Il saluto del vescovo Ambrogio alle due diocesi: il testo dell’omelia

Cari fratelli e sorelle, è una gioia essere qui insieme e vi ringrazio per aver accettato l’invito a prendere parte a questa celebrazione di saluto. Da 17 anni sono stato in mezzo a voi come vescovo della Diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino, e solo da poco più di due anni anche della diocesi di Anagni-Alatri. Ho cercato con i miei limiti e la mia umanità di essere come vostro pastore segno di unità e comunione.  Ogni vescovo porta in sé la sua storia di fede e di cultura. Non ci sarà mai né il vescovo perfetto né, tanto meno, il vescovo che piace a tutti o che uno desidera secondo il suo modello e le sue aspettative. Il mio successore, l’arcivescovo Santo Marcianò, verrà come padre e servo, con la sua storia e umanità. Siamo chiamati ad accoglierlo e a volergli bene.    Ho provato, in questi anni, a vivere la missione a cui il Signore mi ha chiamato in maniera larga, incontrando tanti. La Chiesa, infatti, non vive per se stessa, ma tra la gente, nel mondo e nella cultura del luogo dove si vive e si cresce. Ed insieme a voi sento di essere cresciuto anche io, di aver imparato a conoscere e a voler bene a questo luogo e ai suoi abitanti, con le ricchezze e le fragilità della nostra amata Ciociaria, a cui, purtroppo, non sempre tutti hanno voluto bene. Basti vedere lo scarso impegno nel riparare il disastro ambientale. La nostra terra, profanata dall’inquinamento, geme e soffre ancora, come ci ricorda l’Apostolo Paolo nella lettera ai Romani! Chi raccoglierà questo grido? Vorrei chiedervi di ascoltarlo di più e di sentirci custodi del creato, finché nessun bosco delle nostre colline sia dato più alle fiamme, nessun fiume sia avvelenato e neanche una goccia d’acqua vada più persa. Vorrei chiedervi di ascoltare la sete di futuro dei nostri giovani, che sono costretti e invogliati ad andarsene altrove. Vorrei chiedervi di non essere indifferenti alla criminalità organizzata, i cui tentacoli inducono al silenzio e alla complicità! Alla prepotenza, ci si può sempre opporre con la forza mite e attiva del bene, come ci suggerisce oggi il libro del Siracide.    Ma io lascio questa terra con fiducia. In tanti di voi ho incontrato semi di bene, di speranza, di futuro. Ringrazio chi di voi ha compiti di responsabilità, a cominciare dal Prefetto dott. Ernesto Liguori, fino agli esponenti delle forze dell’ordine e a quanti rappresentano le amministrazioni locali e provinciali, assieme alle realtà culturali, associative e imprenditoriali del territorio. Ho cercato di favorire un clima di dialogo sincero, nel rispetto e nella varietà delle nostre mansioni, trovando tanti alleati per il bene e la crescita spirituale, culturale e sociale di questa terra.    Cari sacerdoti e diaconi, cari religiosi e religiose, caro padre Abate, cari fratelli e sorelle delle nostre comunità. Grazie per la vostra amicizia e il vostro impegno. Come sapete, sono un biblista di formazione. Ho cercato di comunicare quella forza di amore e di senso che viene dalla Parola di Dio, senza cui non esiste né chiesa, né pastorale, e neppure quell’umiltà indispensabile per il dialogo e una convivenza pacifica. Nel mondo avviene spesso il contrario, come sempre dice il Siracide: “Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi … e per la misera condizione del superbo non c’è rimedio”. Quando Maria, oggetto di tanta bella devozione nella nostra terra, riceve il Vangelo, la buona notizia della nascita di Gesù, subito loda Dio perché ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore e ha innalzato gli umili. Come rovesciare i potenti dai loro troni di violenza e di guerra? Come abbiamo fatto insieme, ponendo al centro delle nostre comunità la Domenica, il banchetto dell’Eucaristia: essa ci rende popolo, comunità riunita dall’amore di Dio.    Dal nostro essere comunione di sorelle e fratelli attorno all’Eucaristia, la Parola alza lo sguardo oltre noi stessi, accende in noi il desiderio di Dio, l’amore per tutti e la speranza di un mondo rischiarato dalla luce del Signore. Ogni anno abbiamo preparato insieme l’Assemblea Diocesana, confrontandoci e ascoltandoci, come ogni anno abbiamo celebrato la Domenica della Parola, per indicare in essa il nutrimento della nostra umanità. Ringrazio i Consigli Presbiterale e Pastorale per il lavoro comune che abbiamo fatto coadiuvati dai Vicari Generali, don Nino e don Alberto, dagli uffici diocesani e interdiocesani, come l’Istituto Interdiocesano per il Sostentamento del Clero. Solo insieme si costruisce la Chiesa. Mai da soli, mai padroni, mai battitori liberi confrontandosi solo coi propri simili. La ricchezza del dialogo nei gruppi, che si è rafforzato dopo l’Assemblea Ecclesiale di Firenze del 2015, ha reso possibile un vero cammino sinodale, con il coinvolgimento di molti facilitatori e moderatori, che ci hanno consentito di riflettere ogni mese a livello vicariale, parrocchiale e associativo, ma anche con molti altri. Anche ad Anagni abbiamo ripreso lo stesso cammino con grande coinvolgimento e partecipazione, continuando nello spirito ereditato dal Vescovo Lorenzo. Grazie per aver condiviso questo prezioso impegno, che ci ha fatto camminare come popolo, condividendo gioie e fatiche della gente della nostra terra. Una vera ricchezza, rifluita quasi naturalmente come uno stile di vita nella celebrazione del Sinodo della Chiesa del nostro Paese.     Celebrazione della Domenica, Parola di Dio, e infine cura dei poveri e dei fragili. La mia esperienza nella periferia di Roma con la Comunità di Sant’Egidio fin dagli anni ‘70 mi ha fatto toccare con mano il bisogno materiale e spirituale di tante persone. Con voi, anche accogliendo con gioia l’eredità del vescovo Salvatore, mio predecessore, ho trovato terreno fertile per l’impegno non solo delle Caritas, ma anche di tante persone e realtà che si sono assunte la responsabilità di venire incontro a situazioni di povertà, abbandono, solitudine. Penso alla dedizione per i senza fissa dimora, per gli immigrati, per le famiglie in difficoltà, per gli anziani, al prezioso coinvolgimento nei centri di ascolto e di molti giovani nelle raccolte alimentari. Mi immagino una Chiesa sempre casa rifugio per tutti, dove ciascuno possa trovare accoglienza, ascolto,

