Chiamati ad essere samaritani. Presentato il libro “Le guarigioni nella Bibbia”

In un pomeriggio denso di significati, giovedì 30 maggio, presso il Centro pastorale di Fiuggi, è stato presentato il libro “Le guarigioni nella Bibbia”, edito da Morcelliana nella collana “Cieli aperti” e che ha tra gli autori il vescovo Ambrogio Spreafico, assieme a Maria Cristina Marazzi e Francesco Tedeschi. Alla presenza dello stesso Spreafico, vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, la presentazione, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, ha visto come primo intervento quello di Vito Grazioli, medico e fondatore di A.N.C.D.A.. Grazioli ha tracciato la valenza del libro seguendone il canovaccio dei titoli dei capitoli, a partire da quel “Perché la malattia” che «è una domanda che attraversa i secoli e va anche da Giobbe a Gesù, con il primo che fa un percorso per comprendere che Dio non l’ha abbandonato e Gesù che si farà carico della sofferenza», ha detto Grazioli, che poi ha anche parlato delle attività dell’Ancda, associazione contro il disagio e l’alcolismo che proprio a Fiuggi ha dato vita al Villaggio dell’Ottavo giorno «dove abbiamo costruito case, e non stanze, per la cura di tutta la famiglia e non solo del singolo», ha chiosato Grazioli, preannunciando peraltro che il tema del libro sarà anche quello del campo-lavoro che si terrà in agosto presso il Villaggio. La necessità di riscoprire l’opera di misericordia della visita ai malati, che poi è uno dei perni di questo libro come ricorda anche Marco Impagliazzo nella prefazione, è stata quindi sottolineata all’inizio del suo intervento da don Paolo Cristiano, docente di Teologia biblica al Leoniano di Anagni e parroco della Cattedrale di Frosinone: «Un’opera di misericordia spesso messa tra parentesi, così come quella della visita agli anziani che oggi soffrono di un’altra grave malattia: la solitudine. E questo libro ci aiuta a fermarci accanto a chi soffre, a farci samaritani. Invece oggi ci sono degli schematismi nei confronti della malattia, come quello della rassegnazione o del dire “ha smesso di soffrire”, espressioni che andrebbero abolite dal nostro vocabolario di cristiani: Dio ascolta sempre il nostro grido, non ci lascia mai soli, ci spinge ad uscire dalle nostre idee scontate e dai pregiudizi. No, la rassegnazione non è un sentimento cristiano, perché Gesù davanti alla tomba di Lazzaro si è commosso fino alle lacrime», ha rimarcato don Cristiano che poi, da fine studioso dell’Antico Testamento, ha tracciato anche dei parallelismi con quanto contenuto in alcuni libri forse poco conosciuti, da Tobia al Qoelet al Siracide. Il terzo intervento è stato affidato a Loredana Piazzai, pediatra, della Comunità di Sant’Egidio di Frosinone: «Questo libro ci parla di problemi della nostra vita, della malattia, di come affrontarla, anche di come accettare la non guarigione. E ci dà risposte che partono sempre dalla saggezza della Bibbia, che ci parla ancora oggi», ha rimarcato la Piazzai, andando anche all’etimologia di parole come guarigione «che vuol dire “riparare”» e alla sua esperienza di medico, anche in Paesi africani dove opera la Comunità di Sant’Egidio o nell’ambulatorio multiculturale di Frosinone: «Come medici siamo prima chiamati ad ascoltare il malato: se ti ascolto, ti accolgo, ti parlo, ho già fatto una parte del cammino di cura. Perché curare è preoccuparsi dell’altro. Una parte della guarigione, oltre ai farmaci, arriva proprio da questo aspetto di socialità. Come cristiani partiamo dal dolore e arriviamo alla speranza, cardine della nostra fede. Relazionarsi con gli altri è fondamentale», si è avviata a concludere la Piazzai, rimarcando come il libro «ci aiuta anche ad accettare il dolore, muovendo dalla Parola di Dio». E’ stato quindi il vescovo Ambrogio Spreafico a trarre le conclusioni, in un breve indirizzo di ringraziamento ai numerosi presenti e rimarcando quello che ha definito «il cuore del libro: Dio riconosce in ognuno di noi l’umanità. Noi siamo abitati da Dio, fatti a sua immagine e somiglianza. In ognuno di noi c’è l’impronta di Dio e, con la forza della fede e la preghiera, Gesù ce la fa ritrovare. E Dio non ci parla come vogliamo noi ma, come a Giobbe, ci fa capire  che siamo parte di quella meraviglia che è il Creato». di Igor Traboni (nella foto, da destra: il vescovo Ambrogio Spreafico, Vito Grazioli, Loredana Piazzai, don Paolo Cristiano)

