Apertura del Giubileo in diocesi: l’omelia del vescovo Ambrogio

Sorelle e fratelli,siamo saliti verso la cattedrale come pellegrini, come gli uomini e le donne che salivano al tempio di Gerusalemme per incontrarsi con il Signore. Il Vangelo ci racconta che i genitori di Gesù usavano anche loro salire a Gerusalemme per la Pasqua. Salire verso il Signore, uscendo da se stessi. Salire insieme, come popolo, comunità. Ecco il primo grande dono del Giubileo: riscoprire e gustare la gioia di uscire da se stessi per essere insieme in un mondo diviso, dove la solitudine frantuma le relazioni. Insieme rinnoviamo la nostra fede nella forza di amore del nostro Dio, cifacciamo guidare da Gesù che nel Natale ci ha dato la speranza di un nuovo inizio. Pellegrini di speranza è ciò che deve caratterizzare questo anno che iniziamo con gioia.Giunti davanti al Signore riconosciamo le nostre fragilità e il nostro peccato. Infatti, il giubileo è ilgrande tempo del perdono di Dio e della remissione dei debiti: ognuno secondo la Bibbia tornava inpossesso di ciò che aveva perduto. Questo è anche il significato più vero dell’indulgenza plenaria.Di solito ci riteniamo creditori nei confronti degli altri. Crediamo che c’è sempre qualcuno che cideve qualcosa: attenzione, considerazione, affetto, e molto altro. Oggi scopriamo un’altra parte dinoi stessi: essere in debito con Dio, ma anche con gli altri. Riflettiamo allora: cosa avremmo potutofare per qualcuno e non lo abbiamo fatto? Oggi il Signore ci ricorda il debito verso di lui non perfarci sentire in colpa, ma perché possiamo gioire del suo perdono e così pentirci di tutto quello chenon abbiamo fatto o abbiamo fatto di male, per rendere più bella la nostra vita, essere capaci comelui di voler bene, perdonare, restituire il bene ricevuto, amare con gratuità senza sempre aspettarciqualcosa in cambio. Ecco la vera libertà: il perdono ci rende liberi di amare e il pentimento crea lacoscienza di essere tutti in debito con qualcuno, perché ci aiuta a riconoscere il male fatto e il benenon fatto. La grazia del Giubileo è perciò libertà e felicità. La porta che entrando abbiamoattraversato è la porta del perdono e della speranza.Il Signore ci attende. Gesù, come nel tempio con i saggi di Israele, vuole dialogare con noi. Ciascolta e parla. Egli mostra la sua saggezza non per sottometterci al suo volere, come i tiranni diquesto mondo, ma per aiutarci a vivere felici, perché chi lo accoglie, lo ascolta, accetta di farsiaiutare dalla sua parola, può crescere come lui in sapienza, età e grazia. Gesù stesso risponde aMaria e Giuseppe che deve occuparsi delle cose del Padre suo. Ecco l’impegno di questo anno digrazia: fare spazio nel cuore a Dio nostro Padre, per essere come la famiglia di Nazareth. Ma nonsiamo soli. Gesù cammina con noi, prega con noi, è in mezzo a noi, alle nostre comunità. Forsecome Maria e Giuseppe anche noi a volte lo perdiamo perché presi da noi stessi, dalla fretta dellenostre faccende. Cerchiamolo e si farà trovare, perché è sempre lì, alla porta del nostro cuore. Lapreghiera personale e comune, la lettura della Bibbia, la Santa Messa della domenica, gli incontrinelle nostre comunità e associazioni, la condivisione della nostra vita con tutti, soprattutto con i deboli e i poveri, saranno il luogo dove possiamo sempre trovarlo. Non avere paura, non pensareche non puoi fare nulla per cambiare il volto violento del mondo, in cui sembrano vincere l’odio ela forza che sottomette e distrugge. E’ il giubileo della speranza. C’è speranza, perché il Signorevuole sperare con te in un tempo di pace e fraternità, di amicizia e solidarietà.Papa Bonifacio VIII, cittadino di questa nostra bella città, diede inizio il 22 febbraio 1300 alprimo Giubileo cristiano perché un concorso di popolo lo chiedeva, chiedeva l’indulgenza plenaria,chiedeva perdono per i peccati, sentiva il bisogno della misericordia di Dio in un secolo difficile. Sì,sorelle e fratelli, abbiamo bisogno anche noi di quella misericordia e di quell’amore paziente delSignore che può cambiare la vita, cominciando dal cambiamento di noi stessi. Questo è il tempo delperdono, del pentimento, della speranza che non delude. Così ha detto papa Francesco all’aperturadel Giubileo nella Basilica di San Pietro: “Sorelle, fratelli, questo è il Giubileo, questo è il tempodella speranza! Esso ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama alrinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventidavvero un tempo giubilare… A noi, tutti, il dono e l’impegno di portare speranza là dove è stataperduta: dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano ilcuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nellasofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde deipoveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza”.Sorelle e fratelli, facciamo nostra le parole di Francesco e la gioia di questo momento insieme,perché il Giubileo liberi le energie di bene che sono in noi e in tutti, perché ogni giorno il male siavinto dal bene, l’odio dal perdono, l’inimicizia dall’amore, l’esclusione dalla condivisione.