Anagni: l’omelia del vescovo Ambrogio per San Magno

San Magno (Anagni, 18 agosto 2025) Sapienza 3,1-9; Giacomo 1,2-4.12; Matteo 10,28-33 Cari fratelli e sorelle, ci ritroviamo anche quest’anno per fare festa per il patrono di questa nostracittà. Siamo di fronte e un uomo che ci troviamo come patrono proprio per aver annunciato ilVangelo anche qui. La sua testimonianza ha toccato i cuori dei nostri predecessori tanto daconservarne il ricordo in modo solenne in questa cattedrale eretta da un altro vescovo, San Pietro daSalerno, che custodisce la memoria di San Magno, come si ammira dalla cripta, tesoro prezioso diquesta città. Vescovo di Trani, fu costretto alla fuga per le persecuzioni dei cristiani, ma nonrinunciò a continuare il suo impegno missionario, che lo portò in molti luoghi del Lazio, tra cui lanostra città. Cari amici, chi ascolta il Vangelo e si fa toccare dalla parola di Gesù non può nonesserne testimone, comunicando agli altri la forza di una parola che dà vita, speranza, chearricchisce la nostra umanità.Vedete, a volte noi cristiani facciamo fatica a vivere la ricchezza della parola di Dio, che, se vabene, ascoltiamo la domenica alla Messa, ma che poco diventa proposta di un’umanità rinnovata,migliore, più fraterna e pacifica. In fondo ci accontentiamo di belle cerimonie, ripetiamo anchemomenti importanti delle nostre comunità, come oggi ad esempio. Chiediamoci: come puòl’incontro con il Signore nella sua Parola, che diventa pane di vita con l’Eucaristia, lasciare traccianella nostra vita? Ci si abitua a tutto, alle cose belle e anche a quelle brutte, come la guerra, laviolenza, la prepotenza, la mancanza di rispetto, ormai diventate una cultura del vivere e delconvivere. L’importante, molti dicono, che sto bene io, possibilmente facendo il mio interesse, a perqualcuno anche i propri affari a scapito degli altri.Con le nostre incertezze e paure oggi siamo qui, perché confidiamo nell’aiuto di Dio perintercessione di San Magno. “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo…”, ci dice ilSignore. Sì, anche noi abbiamo paura davanti alla forza del male, che appare quasi incontrastabile,impossibile da fermare. Basta vedere quanto sta succedendo in Ucraina, a Gaza, ma talvolta anchenella violenza delle nostre città. Eppure, il Signore non ci fa mancare mai la sua protezione se noiconfidiamo in lui. La preghiera è sempre una forza che ci avvicina a Dio e che ci apre agli altri,all’amicizia e alla solidarietà. Lo ha ricordato molte volte papa Leone in queste settimane, parlandoai giovani alla GMG e al mondo, invocando la pace.La lettera di Giacomo ci aiuta a trovare risposte nei tempi difficili e in quei momenti della vita incui capita di lasciarsi andare, di rimanere indifferenti, chiudendoci in noi stessi nella tristezza di unasocietà che sembra non aiutarci a vivere, che lascia spesso soli gli anziani, poco capace di sostenerechi fatica a tirare avanti o che costruisce muri nei confronti dei poveri invece di ponti di solidarietà. Quanto ha fatto l’Italia accogliendo 114 palestinesi di Gaza, tra cui 31 bambini con le loro famiglie,per essere curati, è un segno importate in un’Europa che fatica ad accogliere chi fugge da guerre ecalamità naturali. Pensate solo che in un Paese come il Sudan, che ha circa 50 milioni di abitanti, acausa di una guerra civile ancora in corso, ben 12 milioni sono sfollati, cioè hanno perso tutto erimangono nel Paese o nei Paesi limitrofi.Dice la lettera di Giacomo: “Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta diprove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza. E la pazienza completil’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri…”. Come avere perfetta letizia nella prova?Difficile. Eppure, ricordate Francesco d’Assisi che si rivolse a frate Leone dicendo che perfettaletizia è proprio quando gli altri non ti accolgono nel bisogno e non fanno ciò che ti aspetteresti:questa è perfetta letizia che crea pazienza. Siamo spesso impazienti. L’impazienza e la fretta spessodominano la vita. Così non ci si ferma e non ci si ascolta. Vorremmo attenzione, riconoscimenti,gratitudine, ma non si è mai contenti. Manca sempre qualcosa che gli altri ci dovrebbero. Perfettaletizia nasce dalla pazienza di un amore che sa dare con generosità, senza calcoli. San Magno,vescovo e martire, ha resistito al male continuando ad annunciare la forza del vangelo. Resistettealla tentazione di lasciar perdere, di andarsene senza far niente davanti a chi aveva bisogno del suoaiuto. Continuò a dire che nel Signore possiamo salvare la nostra vita e quella degli altri. Cosìarrivò qui e il vangelo da lui annunciato divenne sorgente di vita, come viene raccontato neimiracoli descritti nella cripta, dal bimbo caduto in un pozzo alla giovane contadina affetta daparalisi, guarita dopo lunghe preghiere. Sorelle e fratelli, lasciamoci guidare dalla Parola di Dio, chepuò rivestire anche noi di una forza che guarisce e salva, e da soli nessuno avrebbe. Nonrassegniamoci al male. Resistiamo nel bene con la preghiera e l’amore reciproco, così da rendereancor più bella e umana questa città e la terra in cui siamo. Lo chiediamo con insistenza al Signoreper intercessione di San Magno, perché aiuti il mondo e noi a ritrovare le ragioni della pace e dellafraternità. Preghiamo perché i colloqui iniziati tra Trump, Putin, Zaleski e i leader europei, sianol’inizio di un dialogo, che solo potrà portare alla pace. Affidiamo al Signore chi soffre per ladevastazione a Gaza, per gli ostaggi nelle mani di Hamas, perché torni presto la pace e israeliani apalestinesi possano a vivere insieme. Amen

