Il vescovo Ambrogio per i 30 anni della chiesa di Tecchiena Castello: «Gratitudine per la vostra storia»

Ai prossimi 30, e poi ancora 50 e 100, ma sempre con lo stesso spirito di comunità, di fraternità e di Fede vissuta nel concreto: è questo l’augurio più bello che si possa fare alla parrocchia (in tutte le sue componenti) di Tecchiena Castello, che nel pomeriggio di domenica 4 maggio 2025 ha celebrato e festeggiato i 30 anni di consacrazione della chiesa dedicata a Maria Santissima Regina. Una celebrazione presieduta dal vescovo Ambrogio Spreafico, che non ha voluto far mancare la sua presenza in questo momento di gioia per una comunità piccola ma particolarmente attiva, e che ha concelebrato la Messa assieme al vicario generale della diocesi, monsignor Alberto Ponzi, e ad alcuni dei sacerdoti che in questi 30 anni si sono succeduti alla guida pastorale della comunità, dall’attuale parroco don Giorgio Tagliaferri, al primo e storico, don Marino Pietrogiacomi, e quindi don Fabio Massimo Tagliaferri, don Edoardo Pomponi, don Luca Fanfarillo. «Ci tenevo particolarmente a venire – ha esordito il vescovo, davanti ai fedeli che riempivano la chiesa – per ringraziare tutti voi che fate parte di questa bella comunità e chi è stato ed è qui, ad iniziare da don Marino e fino all’attuale parroco don Giorgio. La vostra storia ci aiuta a capire che tutti noi siamo dentro una Storia. E questo dobbiamo ricordarcelo bene, soprattutto oggi, in questo mondo in cui c’è troppo individualismo, in cui si diventa tutti più egoisti davanti alle difficoltà della vita, in cui si dice sempre “prima io”, anche se veramente chi viene prima è Gesù. Nessuno è primo davanti a Gesù, noi cerchiamo di seguirlo come possiamo». Il vescovo ha poi richiamato e sottolineato il sostantivo “gratitudine” nei confronti di chi «ha mantenuto vivo questo luogo, una grande cosa, perché essere comunità nel mondo oggi non è normale: tutti hanno sempre tanto da fare, nessuno trova il tempo per fermarsi, per parlare con l’altro. C’è sempre la tentazione di vivere ognuno per sé, di dire “faccio quello che posso, non chiedermi di più”, ma non è così che funziona la vita dei cristiani». Rifacendosi poi al Vangelo del giorno, annunziato poco prima dal diacono Giovanni Straccamore, monsignor Spreafico ha rimarcato l’importanza di riconoscere Gesù nella vita di ogni giorno, anche nelle piccole cose: «Chiediamoci: ma non è che Gesù ci parla e io invece faccio orecchie da mercante? Perché Gesù non ci abbandona mai, vive con noi nella quotidianità, proprio come fece con i pescatori del brano del Vangelo: Gesù sa che sono delusi, perché hanno pescato tutta la notte e non hanno preso niente. Un po’ come tanti di noi: ci affrettiamo, lavoriamo, ma alla fine della giornata spesso diciamo: che ho fatto? E siamo insoddisfatti, tristi. Allora Gesù si avvicina e ci dice: senti un po’, perché non getti la rete dall’altra parte? Ci chiede insomma di cambiare il nostro modo di pensare, di ragionare, il nostro modo di essere, di cambiare la nostra umanità! Gesù osa dirci di fare cose che prima non abbiamo fatto, perché ci vuole bene. Gesù ci dice come vivere, ci indica la via del dialogo, nel mondo, nelle comunità, proprio come ha fatto Papa Francesco. Gesù vuole essere nostro amico, camminare con noi, ci incontra nella vita. E allora, nei momenti difficili fermiamoci un po’, facciamo una preghiera, leggiamo una pagina del Vangelo. E tutti insieme prendiamoci cura degli altri, aiutiamoci, diamoci una mano, siamo attenti a chi ha bisogno, agli anziani, ai malati. Vogliamo essere donne e uomini che costruiscono un mondo fraterno. Siate sempre una comunità solidale, generosa», ha concluso il vescovo, tracciando questo augurio per la realtà di Tecchiena Castello, nel solco di quello che sta per l’appunto vivendo da trent’anni. Una cerimonia molto sentita, curata nei particolari (dai canti al servizio all’altare delle chierichette e alle intenzioni della preghiera dei fedeli) e