Messa del giorno di Natale: l’omelia del vescovo Ambrogio

“Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie. Sono le parole che nel profeta Isaia, pronunciate in un tempo buio a un popolo in esilio, dopo una guerra che aveva distrutto Gerusalemme e reso povera quella terra. Sì, la violenza, la guerra, le tante ingiustizie rendono buia lavita. Eppure noi già da più di un mese camminiamo nelle nostre città circondati da tante luci. Potremmo dire: ma dov’è tutto questo buio? Cari amici, il buio è ovunque, soprattutto nei cuori e nelle menti, ma ci si illude di essere nella luce; così si preferisce non pensarci, perché il buio ha sempre messo paura. Chi di noi non ha avuto paura del buio soprattutto da piccolo? Il buio circonda i luoghi di dolore e di solitudine: gli istituti abitati da anziani spesso soli, le campagne dei lavoratori sfruttati, i campi profughi dove migliaia di persone vivono di stenti, le periferie delle grandi città, le strade e le stazioni dei Paesi ricchi abitate da centinaia di senza fissa dimora, le discariche di grandi città dell’Africa e dell’Asia percorse da povera gente che si arrangia per sopravvivere, i Paesi martoriati dalla guerra, dalla violenza del narcotraffico, da gruppi armati assoldati da ricchi padroni o depredati dallo sfruttamento delle risorse. Chiediamoci: dove nascerebbe oggi Gesù? Forse non toccherebbe a uno di questi luoghi, come gli toccò la mangiatoia di Betlemme?E poi: dove sono i piedi di quel messaggero che annuncia la pace in un mondo diguerre? E quel è la sua buona notizia? Vale anche per noi? Si, proprio oggi riceviamola buona notizia, che può essere un nuovo inizio per noi e per il mondo: “Il Verbo – laParola di Dio – si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi; noi abbiamocontemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pienodi grazia e di verità”. Davvero una buona notizia, una speranza per l’umanità: quellaParola antica di Dio che, come abbiamo ascoltato nella Lettera agli Ebrei, “moltevolte e in molti modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti,ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio”. Gesù parla a noida quella mangiatoria di Betlemme. Ci parla come povero senza casa, comeviandante che non ha trovato un luogo ospitale, come bambino bisognoso di cura eamore. In lui vediamo la sofferenza, il dolore, la solitudine di tanti uomini e donne,esclusi da un mondo ingiusto e violento. Eppure, ci furono alcuni che accorsero dalui, attorno a Maria e Giuseppe: dei pastori e dei Magi d’oriente. Gente diversa,poveri e ricchi. Per tutti è possibile andare da lui. Ma si deve ascoltare la vocedell’angelo, il messaggero di Dio, per poter uscire dal proprio mondo di sempre, dalleproprie faccende e da quell’abitudine a non avere mai tempo se non per se stessi,poco tempo per ascoltare gli altri e per non farsi guidare solo dal proprio istinto odalle emozioni. Da quella mangiatoia viene la luce, viene la speranza di un Dio bambino in mezzo a noi, che illumina il buio e ti fa camminare con lui verso gli altri per essere con loro.Vai allora! Come i pastori lascia il tuo gregge, il tuo possesso, quello che sembradarti il necessario e la felicità. Lasciati guidare dalla stella, la luce di Dio, che ti portaverso la mangiatoria di Gesù, venuto a condividere la nostra vita, il dolore, la fatica,le paure, per darti la gioia di essere davanti a lui, per seguirlo, ascoltarlo, fare partedella sua famiglia senza confini. Con lui comincerai a incontrare gli altri, il lorodolore e la loro speranza, la loro tristezza e le loro attese, la loro debolezza e il lorobisogno. Li ascolterai con lui, e con lui cominceranno a far parte di una famiglialarga, la famiglia di Dio, il popolo delle nostre comunità, dove ci sarà posto per tutti,a cominciare dai poveri e dagli esclusi. E noi con loro saremo segno di quellafraternità che rende amici, felici di essere insieme, condividendo la nostra vita nellasolidarietà e nell’amore reciproco.Oggi, dopo il tempo di avvento, abbiamo di nuovo cantato il Gloria, il canto di lodedell’esercito celeste, un esercito la cui forza non è in armi che uccidono, ma nella vitache viene da Dio e che si esprime nel cantare la sua lode e non la nostra, come diconsueto in un mondo di donne e uomini abituati a lodare se stessi, a farsi lodare e adispiacersi se qualcuno non lo fa. Sono belle e piene di speranza le parole di questoinno che cantiamo così spesso: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra paceagli uomini amati dal Signore”. Pensate: la gloria di Dio è la pace sulla terra, quandonoi siamo capaci di costruirla e di aiutare gli altri a viverla. Cantiamo allora la suagloria, che di solito viene cantata per chi vince una guerra. Ecco la speranza delNatale, sorelle e fratelli: viviamo in pace, ovunque siamo costruiamo la pace conGesù, così renderemo gloria a Dio riconoscendolo “principe della pace”, amante dellavita, nostro unico Signore e Maestro. Grazie, Signore, perché torni in mezzo a noi perrenderci famiglia di Dio, sorelle e fratelli perché figli del Padre tuo, luce di vita e disperanza per l’umanità.Il Giubileo, a cui papa Francesco ha dato inizio ieri aprendo la porta Santa di SanPietro e che noi apriremo nella nostra diocesi domenica in questa Cattedrale, siadavvero la buona notizia che nella nascita di Gesù ci accompagnerà in tuttoquest’anno, donandoci la felicità di essere donne e uomini di pace, solidali, amici,fratelli e sorelle, pellegrini di speranza. Come ha detto Francesco: “A noi, tutti, ildono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta: dove la vita è ferita,nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nellastanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto,nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla

Fiuggi: pranzo di Natale della Comunità di Sant’Egidio con gli anziani della “Santa Elisabetta”

Nel solco di un percorso di amicizia e vicinanza che va avanti da oltre un anno, la Comunità di Sant’Egidio di Fiuggi giovedì 19 dicembre si è stretta ancora una volta attorno agli ospiti della Rsa “Sant’Elisabetta” della città termale per il pranzo di Natale, presente il vescovo di Anagni-Alatri, Ambrogio Spreafico. Una volta a settimana, infatti, i volontari della Comunità di Sant’Egidio vanno a trovare gli anziani della Rsa di Fiuggi, non come mera opera di volontariato, beneficenza e assistenza, ma come una famiglia, riunita attorno al Vangelo, che va a trovare degli amici. E così è stato anche per il pranzo di Natale, cui hanno partecipato circa 80 persone, ad iniziare per l’appunto dagli anziani ricoverati nella struttura, la direttrice Maria Giacomini e la dirigenza tutta della Rsa, mentre i ragazzi dell’Istituto alberghiero “Buonarroti” di Fiuggi hanno preparato e servito i pasti. Il vescovo Ambrogio Spreafico è stato accolto con enorme affetto e simpatia dagli anziani ospiti della Residenza sanitaria assistenziale, che hanno peraltro ricordato con piacere il momento vissuto già lo scorso anno, quando Spreafico ha trascorso con loro e con i volontari della Comunità di Sant’Egidio il giorno di Natale. Il vescovo ha salutato tutti gli anziani e ha chiesto loro di pregare soprattutto per la pace, in questo difficile momento in cui tanti conflitti insanguinano il mondo, centinaia di guerre di cui spesso neppure conosciamo l’esistenza perché i media non ne parlano; a tutti ha chiesto di vivere nella quotidianità con uno spirito di pace, con uno sguardo benevolo gli uni verso gli altri, capace così di cambiare un mondo – anche il mondo attorno a noi – di troppe violenze. Dicevamo del solco in cui si inserisce il pranzo di Natale con i poveri, una tradizione della Comunità di Sant’Egidio da quando, nel 1982, un piccolo gruppo di persone povere fu accolto attorno alla tavola della festa nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, a Roma. Erano circa 20 invitati: c’erano anziani del quartiere che in quel giorno sarebbero rimasti soli, e alcune persone senza fissa dimora conosciute nelle strade di Roma. Da allora la tavola si è allargata di anno in anno e da Trastevere ha raggiunto tante parti del mondo, dovunque la Comunità è presente. Un Natale straordinario che ogni anno coinvolge circa 250mila persone in più di 70 Paesi: gente che vive nella strada, negli istituti, nelle carceri o nelle Rsa, come quella di Fiuggi . Igor Traboni