Il saluto e il “grazie” del Vescovo Ambrogio

Carissimi e carissime, vi ringrazio di essere qui per questo momento particolare per una diocesi: l’annuncio della nomina da parte del Santo Padre Leone del nuovo vescovo delle Diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino e di Anagni-Alatri, unite in persona episcopi. Questo mostra sempre la paternità della Chiesa, nostra madre, che si preoccupa che tutto avvenga nell’unità e nella comunione, come papa Francesco ha più volte evidenziato soprattutto da quando ci ha fatto pellegrini di speranza con il Cammino sinodale. Sono vescovo della Diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino dal luglio 2008 e di Anagni Alatri solo dal gennaio 2023. Conosco credo tutti voi personalmente. Con molti di voi, a partire dai sacerdoti, dai diaconi, dai consacrati e dalle consacrate, con i quali esiste un rapporto più frequente, ho avuto modo di lavorare insieme nella reciproca fiducia. Ho sempre apprezzato la sincerità, al di là delle normali differenze di opinioni che fanno la nostra ricchezza, senza la quale non si può mai costruire un rapporto fraterno che concorra al bene di tutti e non anzitutto al proprio. Anzi, chi si impegna per il bene altrui fa sempre anche il suo. Al contrario, l’io su cui a volte ci concentriamo, non fa che il nostro male oltre a quello degli altri. Vi ringrazio per l’affetto che molti di voi hanno nutrito per me, nonostante i miei limiti. Qui nel lavoro comune e a Fiuggi, ho trovato persone che sanno lavorare insieme mettendo a frutto le proprie capacità, ma soprattutto aiutandosi e facendosi aiutare, mostrando che solo lavorando insieme con impegno e gentilezza, si possono raggiungere i propri obiettivi.    Grazie, perché insieme abbiamo davvero realizzato cose belle, degne di una vera comunità di intenti che si preoccupa di mettere a frutto le proprie competenze e talenti. Penso al grande impegno della Caritas, insieme a Diaconia, per i poveri, i migranti, gli anziani, i senza fissa dimora, i diversamente abili. E quanto è importante la presenza continua nel Carcere. Le Aggregazioni e movimenti laicali hanno contribuito con i loro carismi in tanti modi a rendere il Vangelo parola che irradia amore, compassione, cura degli altri, insieme al fondamento della preghiera. La mensa per i poveri, la cura degli anziani, l’impegno con i giovani, ne sono un esempio. Penso all’impegno e alla fantasia creativa dei responsabili dei Beni Culturali ed edilizia di Culto, perché avete reso il vostro impegno comunicativo, non chiuso negli edifici di cui siete custodi. Una fede che diventa cultura è oggi più che mai indispensabile. Potrei dire molto di tutti i responsabili degli uffici di curia, dalla Scuola alla Liturgia, alla catechesi, alla scuola dei ministeri, all’impegno per la Pastorale giovanile e vocazionale, all’ufficio pellegrinaggi, al prezioso impegno dei Cancellieri e del Tribunale. Insomma, grazie a tutti voi. Non posso non ringraziare l’economato e gli economi, da don Mauro e da ultimo Marco Arduini e Stefano Ambrosi, che ci hanno aiutato ad ogni livello a ristabilire anzitutto delle regole generali di amministrazione e di gestione dei beni mobili e immobili, senza cui non si può andare avanti e conservare il patrimonio che abbiamo ereditato e di cui nessuno è padrone, sempre con uno sguardo al futuro. L’IISC ha seguito con competenza tutti i cambiamenti e le necessità dei sacerdoti delle due diocesi. Grazia anche a voi. Grazie Roberta, che negli anni con competenza, pazienza e soprattutto riservatezza, hai curato il lavoro di segreteria senza risparmiarti. Lo stesso devo dire di Antonella, anche se solo da pochi anni. Infine permettetemi di dire un grazie particolare a Mons Giovani Di Stefano, don Nino, che mi ha coadiuvato per molti anni come Vicario Generale, accettando di rimanere almeno fino al termine del mio mandato, nonostante la fatica dell’età. La tua saggezza e le tue relazioni paterne con i sacerdoti sono stati un dono prezioso. Grazie a anche a don Alberto Ponzi, che tra la Santissima e altro mi ha aiutato a entrare con rispetto e affetto nella Diocesi di Anagni-Alatri.    Credo, cari amici, di avere cercato in coscienza di impegnarmi per il bene di questa terra, che, come spesso dico, è bella ma anche tanto sofferente per l’incuria e gli egoismi così diffusi anche oggi. Ho voluto bene alla Ciociaria, ho cercato di rispondere a ciò di cui era necessario, sforzandomi di rendere il nostro ricco patrimonio di fede e cultura, ereditate dal passato, vive anche oggi, capaci di comunicare quell’umanesimo biblico che riscopro ogni volta che mi chino sulle pagine del Sacro Testo. Ringrazio per questo le autorità civili e militari, a cominciare dal Prefetto, con le quali ho sempre cercato di costruire un rapporto sincero in vista del bene comune, mai rinunciando a dire la mia, o meglio, a dire la nostra come Chiesa, facendoci sempre e ovunque partigiani dei poveri e dei deboli, oltre che della salvaguardia della bellezza del creato. Questo nessuno ce lo potrà mai togliere! E se qualche volta abbiamo esagerato, capirete che la Chiesa è anche profetica, soprattutto quando si tratta della difesa dei poveri e del loro diritto a vivere con dignità.    Infine, cari sacerdoti, spero che porterete nel cuore almeno l’impegno e la passione con cui ho cercato di farvi innamorare delle Sante Scritture, come luogo di incontro con l’umanità del Dio Trinità, che si è fatto Parola per noi e con noi, affidandoci allo Spirito di verità non per affermare le nostre piccole verità, usate a volte per difendere noi stessi senza sincerità, ma l’unica verità lì custodita e trasmessa dalla tradizione della Chiesa come un patrimonio di vita e di cultura. Essa chiede di essere rinnovata nel tempo in cui siamo, tempo della forza, che si impone ovunque con violenza e prepotenza, con l’unico interesse che è se stessi, il proprio io o il proprio gruppo, qualunque esso sia. Vorrei affidarvi le parole che papa Leone ha rivolto ai sacerdoti nella Giornata della Santificazione sacerdotale: “In un mondo segnato da tensioni crescenti, anche all’interno delle famiglie e delle comunità ecclesiali, il sacerdote è chiamato a promuovere la riconciliazione e generare comunione. Essere costruttori di

Indicazione per la diocesi durante la sede vacante

Di seguito pubblichiamo l’atto ufficiale, redatto dalla Cancelleria Vescovile, contenente le indicazioni liturgiche, la nomina del Delegato ad omnia e le disposizioni da seguire da parte degli Uffici Diocesani. Tale atto ha lo scopo di garantire che, anche in questo tempo di sede vacante, la Diocesi possa proseguire con ordine e serenità il proprio cammino, a servizio del bene della Chiesa di Anagni-Alatri.