“Le guarigioni nella Bibbia”: presentazione del libro del vescovo Spreafico

Ognuno di noi, più o meno direttamente, ha fatto esperienza della malattia, finendo con il porsi delle domande: perché la malattia, il dolore, la sofferenza? E le nostre risposte spesso non bastano o comunque sono insufficienti o lacunose; a meno che su tutto non si posi uno sguardo altro e alto, che è quello della Bibbia, scrigno inesauribile anche rispetto e davanti a temi come questi. E ad offrire la giusta inclinazione per questo sguardo arriva il libro “Le guarigioni nella Bibbia. Da Giobbe a Gesù”, scritto dal vescovo Ambrogio Spreafico assieme a Maria Cristina Marazzi e Francesco Tedeschi. Biblista e docente di Sacra Scrittura monsignor Spreafico; medico e docente universitario la Marazzi; mentre Tedeschi è sacerdote e docente di Liturgia e Teologia Sacramentaria , accomunati dall’impegno nella Comunità di Sant’Egidio verso i più deboli. Il libro è stato pubblicato dalla Morcelliana nella collana “Cieli aperti” (nella nuova serie anche volumi di Andrea Riccardi e Mario Marazziti) della Comunità di Sant’Egidio. Un libro che in diocesi di Anagni- Alatri verrà presentato giovedì 30 maggio, al Centro pastorale di Fiuggi alle 18.30, con gli interventi di Loredana Piazzai (pediatra, Comunità di Sant’Egidio), don Paolo Cristiano (docente di Teologia biblica al Leoniano di Anagni), Vito Grazioli (medico, fondatore di Ancda) e alla presenza del vescovo Spreafico. «Le pagine di questo libro – scrive Marco Impagliazzo nella prefazione – aiutano l’uomo e la donna contemporanei, abitatori di un oggi liquido e a volte superficiale, a leggere in maniera più fruttuosa “i segni” del tempo, anche quelli amari e indesiderati del dolore (…) Emerge l’invito a non scoraggiarsi, a lasciarsi contagiare dalla speranza, a cercare “nel contatto con Gesù una buona notizia per la propria vita”». Come a rispondere ad un sos che spesso non osiamo neppure lanciare – quasi provassimo una sorta di pudore a confrontarci con la malattia – questo libro, conclude Impagliazzo, «ci aiuterà a non fare come il levita e il sacerdote, ma ad essere “samaritani”, e cioè più umani». Queste pagine fanno così comprendere come rispetto alla malattia, e per tornare al termine di paragone iniziale, ci sono anche sguardi inusitati e valori spesso dimenticati. Come quello dell’amicizia, che gli Autori presentano da par loro nel capitolo sul paralitico di Cafarnao e nel gesto che oggi definiremmo “eroico” dei quattro amici che issano il ploro amico sopra la casa, scoperchiano il tetto e lo calano davanti a Gesù, facendosi carico della vita dell’uomo paralizzato fino a diventarne le sue gambe e le sue braccia. E, tornando invece ai grandi interrogativi che ci poniamo rispetto alla sofferenza, uno dei più frequenti è il “perché Dio manda le malattie?”. E qui gli Autori rispondono in un altro capitolo del volume, così denso di riflessioni che non si può certo sintetizzare nelle poche righe di una recensione, non a caso intitolato “Dio non manda le malattie”, attraverso l’episodio ben noto del cieco nato e il suo autentico e niente affatto recondito significato: dopo aver riacquistato la vista, quel cieco deve comunque imparare a guardare perché tutta la sua vita – esattamente come la nostra – torni ad essere luminosa. Oltremodo preziose queste pagine perché pongono il lettore anche davanti ad episodi e figure bibliche che sovente diamo per scontate, probabilmente senza conoscerle a fondo. E’ il caso dell’emorroissa, che gli Autori offrono come paradigma delle pagine in cui affrontano un altro tema delicato e pure questo un po’ rimosso da certa narrazione contemporanea: la vergogna di non esser sani. Anche qui l’indicazione è netta: «C’è uno “sfogo” silenzioso del dolore dei malati che bisogna imparare a comprendere e ad ascoltare. Ed è a volte il segno di una fede nascosta che non si riesce ad esprimere con parole e preghiere». Quella donna si aggrapperà dunque al lembo del mantello di Gesù: «La sua non è una fede particolare, ma è la fede di una donna che non ha perso la speranza di guarire». di Igor Traboni