Avvento: la meditazione del vescovo Ambrogio

ELISABETTA E MARIA: DONNE DELL’ASCOLTO PER UN NUOVO INIZIO Dio parla e rende profeti di una storia di amore   Quando si parla di inizio siamo abituati a pensare che ciò indica un giudizio sul passato, se non il suo superamento e la sua soppressione. Questa idea ha fatto spesso concludere che quanto Dio ha iniziato nella vicenda di Gesù di Nazareth significasse l’abolizione, o persino la “sostituzione”, di quanto Dio aveva operato con il suo popolo Israele. In realtà già abbiamo visto che sia con Abramo che con Mosè e Samuele siamo di fronte a nuovi inizi della storia di Dio con il suo popolo. Gli esempi in tal senso si potrebbero moltiplicare. Questa costatazione non ci ha impedito di vedere come l’opera di Dio nella storia con l’umanità sia costellata di nuovi inizi, attraverso cui il Signore opera nella storia e ne permette il rinnovamento e la prosecuzione.         Ciò avviene anche con Elisabetta e Maria. Le due donne sono presentate dall’evangelista Luca come la prosecuzione e insieme il rinnovamento della storia di Dio con il suo popolo, un vero nuovo inizio, che non cancella il passato, ma lo conduce in un tempo nuovo. Elisabetta e Zaccaria costituiscono il legame con la storia di Dio con Israele e Maria introduce il nuovo, ma ambedue in stretta connessione con la manifestazione di Dio, caratterizzata dalla presenza continua dell’angelo, il messaggero di Dio secondo la tradizione della fede di Israele.    Le due vicende di Zaccaria – Elisabetta e di Maria sono intrecciate anche dal punto di vista narrativo. Come ha mostrato… le narrazioni sono elaborate in corrispondenza: in 1,5-25 troviamo l’annuncio della nascita di Giovanni Battista, a cui segue l’annuncio della nascita di Gesù, mentre in 1-57-66 si racconta la nascita di Giovanni Battista e di seguito quella di Gesù (2,1-7). Al centro – ma torneremo su questo in seguito – si colloca la visita di Maria a Elisabetta, quasi una narrazione superflua rispetto alla centralità degli altri racconti.    In ambedue le donne si esaltano l’ascolto e la fiducia in Dio. Rileggendole alla luce di racconti di vocazione profetica, sembra di essere di fronte a una vera e propria chiamata che rende le due partecipi dello spirito della profezia (cf. 1Sam 3; Is 6,1-8; Ger 1,4-10). Nel racconto della nascita di Giovanni Battista il protagonista appare il padre Zaccaria, sacerdote del tempio. Tuttavia, Zaccaria non accoglie con fiducia l’annuncio dell’angelo. Per questo, nonostante il Signore abbia accolto la sua preghiera (1,13), diviene muto (1,20) per non avere ascoltato e quindi creduto. Quando la sua lingua si scioglie e comincia a parlare di nuovo? Proprio qui entra in gioco come protagonista Elisabetta, che interviene in un momento cruciale, quello della circoncisione, attraverso cui il nuovo nato entra a far parte dell’alleanza di Dio con il suo popolo. Elisabetta si distacca dalla tradizione familiare (1,60) nella scelta del nome. È quindi lei che permette a Zaccaria di aderire alla sua richiesta, che acconsente alla scelta della moglie. Da quel momento egli comincia a parlare benedicendo Dio. Un duplice strappo alle consuetudini: il nome viene scelto dalla madre prima che dal padre, mentre non rispetta la tradizione familiare. Si tratta di qualcosa che implica una novità. È quindi Elisabetta che indica nell’attribuzione del nome il senso della vita di quel figlio, facendo comprendere che siamo in un momento di passaggio, come poi cantato dal padre nel suo canto di lode.    I due racconti, di Elisabetta e Maria, continuano a intrecciarsi in modo complementare. Di nuovo entra in scena l’angelo Gabriele, che si era qualificato con il nome prima di dire a Zaccaria la sua incredulità. Il saluto “turba” Maria. In lei nasce una domanda che nel prosieguo della narrazione diventa dialogo con l’angelo. Dio dialoga con Maria attraverso il suo messaggero. La sua parola viene spiegata, non è un enigma. Tuttavia, va ascoltata perché possa realizzarsi: “Ecco, sono la serva del Signore. Avvenga per me secondo la tua parola”.     In ambedue i racconti, la parola di Dio si realizza perché due donne l’hanno resa possibile, ascoltandola e accogliendola come la novità della loro vita e di quella del loro popolo. Infatti, non si tratta di una rivelazione privata, che tocca solo la vita delle due, ma di una parola che riguarda il popolo, la sua storia, il suo passato e il suo futuro. Le parole del Magnificat terminano con un chiaro riferimento a Israele e alla storia di Dio con il suo popolo: “Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre”. Così sarà anche per canto di Zaccaria che all’inizio dice: “Benedetto il Signore Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo. Ha suscitato per noi una salvezza potente nella casa di Davide suo servo, come aveva promesso per bocca dei suoi santi profeti di un tempo”. Sembra quasi che il Magnificat concluda ciò che poi Zaccaria riprende all’inizio del suo cantico di lode. Insomma, mi sembra chiara la continuità tra i due eventi, che suscitano parole di lode per quanto il Signore ha operato per il suo popolo, e non solo per due donne.    Dio agisce nella storia dell’umanità perché ci sono donne e uomini che accolgono la sua Parola e rendono possibile quindi la sua realizzazione. La parola di Dio non si impone, non è neppure solo frutto dell’intervento dell’Altissimo. Essa risponde a un dialogo tra Dio e l’umanità, tra Dio e uomini e donne che si fidano di quanto ascoltano e se ne fanno carico perché possa operare ciò per cui Dio ha mandato la sua Parola. Ascolto e incontro Nella narrazione delle due donne si inserisce il racconto della visita di Maria a Elisabetta. Di per sé sarebbe stato superfluo in ordine a quanto l’evangelista stava raccontando. L’essenziale era già detto. Tuttavia, proprio la scelta di Maria di andare da Elisabetta ci fa entrare nell’intimità di una relazione che non è solo parentale, ma che rende