Il vescovo a Tv2000: Le nostre comunità pietre vive di speranza. Leggi l’articolo e rivedi la puntata

Il vescovo Ambrogio Spreafico è stato ospite, mercoledì 21 maggio, della trasmissione “In cammino” su Tv2000, per una puntata sul senso delle comunità, da quelle che festeggiano un certo tratto di vita a quelle nuove. E così si è partiti proprio dalle celebrazioni per i 30 anni di consacrazione della chiesa di Tecchiena Castello, in diocesi di Anagni-Alatri, mentre in collegamento da Torino ha partecipato il vescovo ausiliario Alessandro Giraudo, per dar conto della gioia di una nuova chiesa costruita in località La Loggia. Partendo quindi proprio dalla chiesa di Tecchiena Castello, e in risposta alle domande del conduttore Enrico Selleri, il vescovo Spreafico ha ribadito l’importanza di continuare a custodire le chiese «perché è il luogo dove vive la comunità e la Chiesa tutta vive perché c’è un popolo, qualcuno che la guida e insieme agli altri costituisce un segno molto eloquente, in questo tempo difficile. Nessuno di noi è primo ma siamo fratelli e sorelle davanti al Signore che ci rende una comunione». Il conduttore ha quindi ricordato un passaggio dell’omelia di Spreafico a Tecchiena Castello (“essere comunità oggi è scelta coraggiosa e controcorrente”)  e il vescovo ha ribadito il concetto:  «Controcorrente perché siamo in un mondo frammentato, dove prima viene “io”, e invece davanti al Signore riscopriamo la bellezza di essere un “noi”, insieme, amici, fratelli e sorelle che condividono un percorso comune, pur nella loro diversità. Questo è un grande segno per il mondo di oggi, un dono che ci viene fatto e che dobbiamo imparare a vivere;  ce lo ha detto anche papa Leone nella liturgia di inizio pontificato e poi nel suo stemma: essere in Lui, uniti. E’ una grande cosa, il grande sogno di Dio che noi ci impegniamo a realizzare nelle nostre comunità. La Chiesa oggi è rimasta tra le poche realtà che mostra ancora come è bello essere insieme, essere segno in un contesto, in una storia; non viviamo solo per noi, non dobbiamo fare le “chiesuole”:  la chiesa è un luogo che comunica un sentire, una speranza, deve parlare al mondo. E oggi c’è bisogno di un amore che diventa unità, comunione, e che incontra i tanti bisogni di chi fa parte delle nostre comunità, di chi viene bussare alle nostre porte e le nostre chiese devono avere porte aperte alla carità, alla solidarietà. E devo dire che questo c’è in molte nostre comunità». Ma la chiesa di mattoni ha senso se ci sono pietre vive: «Se uno ascolta il Signore che parla, la Parola di Dio rende viva la pietra, ti rende umano il cuore, di fa rispondere agli altri con gentilezza, ascoltare, dialogare, quindi diventi vivo, comunichi il senso della vita. Noi siamo chiamati a comunicare la speranza, è un grande dono che ci viene fatto ogni giorno e che siamo chiamati a comunicare nella vita quotidiana, laddove siamo, a partire dalle nostre comunità». Ma è anche importante che le nostre chiese siano belle, curate, accoglienti, perché, ha rimarcato il vescovo, «un luogo bello richiama la bellezza di Dio che dovrebbe inondare la nostra umanità, renderci capaci di cogliere in ognuno la bellezza, perché in ognuno è immagine e somiglianza di Dio. Pensate: se noi vivendo avessimo un’idea di questa bellezza che vive nell’umanità, nel luogo dove noi siamo, nelle persone che incontriamo, magari nascosta dal male, da sofferenza e fatica. Ma noi siamo chiamata a far emergere la luce di Dio in ognuno. E i poveri sono dei maestri in questo». Riandando alla celebrazione per i 30 anni di Maria Santissima Regina a Tecchiena Castello, il conduttore ha infine chiesto a Spreafico se questi momenti di festa non costituiscono anche un rinnovare l’attaccamento alla propria terra, alla propria chiesa e al proprio Pastore: «Sì, anche perché il Pastore è segno di unità, di comunione e condivisione; siamo pastori perché c’è un popolo, per servire. La  Lumen gentium inizia parlando proprio di popolo,  poi viene la gerarchia; la rivoluzione conciliare è anche questa. Oggi qualche volta ci fossilizziamo solo su chi viene, ma ci sono tanti che vengono raramente ma sono parte di questo popolo.  Come parlare anche a loro, come raggiungerli, come non considerare nessuno estraneo? Ci vuole la pazienza dell’ascolto, di momenti che mettono insieme, che fanno vivere la comunità, che la rendono un popolo di gente che cammina insieme, che si vuole bene, che si dà una mano. Che è il sogno di Dio per l’umanità». di Igor Traboni A questo link potete rivedere la puntata: https://www.play2000.it/detail/18?episode_id=18045&season_id=728

Il vescovo Ambrogio per i 30 anni della chiesa di Tecchiena Castello: «Gratitudine per la vostra storia»