al termine della quale – dopo un breve saluto di ringraziamento anche da parte di don Giorgio – il vescovo, i sacerdoti presenti e i fedeli si sono portati fuori, nel giardino antistante la chiesa, per lo scoprimento e la benedizione di una bellissima croce in legno, eretta a ricordo di questo 30°. La serata si è conclusa in maniera fraterna e conviviale con una gustosa pasta e fagioli offerta ai presenti. La parrocchia ha inoltre voluto donare una targa commemorativa del trentennale al vescovo e ai sacerdoti presenti, al sindaco dell’epoca Patrizio Cittadini, che intervenne alla cerimonia di consacrazione; al progettista Giuseppe Morini, al titolare dell’impresa esecutrice, Roberto Maddaleni. Nella giornata di sabato altre targhe erano state invece consegnate al sindaco Maurizio Cianfrocca e al Coro Monti Ernici del Maestro Antonio D’Antò, dopo l’apprezzato concerto. Nei prossimi giorni altre targhe verranno consegnate a quanti non sono potuti intervenire per altri impegni pastorali: a don Antonio Castagnacci, a don Antonello Pacella, a don Domenico Pompili (ora vescovo di Verona, concelebrante in quel maggio del 1995 e che ha indirizzato una bella lettera alla comunità), al vescovo emerito Lorenzo Loppa, a padre Andrea dei Frati minori, alle suore del Preziosissimo Sangue, alla famiglia dello scomparso don Renzo. Nei locali sottostanti la chiesa è stata anche allestita una mostra con foto d’epoca, che si potrà visitare fino a domenica 11 maggio. di Igor Traboni
Tecchiena Castello: 30 anni di chiesa e di una comunità autentica

Qualche tempo fa, mentre intervistavo un alto prelato e cercavo argomenti… alti, questi mi mise ko così: «Guardi, la vitalità della Chiesa è data dalle piccole parrocchie dei paesi, delle campagne, dove la gente aspetta la domenica come il giorno più bello della settimana, dove magari ci si mette ancora il vestito buono per andare a Messa e dopo ci si ferma sul sagrato per chiacchierare e salutarsi con un abbraccio. E’ lì che c’è una Fede semplice ma autentica». Parole che mi sono tornate in mente non appena ho saputo che la parrocchia di Tecchiena Castello si appresta a celebrare – ma anche a festeggiare nel migliore dei modi – i 30 anni di consacrazione della chiesa. Lo so, non si dovrebbe scendere troppo sul personale quando si scrive un articolo, ma stavolta faccio uno strappo alla regola, anche per cercare di raccontare qualcosa che conosco, dopo che le vicissitudini della vita – il Covid e la contemporanea malattia e poi la morte di mia moglie – mi hanno portato a frequentare da alcuni anni anche la chiesa di Tecchiena Castello. E sono rimasto subito piacevolmente sorpreso da una comunità accogliente: senza tanti fronzoli, senza chiederti chi sei o non sei, ma con un calore umano che, come diceva quel prelato, è il vivere la Fede nel concreto, con le “opere”. Anche quelle dell’amicizia, merce rara di questi tempi ma sempre più necessaria, come ama ripetere spesso il nostro vescovo Ambrogio. Scusate ancora, ma ho un altro flash personale: qualche domenica fa, a Messa mi si è seduto accanto un anziano che, ogni volta che il coro intonava i canti, batteva i piedi al ritmo della musica e cantava anche lui. In verità, non ha indovinato le parole di nessun canto, ma era contento, allegro, e al canto finale si è girato verso di me, ma rivolto ai cantori: «Ma che bravi, che bella la Messa così!». Ecco, in queste comunità c’è la cura del canto, come delle altre parti della liturgia. Come pure la contentezza e l’allegria (e un po’ di trepidazione) dei bambini che si vestono per fare da chierichetti. E capisci che le catechiste/educatrici hanno trasmesso loro questa gioia. Ed è quella gioia, talvolta espressa anche pubblicamente a parole, che ritrovi nel parroco don Giorgio che vedi davvero lieto di presiedere assemblee domenicali così… liete. Come pure è un servizio fatto con il sorriso, per dirne un’altra, anche quello apparentemente banale di passare il cestino della questua. O