Con il vescovo Ambrogio alle radici del Giubileo

Il vescovo Ambrogio Spreafico, insigne biblista, terrà una conferenza in preparazione al Giubileo per conoscerne le radici bibliche ed entrare meglio nel significato di questo grande momento. L’appuntamento, organizzato dalle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, è per mercoledì 11 dicembre, alle ore 18, presso l’auditorium diocesano di Frosinone (accanto alla chiesa di San Paolo, quartiere Cavoni).

Il G7 Esteri una “vetrina” anche per i “tesori” e le iniziative della diocesi

Sono stati due giorni, quelli di lunedì 25 e martedì 26 novembre, quanto mai intensi ad Anagni e Fiuggi, città che hanno ospitato il G7 Esteri ed entrambe comprese nel territorio della diocesi di Anagni-Alatri. Un appuntamento di spessore per l’appunto internazionale, corroborato peraltro dalla bella notizia arrivata nelle ultime ore del vertice di una tregua per il Libano, che ha anche offerto una “vetrina” per l’intero comprensorio del Frusinate, compresi i “tesori” della diocesi di Anagni-Alatri. I ministri degli Esteri del G7 e le rappresentanze diplomatiche degli altri Paesi pure invitati al vertice, hanno così potuto ammirare, ad esempio, la cripta di San Magno della Cattedrale di Anagni. Accolti in Cattedrale dal vescovo Ambrogio Spreafico e dalla curatrice del Museo, Claudia Coladarci, con il ministro degli Esteri Antonio Tajani che aveva già fatto gli onori di casa nel riceverli nella città di Anagni, gli ospiti sono così scesi nella cripta, rimanendo letteralmente affascinati dalla bellezza di quella che non a caso è stata definita “la Cappella Sistina del Medioevo”. Accompagnati dalla narrazione della guida di Rosanna Rossi, i ministri si sono così immersi in secoli di storia, arte e fede e praticamente tutti si sono detti lieti di scoprire qualcosa che non conoscevano, ripromettendosi non solo di tornare – fuori da impegni istituzionali – ma di far conoscere nei rispettivi Paesi la ricchezza dello scrigno anagnino. Come curiosità, va segnalato che in particolare la rappresentanza inglese è rimasta colpita dal legame tra Anagni e Thomas Becket, una volta che la visita si è estesa anche all’Oratorio della Cattedrale dedicato per l’appunto all’arcivescovo britannico, ucciso da quattro cavalieri inglesi nel 1170, a causa dei dissidi con il re Enrico II, canonizzato nella chiesa di Santa Lucia a Segni nel 1173, da papa Alessandro III. La presenza della diocesi di Anagni-Alatri si è palesata anche in un altro momento importante del G7 Esteri, ovvero nella cena di gala offerta dallo Stato italiano agli ospiti provenienti praticamente da tutto il mondo (oltre agli Stati che fanno parte del G7, erano infatti rappresentanti anche Paesi dell’area araba e di quella dell’indo-pacifico). Presso l’Istituto Alberghiero di Fiuggi, che ha ospitato per l’appunto la cena, è stata apprezzata anche la presenza dei volontari della Caritas diocesana e dei meravigliosi ragazzi, affetti da varie patologie e sopportati in un percorso di reinserimento e integrazione, della cooperativa sociale “Ia Ia oh” di Fiuggi. Anche in questo caso gli ospiti sono stati accolti dal vescovo Spreafico e dal ministro Tajani, insieme a Piergiorgio Ballini, fondatore della cooperativa nata da un gruppo di amici già dentro le esperienze della Caritas e dell’Unitalsi. di Igor Traboni (nella foto, un momento della visita alla cripta di San Magno)

