Vangelo, la bellezza di una fraternità che rende popolo e ci fa vivere nel bene, nell’amore per tutti, soprattutto per i poveri e gli ultimi. Ho gustato la gioia di essere popolo con voi in tutti questi anni, soprattutto da quando abbiamo accolto l’invito di papa Francesco all’assemblea della Chiesa italiana a Firenze nel 2015, che ha chiesto di riflettere sulla Evangelii gaudium. Da allora lo abbiamo fatto senza interruzione, aprendo le porta delle nostre comunità a tutti, offrendo a molti, anche a chi non frequentava abitualmente la Chiesa, la possibilità di ascoltarsi, riflettere insieme, condividere il proprio tempo con chi aveva bisogno. Grazie a tutti quelli che si sono impegnati e hanno tenuto vivo fino ad oggi questo modo di essere Chiesa, un “noi” di persone che, nella ricchezza della loro differenza, camminano insieme e si aiutano, rendendo la casa di Dio non un élite di prescelti che se la giocano tra loro sentendosi migliori e giudicando gli altri, ma un luogo dove tutti possono trovare accoglienza e amicizia, cura e condivisione, e soprattutto possono trovare il Signore e gustare la speranza di vita e di bene della sua Parola e del pane di vita eterna nella Santa Liturgia e nei sacramenti della Chiesa. Nel Giubileo corriamo allora come pellegrini di speranza, come ci suggerisce l’Apostolo Paolo. Nessuno, tanto meno io anche dopo 50 anni di sacerdozio, è arrivato alla perfezione, cioè a una vita ripiena della presenza di Dio. Ma tutti corriamo perché il Vangelo sia luce in questo tempo buio, pieno di paure e di solitudini, di pessimismo e di tristezza! Sì, non c’è tempo da perdere attorno a se stessi. Il mondo ha bisogno di questa speranza che viene dalla luce di Dio, che irradia perdono e amore, fraternità e pace. Ne hanno bisogno in Ucraina, in Terra Santa, e ovunque la guerra continua a umiliare e uccidere. Ne hanno bisogno anche le donne e gli uomini di questa terra, che devono trovare in noi la luce e lo sguardo amorevole e accogliente di Dio, che aiuta e salva. Affidiamoci l’un l’altro all’amore del Padre, perché camminando insieme con
Veglia di preghiera per i missionari martiri

Venerdì 28 marzo il vescovo Ambrogio Spreafico presiederà l’annuale veglia di preghiera per la Giornata dei missionari martiri, promossa dalle diocesi di Anagni-Alatri e di Frosinone-Veroli-Ferentino. Questo momento di preghiera si terrà nel Santuario della Madonna della Neve a Frosinone, con inizio alle 20.45. La Giornata è giunta alla sua edizione numero e quest’anno ha come tema “Andate e invitate”, in riferimento al brano del Vangelo di Matteo che ha accompagnato tutto l’ultimo ottobre missionario. Nella parabola raccontata da Gesù, questo rappresenta un comando che il re dà ai suoi servi nel momento in cui gli invitati non si presentano al banchetto e quindi decide di invitare tutti, anche coloro che stanno ai crocicchi delle strade. In particolare, la sottolineatura dei due verbi “andate” e “invitate” ci ricorda che, sull’esempio dei missionari, come ha scritto papa Francesco nel messaggio per la Giornata missionaria mondiale del 2024 «la missione è un andare instancabile verso tutta l’umanità per invitarla all’incontro e alla comunione con Dio. Instancabile! Dio, grande nell’amore e ricco di misericordia, è sempre in uscita verso ogni uomo per chiamarlo alla felicità del suo Regno, malgrado l’indifferenza o il rifiuto». In questo giorni, fa sapere Missio, l’organismo pastorale della Cei che organizza la Giornata, «vogliamo ricordare in particolare tutte le missionarie e i missionari che hanno donato la propria vita nell’annuncio del Vangelo e nel servizio ai prossimi. In questa giornata di preghiera e di solidarietà, la loro testimonianza di vita vissuta alla luce della Parola incarnata nella quotidianità delle genti con cui l’hanno condivisa, ci richiama a vivere la nostra fede con autenticità. L’esempio dei tanti missionari, testimoni di una vita piena, ci incoraggia nel rinnovare il nostro impegno nell’aiuto ai più bisognosi, nella lotta alle ingiustizie e nel prendere posizione davanti a atti di prepotenza, ricordandoci che anche nelle situazioni umane più drammatiche può accendersi una luce di Speranza. Questo giorno in cui tutta la comunità ricorda i propri missionari caduti coincide con il giorno dell’uccisione di san Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, avvenuta nel 1980. Il suo impegno accanto al popolo salvadoregno in lotta contro un regime indifferente alle condizioni dei più deboli e dei lavoratori e la sua figura così vicina e attenta agli ultimi, lo resero un punto di riferimento».