Ai prossimi 30, e poi ancora 50 e 100, ma sempre con lo stesso spirito di comunità, di fraternità e di Fede vissuta nel concreto: è questo l’augurio più bello che si possa fare alla parrocchia (in tutte le sue componenti) di Tecchiena Castello, che nel pomeriggio di domenica 4 maggio 2025 ha celebrato e festeggiato i 30 anni di consacrazione della chiesa dedicata a Maria Santissima Regina. Una celebrazione presieduta dal vescovo Ambrogio Spreafico, che non ha voluto far mancare la sua presenza in questo momento di gioia per una comunità piccola ma particolarmente attiva, e che ha concelebrato la Messa assieme al vicario generale della diocesi, monsignor Alberto Ponzi, e ad alcuni dei sacerdoti che in questi 30 anni si sono succeduti alla guida pastorale della comunità, dall’attuale parroco don Giorgio Tagliaferri, al primo e storico, don Marino Pietrogiacomi, e quindi don Fabio Massimo Tagliaferri, don Edoardo Pomponi, don Luca Fanfarillo. «Ci tenevo particolarmente a venire – ha esordito il vescovo, davanti ai fedeli che riempivano la chiesa – per ringraziare tutti voi che fate parte di questa bella comunità e chi è stato ed è qui, ad iniziare da don Marino e fino all’attuale parroco don Giorgio. La vostra storia ci aiuta a capire che tutti noi siamo dentro una Storia. E questo dobbiamo ricordarcelo bene, soprattutto oggi, in questo mondo in cui c’è troppo individualismo, in  cui si diventa tutti più egoisti davanti alle difficoltà della vita, in cui si dice sempre “prima io”, anche se veramente chi viene prima è Gesù. Nessuno è primo davanti a Gesù, noi cerchiamo di seguirlo come possiamo». Il vescovo ha poi richiamato e sottolineato il sostantivo “gratitudine” nei confronti di chi «ha mantenuto vivo questo luogo, una grande cosa, perché essere comunità nel mondo oggi non è normale: tutti hanno sempre tanto da fare, nessuno trova il tempo per fermarsi, per parlare con l’altro. C’è sempre la tentazione di vivere ognuno per sé, di dire “faccio quello che posso, non chiedermi di più”, ma non è così che funziona la vita dei cristiani». Rifacendosi poi al Vangelo del giorno, annunziato poco prima dal diacono Giovanni Straccamore, monsignor Spreafico ha rimarcato l’importanza di riconoscere Gesù nella vita di ogni giorno, anche nelle piccole cose: «Chiediamoci: ma non è che Gesù ci parla e io invece faccio orecchie da mercante? Perché Gesù non ci abbandona mai, vive con noi nella quotidianità, proprio come fece con i pescatori del brano del Vangelo: Gesù sa che sono delusi, perché hanno pescato tutta la notte e non hanno preso niente. Un po’ come tanti di noi: ci affrettiamo, lavoriamo, ma alla fine della giornata spesso diciamo: che ho fatto? E siamo insoddisfatti, tristi. Allora Gesù si avvicina e ci dice: senti un po’, perché non getti la rete dall’altra parte? Ci chiede insomma di cambiare  il nostro modo di pensare, di ragionare, il nostro modo di essere, di cambiare la nostra umanità! Gesù osa dirci di fare cose che prima non abbiamo fatto, perché ci vuole bene. Gesù ci dice come vivere, ci indica la via del dialogo, nel mondo, nelle comunità, proprio come ha fatto Papa Francesco. Gesù vuole essere nostro amico, camminare con noi, ci incontra nella vita. E allora, nei momenti difficili fermiamoci un po’, facciamo una preghiera, leggiamo una pagina del Vangelo. E tutti insieme prendiamoci cura degli altri, aiutiamoci, diamoci una mano, siamo attenti a chi ha bisogno, agli anziani, ai malati. Vogliamo essere donne e uomini che costruiscono un mondo fraterno. Siate sempre una comunità solidale, generosa», ha concluso il vescovo, tracciando questo augurio per la realtà di Tecchiena Castello, nel solco di quello che sta per l’appunto vivendo da trent’anni. Una cerimonia molto sentita, curata nei particolari (dai canti al servizio all’altare delle chierichette e alle intenzioni della preghiera dei fedeli) e al termine della quale – dopo un breve saluto di ringraziamento anche da parte di don Giorgio –  il vescovo, i sacerdoti presenti e i fedeli si sono portati fuori, nel giardino antistante la chiesa, per lo scoprimento e la benedizione di una bellissima croce in legno, eretta a ricordo di questo 30°. La serata si è conclusa in maniera fraterna e conviviale con una gustosa pasta e fagioli offerta ai presenti. La parrocchia ha inoltre voluto donare una targa commemorativa del trentennale al vescovo e ai sacerdoti presenti, al sindaco dell’epoca Patrizio Cittadini, che intervenne alla cerimonia di consacrazione; al progettista Giuseppe Morini, al titolare dell’impresa esecutrice, Roberto Maddaleni. Nella giornata di sabato altre targhe erano state invece consegnate al sindaco Maurizio Cianfrocca e al Coro Monti Ernici del Maestro Antonio D’Antò, dopo l’apprezzato concerto. Nei prossimi giorni altre targhe verranno consegnate a quanti non sono potuti intervenire per altri impegni pastorali: a don Antonio Castagnacci, a don Antonello Pacella, a don Domenico Pompili (ora vescovo di Verona, concelebrante in quel maggio del 1995 e che ha indirizzato una bella lettera alla comunità), al vescovo emerito Lorenzo Loppa, a padre Andrea dei Frati minori, alle suore del Preziosissimo Sangue, alla famiglia dello scomparso don Renzo. Nei locali sottostanti la chiesa è stata anche allestita una mostra con foto d’epoca, che si potrà visitare fino a domenica 11 maggio. di Igor Traboni