I riti della Settimana Santa di Alatri nella narrazione di Emma Ritarossi

I riti della Settimana Santa, ed in particolare quello del venerdì con la sua processione, caratterizzano da decenni la città di Alatri, anche ben oltre i confini provinciali, tra fede e tradizione. E ora una giovanissima studiosa di Alatri, Emma Ritarossi, racconta la settimana pasquale della sua città rintracciando, con gli strumenti dell’antropologia e dell’etnologia, il filo nascosto dei suoi riti. Emma Ritarossi dimostra di ben conoscere l’esercizio del vedere, e così mette a fuoco da anni le processioni, i colori, i costumi, i canti della Settimana Santa di Alatri interrogandosi sul loro senso compiuto, sul significato che, tutti insieme, vogliono rivelare.Il suo libro è il risultato di questa pratica, uno studio che unisce ricerca scientifica con le testimonianze dei protagonisti dei vari momenti “rituali”, che confessano ciò che di essi hanno ereditato dalla tradizione e ciò che della tradizione hanno rinnovato perché potesse continuare la sua fascinazione. “Una settimana particolare”, questo il titolo del libro, è dunque una narrazione in bilico tra saggio e cronaca: una prova riuscita che diventa un’esortazione alla gente di Alatri (e a tutta la gente), perché non smarrisca il senso più profondo delle sue memorie. Il libro verrà presentato venerdì 6 dicembre, alle 17.30, nella sala di rappresentanza dell’AssociazioneGottifredo, nel centro storico di Alatri. Con l’Autrice saranno presenti: Gioacchino Giammaria, presidente dell’Istituto di storia del Lazio meridionale che ha edito la pubblicazione; Antonello Ricci, docente di antropologia culturale all’università La Sapienza di Roma; Katia Ballacchino, docente di antropologia dei patrimoni culturali all’università di Salerno.Sempre in tema di attività della Gottifredo e delle sue pubblicazioni, va detto che da alcuni giorni è disponibile il libro “Il San Sisto del Cavalier d’Arpino. L’affresco restaurato”, con la storia del dipinto a lungo conservato nella Concattedrale di Alatri, il ruolo del vescovo dell’epoca Egnazio Danti, che fu anche matematico, astronomo, cosmografo; l’attribuzione, il contesto, le fasi del restauro. Nel volume, saggi di Mario Ritarossi, Francesco Petrucci, Maria Teresa Molinari, con la cura redazione di Eugenia Salvadori; prefazione di Ambrogio Spreafico, vescovo di Anagni-Alatri, che parla del dipinto come di «un capolavoro che avevamo davanti agli occhi da secoli ma senza dargli la giusta importanza», e presentazione del presidente dell’associazione e delle edizioni Gottifredo, Tarcisio Tarquini.

Raduno delle corali diocesane. Spreafico: «Il canto coinvolga l’assemblea»

Domenica 17 novembre nella chiesa di Santa Maria Maggiore ad Alatri si è tenuto il 9° raduno diocesano delle corali parrocchiali. A fare gli onori di casa ed esibendosi per primo è stato proprio il coro della chiesa di Santa Maria Maggiore di Alatri, diretto da Antonio D’Alatri e da suo figlio Francesco. Si sono poi succeduti gli altri sei cori partecipanti. Don Bruno Durante, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano che ha organizzato il tutto, nella riflessione iniziale ha sottolineato che cantare è un vero e proprio ministero liturgico che si innesta nel dinamismo delle celebrazioni, a servizio dell’assemblea liturgica. Non si tratta dunque di essere professionisti o esecutori perfetti del canto, ma coristi delle celebrazioni liturgiche, chiamati a compiere anche un percorso di crescita spirituale. Le corali hanno eseguito alcuni canti del tempo di Natale davanti ad una platea numerosa e non è mancata la presenza del vescovo Ambrogio Spreafico. Proprio dal vescovo che arrivato l’invito ai cori a a cantare melodie semplici che coinvolgano e facciano cantare tutta l’assemblea. Spreafico ha poi fatto riferimento anche all’inizio dell’anno liturgico e ha quindi auspicato un nuovo inizio per questa nostra umanità, segnata dalla guerra e dalla povertà; un nuovo inizio anche per i cantori che sono chiamati a suscitare nell’assemblea una sempre maggiore partecipazione alle celebrazioni, facendo vivere, proprio attraverso il canto, a tutti  i fedeli una liturgia che spinga alla speranza e alla novità di vita per riprendere con vigore la vita quotidiana una volta usciti dall’aula liturgica. Da monsignor Spreafico è poi arrivato l’ulteriore invito alle corali anche a tener conto di aver cura della liturgia e del curare il tutto al meglio, affinché l’assemblea canti nelle celebrazioni. È stato veramente un incontro tra persone che attraverso il canto esprimono la loro fede, gioia e serietà hanno dato voce alla bellezza della preghiera, perché la musica unita al canto è un vero strumento di evangelizzazione che tocca il cuore delle persone, e permette una celebrazione dei sacramenti che fa percepire la bellezza di Cristo, visto che anche attraverso il canto si esprime la lode a Dio. Anche papa Francesco ha più volte sottolineato  l’importanza degli animatori dell’assemblea liturgica, insistendo sul fatto che la musica e il canto sono strumento di evangelizzazione nel mondo di oggi. Emanuela Sabellico (nella foto, il coro di Santa Maria Maggiore, Alatri)

Il vescovo ai giovani: «Siate protagonisti del bene!»