Messa in suffragio di Papa Francesco: l’omelia del vescovo Ambrogio

Sorelle e fratelli, ci uniamo stasera in questo luogo dedicato al papa San Sisto I durante i giornidella sua festa per pregare per papa Francesco. Negli Atti degli Apostoli, dopo la liberazione diPietro e Giovanni, la comunità di Gerusalemme rivolse al Signore la sua preghiera perché le fosseconcesso di “proclamare con tutta franchezza la sua parola, stendendo la sua mano affinché sicompissero guarigioni, segni e prodigi nel nome del suo santo servo Gesù”. Erano tempi diincertezza, di paura, di minacce a quei discepoli. Così è stato anche il tempo del pontificato diFrancesco, un tempo segnato da tanta violenza e morte, anche contro i cristiani. Eppure, proprionelle paure, nelle incertezze, nella fragilità della vita, il Signore si presenta a noi come ai suoidiscepoli con un saluto che sempre sorprende, visto il loro tradimento e abbandono nel momento deldolore: “Pace a voi”. Lo dice per ben tre volte.Sì, pace. È stata una delle parole che ha accompagnato il pontificato di Francesco. Non ha maismesso di invocare la pace, di aiutare l’umanità, là dove fosse possibile, a ritrovare la via della pace.I suoi numerosi incontri, con i grandi della terra, ma anche con i leader delle grandi religionimondiali, i suoi viaggi, hanno sempre voluto comunicare il desiderio della ricerca di pace efraternità. Infatti, la pace non è solo la fine della guerra, ma è la possibilità di vivere insieme inpienezza, in un’armonia che non esclude le differenze, frutto di un processo di dialogo e reciprocafiducia. Lo ha espresso in maniera profonda nell’enciclica Fratelli tutti, che insieme alla Laudato si’hanno collocato tutti noi e la Terra in un creato dove essere insieme come suoi abitatori, con tutte lecreature che lo popolano. “Nessuno si salva da solo”, aveva detto durante il Covid in una piazza sanPietro vuota, proprio per aiutarci a capire che, anche nella solitudine, siamo chiamati a essere partedi una vocazione alla fraternità universale. Papa Francesco era davvero un vescovo con il suopopolo e nel mondo, perché la Chiesa non è del mondo, ma vive nel mondo. Lo ha mostrato finoalla fine, quando nel giorno di Pasqua ha voluto dare la benedizione Urbi et orbi, alla città e almondo, scendendo poi per passare a salutare la gente. È stato il suo pontificato: un pastore con ilpopolo, in mezzo al popolo.Sorelle fratelli, ci ha parlato tante volte di “Chiesa in uscita” e ci ha donato l’Evangeli gaudium, ilprogramma del suo pontificato, che aveva affidato alla Chiesa in Italia all’Assemblea ecclesiale diFirenze, perché fosse oggetto di riflessione e di una “pastorale missionaria”, tesa a comunicare atutti la gioia del Vangelo. Lo dobbiamo ringraziare, perché il suo invito e il suo spirito ci hannoaiutato come diocesi in questi anni, soprattutto da Firenze in poi, a incontraci, ascoltarci, riflettere, apartire dalle sue parole e dalle Sacre Scritture, che hanno aiutato la Chiesa a comunicare la gioia delVangelo a tutti e non solo a una minoranza chiusa ed elitaria. Non è questa la Chiesa di Francesco, né quella di Cristo Signore, che è venuto perché il Vangelo fosse per tutti, non solo per chi cifrequenta abitualmente. “Io sono missione”, ci ha detto, affidando queste parole a ognuno di noi.Alcuni non si sono molto coinvolti in questo spirito, preferendo tracciare confini, percorrereitinerari personali solo per alcuni, come se il Vangelo che ci è stato affidato di nuovo dal Risortonon fosse per tutti. Ringrazio tutti coloro che con impegno generoso, passione evangelica, hannovissuto questo percorso sinodale Anche i recenti ministeri istituiti o sono parte di una Chiesamissionaria, non elitaria, di puri e giusti, oppure non daranno frutto.La Chiesa “in uscita” mette al centro le periferie, i poveri. Così l’amore per i poveri diventa parteessenziale della vita cristiana, che attinge allo sguardo misericordioso di Gesù su di loro. In unmondo in cui si respira la “globalizzazione dell’indifferenza” davanti al dolore degli altri, comedisse nella sua visita a Lesbo, ha istituito la “Giornata mondiale dei poveri”, la domenica primadella Festa di Cristo Re, per ricordarci ogni anno che nel Regno essi avranno il primo posto, comelo devono avere nelle nostre comunità. Dovreste ricordarlo ogni anno! E poi la “Domenica dellaParola”, l’altro primato, la roccia su cui fondare la nostra vita. Tutto si celebra la Domenica, il cuoreeucaristico della nostra vita, segnato dall’amore del Signore fatto dono di vita per noi. Sì, avere quiil cuore, avere un cuore, come ci ha indicato nella sua ultima enciclica Dilexit nos, Sull’amoreumano e divino del Cuore di Gesù. Sorelle e fratelli, Nel cuore di ogni donna e ogni uomo esiste ladomanda di conoscere Gesù, di incontrare il suo amore, come fu per Nicodemo, che lo cercò dinotte. C’è tanta notte nel mondo. Non è solo la notte delle guerre e della violenza, che benconosciamo anche in questa terra, ma è la notte della solitudine, della sofferenza, dellosmarrimento. È la notte dei tanti egoismi, dei tanti “io” pieni di arroganza e prepotenza, cheripetono “prima io”, dimentichi che siamo chiamati ad essere un “noi”, perché solo così si vivefelici e si rende vivibile il mondo. Ricordiamocelo anche per le nostre comunità e per il nostroessere servi, e non padroni sicuri di se stessi, che vivono secondo schemi e abitudini immutabili.Nicodemo capì che doveva cambiare se stesso, nascere di nuovo, e che ciò sarebbe stato possibileascoltando lo Spirito di Dio.Sorelle e fratelli, mentre affidiamo papa Francesco alla gioia della Liturgia del cielo, chiediamo alui di pregare per noi, lui che ci ha donato il Giubileo della speranza, perché in un mondo segnatodalla violenza, sappiamo guardare le ferite del corpo di Gesù nelle tante ferite dei poveri, degliscartati, degli ultimi, per dare speranza con il servizio amorevole, la solidarietà, l’amicizia.Guardando e toccando le ferite di Gesù, come fu chiesto all’apostolo Tommaso, nelle ferite deisofferenti della terra, saremo il popolo di Gesù, annunciando a tutti la vita del risorto e vivendo conamore reciproco la gioia del Vangelo. (Alatri, Concattedrale San Paolo, lunedì 28 aprile 2025)

Messa in suffragio di Papa Francesco

Lunedì 28 aprile, alle 18, nella concattedrale San Paolo di Alatri, il vescovo di Anagni-Alatri Ambrogio Spreafico presiederà la celebrazione eucaristica in suffragio di Papa Francesco. Sarà un momento di preghiera comunitario, insieme al Vescovo, per esprimere ancora una volta l’affetto filiale della Chiesa diocesana verso papa Francesco, dopo che nei giorni scorsi è stato già recitato un Rosario nella Cattedrale di Anagni. Altre Messe in suffragio sono state celebrate in varie chiese parrocchiali, così come altre comunità si sono ritrovate per recitare il Rosario o per veglie di preghiera

Alatri, celebrazione per San Sisto: l’omelia del vescovo Spreafico

Sorelle e fratelli, siamo riuniti oggi, come tradizione, per celebrare la festa di San Sisto I, papa e martire. Lofacciamo oggi mentre ancora siamo addolorati per la scomparsa di papa Francesco, per cuivorremmo pregare in questa celebrazione. Saluto la delegazione proveniente da Alife, che ognianno celebra con noi questa festa per il loro e nostro patrono. Una lunga storia unisce San Sisto,divenuto papa nel 115, a papa Francesco. È la storia della Chiesa, allora ancora indivisa, che giungefino a noi. Non siamo i primi e, per la grazia di Dio, non saremo gli ultimi, a vivere in questacomunione di amore e unità, che il vescovo di Roma, il papa, rappresenta per la nostra Chiesa. In unmondo che accetta le divisioni come se fossero normali, in cui gli ultimi e i poveri restano sempre ipiù esclusi e scartati, come ci ha detto molte volte papa Francesco, la festa di oggi ci richiamaanzitutto il senso e il valore dell’unità, da riscoprire e da vivere.Noi siamo qui come popolo di Dio, radunato dallo Spirito Santo attorno alla mensa della Parola diDio e del pane di vita eterna, l’Eucaristia. Siamo popolo, cari amici, comunità. Il mondo, pieno didonne e uomini soli, che camminano con lo sguardo distratto o a testa basta chini sul cellulare senzavedere nessuno, o di altri abbandonati a se stessi perché ritenuti inutili, come molti anziani, habisogno di noi, di cristiani che credono possibile vivere insieme, in pace, volendosi bene,aiutandosi, condividendo la propria vita con gli altri. Papa Francesco domenica ci ha mostrato conchiarezza il valore e il senso di essere popolo nel mondo. Con fatica e sforzo enorme ha volutodall’alto guardare la folla radunata a San Pietro e ha dato la benedizione urbi et orbi, per loro e peril mondo. Il suo sguardo è sempre stato largo: ha guardato il mondo, il dolore delle guerre, dellepersone migranti, dei poveri, degli sfruttati. Ha voluto guardare, come lo sguardo dell’apostoloPietro nel racconto degli Atti degli Apostoli, il dolore dei sofferenti e dei poveri. Ha pregato incontinuazione per la pace e il dialogo. Poi è sceso e ha voluto passare in mezzo alla gente. Era ilsuo modo di essere pastore “con l’odore del gregge”, come amava dire soprattutto a noi vescovi esacerdoti. Dovremmo ricordarcelo!Questa è la Chiesa, sorelle e fratelli. Queste sono e devono essere le nostre comunità. Non luoghichiusi nei loro piccoli mondi e nelle loro abitudini o tradizioni, ma case aperte, accoglienti, pronteall’ascolto, alla condivisone e alla solidarietà. “Chiesa in uscita”, ci ha ripetuto più volte a partire daquel testo, l’Evangelii gaudium, in cui è racchiuso il programma del suo pontificato e che ancoraoggi siamo chiamati a conoscere e a vivere: la gioia del vangelo che si comunica nell’incontro, nella condivisione, nell’amore. Non siamo qui per caso. Siamo qui perché sentiamo il bisogno di esserequi, di essere radunati dal Signore per essere suo popolo, donne e uomini che sentono il desiderio diessere con gli altri e per gli altri. Certo, la vita è spesso dura, sembra lasciare poco tempo per glialtri. Ma non vogliamo farci rubare la gioia dell’incontro, della preghiera comune, dellacondivisione, della solidarietà. L’Eucaristia della domenica è proprio questo: ritrovare ciò chesiamo, la vera immagine della nostra umanità. Il mondo ci abitua alla solitudine, a pensare a noistessi. Ci illude che questo porti felicità. Ma un io senza gli altri non è mai felicità. Gli altriesistono, quindi conviene che li incontri, te li fai amici. Il Signore ci raduna per farci gustare lagioia di essere tutti, nella nostra differenza, parte di un popolo il cui unico centro non sei tu, ma sololui, il nostro amico Gesù, e con lui noi possiamo essere fratelli e sorelle, amici.Oggi in particolare, per farcelo capire e gustare, ci offre l’esempio di un uomo come tanti, che haaccolto la chiamata a essere pastore, cioè a prendersi cura degli altri. Così fu san Sisto. Sorelle efratelli, il mondo ha bisogno di donne e uomini che si prendano cura degli altri, fermando la fretta dichi ha sempre da fare, ovviamente soprattutto per sé, per creare unità e amicizia. Quei due discepoli,di cui ci hanno parlato gli Atti degli Apostoli, se ne tornavano a casa loro col volto triste. Capitaanche a noi. La tristezza avvolge a volte la vita nel buio di questo tempo. Ma a un certo punto dellastrada qualcuno si avvicina e comincia a parlare con quei due e li aiuta a capire. Non lo riconobberosubito. Così è Gesù, cari amici. Si avvicina a noi, cammina con noi, soprattutto nei momentidifficili. Ricordiamolo sempre. Ci parla e ascolta le nostre parole piene di dubbi, domande. Gesùnon ha bisogno di persone sicure di tutto, che non hanno incertezze, fragilità, paure. Per questotende la mano per aiutarci, farci vedere la luce, quella della Pasqua, della vita. Certo, i due discepolilo riconobbero quando spezzò loro il pane, il pane dell’Eucaristia. Capite perché è bello essere conlui almeno nella Santa Messa della Domenica, dove lo riconosciamo meglio, gustiamo la luce che cifa vivere, ci nutriamo della sua Parola e del pane di vita eterna. Ogni domenica rinasce la comunità.Oggi il Signore affida un impegno a ognuno di noi: essere anche noi quelle persone che siavvicinano agli altri con lui, tendendo la mano con lui, per liberare dalla tristezza, aiutare gli altri aincontrarsi, dialogare, a essere amici, a vivere. Accogliamo questo invito per trovare la felicità checerchiamo e rendere il mondo pacifico e fraterno, un posto per tutti, a partire dagli ultimi e daipoveri.