«Siate  protagonisti del bene, perché questa è la vita. Siate gente che coinvolge gli altri e che camminano insieme, come i pellegrini». Questo l’impegno, ma al contempo anche l’augurio, che il vescovo Ambrogio Spreafico ha lasciato ai giovani delle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino ritrovatisi nella serata di venerdì 22 novembre a Ferentino, nella chiesa di Sant’Agata, per vivere la Giornata interdiocesana della gioventù. A causa delle condizioni meteo, il programma è stato tutto concentrato nella bella e ospitale chiesa affidata ai padri Guanelliani, rispetto al preventivato pellegrinaggio per le vie di Ferentino, ma è stato comunque «un pellegrinaggio del cuore», come ha ricordato all’inizio don Luca Fanfarillo, responsabile della pastorale giovanile di Anagni-Alatri. Proprio quel cuore, ancora più grande perché rimarginato dalle ferite, che una operatrice e un’ospite della Comunità “In dialogo” di Trivigliano hanno aperto – senza nascondimenti e mezze frasi – ai giovani presenti, nella testimonianza che ha introdotto la serata. «In comunità facciamo sì un cammino in avanti, ma anche in profondità», ha detto Miriam ripensando a voce alta anche alla sua storia, al ritrovarsi inizialmente «con gente tossica come me che però mi dava testimonianza», e a quell’abbraccio con il Signore «perché lui voleva la mia stori così. E per questo gli sono grata». Una comunità, ha aggiunto, «dove condividiamo tutto, ma ci accorgiamo che fuori, in famiglia, a scuola, spesso non è così. E allora – ha concluso Miriam rivolgendosi ai presenti – sentitevi fortunati perché c’è chi vi vuole bene, chi vi ascolta». Un percorso che passa anche attraverso l’accettazione di limiti e sbagli personali, come ha testimoniato poi Francesca, 24 anni, ospite della Comunità dopo essere finita giovanissima nel vortice delle dipendenze: «Ancora non mi voglio tanto bene, ma ci sto provando!». In un crescendo di attenzione da parte dei ragazzi presenti, è quindi intervenuto il vescovo Spreafico: «Nella vita c’è bisogno di consolazione, di qualcuno che ascolta. Noi spesso non parliamo più perché magari ci vergogniamo o abbiamo paura, ma soprattutto perché non c’è nessuno che ci ascolta. Questa è una tragedia! E invece, bisogna avvicinarsi all’altro, dirgli: come stai? E la risposta può già essere qualcosa per cominciare a liberare quello che uno ha dentro, proprio come succede in Comunità», ha aggiunto il vescovo facendo riferimento all’operato della “In Dialogo” e del fondatore padre Matteo Tagliaferri «uomo saggio». Siamo in un mondo, ha aggiunto il vescovo, «in cui i prepotenti prima o poi troveranno un altro più prepotente. E così nascono le guerre. Ma non conviene essere violenti, cari giovani. Eppure in questo mondo manca la gentilezza, anche nel nostro mondo dove rischi di non trovare mai uno che si ferma perché preferisce fare lo sbruffone in giro per Frosinone o Ferentino. Poi magari è insoddisfatto e da qui vengono fuori quelle cose brutte che sono successe. E poi, quando uno uccide il padre, la madre, un altro ragazzo, ci chiediamo: ma perché è successo? Perché aveva il fuoco dentro!». Da qui l’invito a incasellare la vita su binari ben diversi «perché voi anche stasera siete insieme e avete la possibilità di confrontarvi, di pensare, invece di star sempre lì con il telefonino a chattare. Certo, oggi è difficile vivere, ma se non siamo con gli altri, non ce la facciamo. Noi siamo fatti per stare con gli altri!, non certo come milioni di ragazzi giapponesi, gli hikikomori, che se ne stanno tutto il giorno isolati. Bisogna fermarsi, ascoltarsi, parlarsi», ha rimarcato Spreafico, ricordando anche il recente «incontro molto bello» che i giovani hanno vissuto a Tecchiena Castello, prima di offrire anche un ricordo personale, che ha ancor di più calamitato l’attenzione dei giovani: «Quando ero a Roma, studiavo le lingue antiche, anche lingue un po’ mezze morte, finché un amico non mi ha detto: ma perché non vieni con noi, nelle periferie, a fare il doposcuola? Così ho iniziato, in quelle periferie, e mi sono salvato, perché se aiuti gli altri allora sì che sei felice!», si è avviato a concludere il suo intervento, non prima di aver lasciato quelle consegne-impegno di cui dicevamo all’inizio. La serata è poi proseguita con i giovani divisi in cinque gruppi per riflettere su quanto detto e per dare risposte ad altre domande, tracciate da don Francesco Paglia, responsabile della Pastorale vocazionale di Frosinone-Veroli-Ferentino. Il tutto prima del grande silenzio, che ha però parlato al cuore di tutti, dell’Adorazione, preparato peraltro in maniera semplice ma efficace dalle Francescane di Ferentino. A conclusione, il “mandato” consegnato ai giovani da Alina, ora a Patrica ma già missionaria in Costa d’Avorio: una piccola scatolina, con dentro un fiammifero e la dicitura “Accendi la speranza!”. Con l’augurio che i giovani consumino quello e mille altri fiammiferi. di Igor Traboni