Messa Crismale: l’omelia del vescovo Ambrogio

Cari sacerdoti e diaconi, cari fratelli e sorelle, ci introduciamo con questa celebrazione al Triduo Santo, perché gli oli che saranno benedetti siano fonte di grazia e di unità nel popolo santo di Dio per tutti coloro che li riceveranno. Mai come in questa celebrazione sentiamo la forza e il bisogno dell’unità attorno al Signore Gesù, che si avvia verso la Passione, morte e resurrezione, cuore della nostra vita di fede. Il mondo ci abitua a ben altro: divisioni, arroganza, protagonismi, tribalismi, non fanno che umiliare il sogno di Dio dell’unità di tutto il genere umano, fino a rendere difficile una convivenza fraterna e solidale, che sembra davvero impossibile. Ma il nostro essere qui, sorelle e fratelli, mostra che questo è possibile, perché Dio lo rende possibile con la sua grazia, con un amore che non smette mai di parlarci e di aiutarci a vivere. Il Signore conosce il nostro peccato, le nostre fragilità, le nostre incertezze e paure. Eppure, continua a convocarci perché ha fiducia in noi.    Per questo ci raduna attorno alla Parola di vita eterna, che si fa cibo per noi. Per questo ha consacrato diaconi, presbiteri e vescovi, perché possano essere portatori di un “lieto annuncio”, quel vangelo che si prende cura dei poveri, che soccorre e salva, che proclama la grazia di Dio per l’umanità. Noi siamo indegnamente rivestiti di questa grazia che, attraverso la proclamazione della Parola e i sacramenti della Chiesa, può scendere in abbondanza nella vita delle donne e degli uomini e fecondarla, farla germogliare di frutti di bene. Forse oggi è facile anche per noi perderci d’animo, cedere alle scorciatoie e in fondo accontentarci di ciò che si riesce a fare. Il pessimismo non risparmia il nostro modo di vivere e di guidare le nostre comunità, che comunque sono sempre ricche di donne e uomini che condividono con noi il desiderio di comunicare agli altri, a partire dai piccoli e dai giovani, la bellezza della vita cristiana. Come già ho detto più volte, nel cammino sinodale, ma anche prima che iniziasse per tutta la Chiesa, tanti si sono impegnati. Siamo grati a tutti loro. Non ci nascondiamo le fatiche. Il mondo cambia velocemente e l’abitudine all’isolamento, che ha sempre tante cause personali e collettive, rende difficile incontrarsi, dialogare, ascoltarsi e parlarsi.    La vita cristiana, sorelle e fratelli, è vita di popolo, sempre. Soprattutto nei momenti difficili, in questo tempo segnato da tante sofferenze, delusioni, solitudini, siamo chiamati a riscoprire la gioia e la forza di essere popolo, comunità di donne e uomini, di cui i presbiteri e i diaconi sono al servizio per il ministero ricevuto dal Signore Gesù nella Chiesa. Siamo coloro che hanno ricevuto di più, quindi siamo chiamati ad essere generosi nel dare, amabili nelle relazioni, inclusivi, forti della grazia di Dio, che dobbiamo seminare largamente perché largamente abbiamo ricevuto. L’autoritarismo e l’individualismo non aiutano l’autorevolezza di chi come un padre ascolta e parla con amore ai suoi figli. Così è il Signore Iddio con noi. Così dovremmo essere noi con tutti coloro che il Signore ci ha affidato e che abitano la terra in cui viviamo, anche se non frequentano le nostre comunità abitualmente.       Il profeta, le cui parole abbiamo ascoltato, si trovava davanti una città e una terra impoverite e rassegnate. La Parola di Dio lo aiutò a scoprire la chiamata ad essere profeta per tutta quella gente che aspettava parole di speranza, un tempo di grazia che rispondesse alla delusione e al pessimismo e indicasse una via per il futuro. Oggi il Signore ci chiama ad essere profeti, ad accogliere la sua parola rileggendola nel tempo in cui siamo, per aiutare a trovare la strada del bene, a ricostruire una comunità di popolo, dove tutti possano trovare accoglienza e condivisione. La profezia è visione, che diventa pensiero e aiuta ad assumersi la speranza di un nuovo inizio. Sorelle e fratelli, non basta ripetere ciò che abbiamo ricevuto dalla storia solo come una consuetudine, anche se tutto è prezioso e nulla va smarrito. Il Signore soffia nella polvere che siamo il suo alito di vita, perché ci assumiamo la responsabilità di rinnovare il mondo cominciando dal cambiamento di noi stessi e delle nostre comunità. Il mondo ha bisogno di profeti che facciano germogliare il deserto di bene, di amore, di pace!     Allora, cari amici, ricostruiamo un tessuto di fraternità nel trama sfilacciata della vita, dove sembrano dominare tanti io, poco inclini a formare un noi. Questa terra, che ci vede ministri e servi assieme a tanta gente, attende parole di speranza. Le attendono i poveri e gli esclusi, come i giovani disorientati e gli anziani sempre più soli. Le aspettano i migranti e le famiglie in difficoltà. Il Signore riempia il nostro animo della sua grazia. Il suo amore faccia traboccare i nostri cuori di frutti buoni, che possano come un seme irrigare e fecondare i cuori di tutti, perché il mondo sia meno ingiusto, più pacifico e umano. Ci affidiamo al Signore, camminando con lui in questi giorni di Passione, perché Lui, che ha portato il peccato del mondo, ci faccia partecipi della vita che il Padre gli ha donato. E non dimentichiamo mai di pregare per chi soffre per la guerra e la violenza, come l’Ucraina, la Terra Santa, il Sudan, e molti altri luoghi. Signore: fa che il mondo finalmente cerchi e percorra la via della pace e della fraternità! E rende tutti noi responsabili di costruire questa via con la preghiera e la vita di ogni giorno. Abbazia di Casamari, mercoledì 16 aprile 2025

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