tagliare l’erba del piazzale. O preparare i Sepolcri in maniera sempre nuova e profonda. O accompagnando i bambini a trovare anziani e malati, portando loro una carezza e un panettone. E tante altre cose ancora, con la contentezza e l’allegria che esplodono nella settimana di festa patronale, in estate. Con tutto il senso della comunità che sa di essere Chiesa anche in questo modo: c’è gente che prende le ferie, e le spende così, per rinchiudersi in un gabbiotto a friggere le patatine. E non te l’ha mica ordinato il dottore di star dietro alla griglia delle salsicce fino all’una di notte mentre gli altri ballano e si divertono. E non mi pare un caso – o se è così, è indovinatissimo – che sul manifesto del programma dei 30 anni compaia il versetto di Matteo “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. Certo, queste scene di Tecchiena Castello si ripetono in altre comunità della nostra Chiesa locale e di tante altre diocesi, ma per questo credo sia bello – e giusto, e importante, e prezioso – provare a raccontarle per far sapere che ci sono. Magari il vestito buono della domenica oramai non si usa più, ma due chiacchiere e i saluti sul sagrato quelli sì (compresa per alcuni di noi la piacevole appendice di un buon caffè al bar!). A questo punto, fatte salve le mie inutili parole, resta la sostanza del programma delle celebrazioni: sabato 3 maggio, alle 18.30, concerto del Coro Ernico Città di Alatri, diretto dal Maestro Antonio D’Antò. Domenica 4 maggio, alle 18, celebrazione eucaristica presieduta da monsignor Alberto Ponzi, vicario generale della diocesi, e concelebrata dal parroco don Giorgio Tagliaferri e dai sacerdoti che si sono succeduti nella cura pastorale della chiesa dedicata a Maria Santissima Regina: don Marino Pietrogiacomi (primo storico, amatissimo parroco), don Edoardo Pomponi, don Antonio Castagnacci, don Luca Fanfarillo, don Fabio Massimo Tagliaferri. Dopo la Messa, ci sarà la benedizione della Croce a ricordo di questo 30° anniversario e quindi un momento conviviale offerto a tutti i presenti. Igor Traboni
Un giorno di grazia: il pellegrinaggio giubilare delle parrocchie delle zone Mole/Castello/Tecchiena

Non era un remake di “Berretti verdi”, il film con il leggendario John Wayne, e neppure una reminiscenza scolastica della poesia di Luigi Mercantini “La spigolatrice di Sapri”, eppure trecento giovani (e meno giovani), e forti, fortissimi, e gioiosi, gioiosissimi pellegrini, con il caratteristico berretto verde come segno distintivo, hanno “invaso” nella giornata di sabato 15 marzo prima la Basilica di San Paolo fuori le mura e quindi il colonnato e poi la Basilica di San Pietro per il pellegrinaggio giubilare interparrocchiale, organizzato dall’unità pastorale delle “parrocchie in comunione con Maria” (Laguccio, Mole Bisleti, Pignano, Sant’Emidio, Basciano), dalla parrocchia di Tecchiena e da quella di Tecchiena Castello, accompagnati dai parroci don Luca Fanfarillo e don Antonello Pacella e dal diacono Giovanni Straccamore, mentre don Giorgio Tagliaferri, impossibilitato a partecipare, ha comunque portato il suo saluto via telefono; preziosa anche l’opera dei vari laici – giovani e no – delle varie parrocchie per l’organizzazione e la logistica. Partiti intorno alle 8 dai piazzali delle rispettive chiese, preparandosi ulteriormente alla giornata con l’ausilio di un istruttivo pieghevole con info e notizie varie sul Giubileo e sull’indulgenza, i pellegrini hanno fatto dapprima tappa a San Paolo fuori le Mura. E qui è stata subito chiara l’impronta di grazia che poi tutta la giornata avrebbe avuto, così come di comunione e di cammino fraterno – uno dei significati di ogni pellegrinaggio – di una Chiesa universale. Per entrare in Basilica, infatti, si è fatta la fila insieme a tanti pellegrini dell’arcidiocesi di Milano, alla seconda giornata del loro pellegrinaggio giubilare a Roma. Ed è stato subito un piacevole e fraterno scambio di saluti, ben oltre gli scontati convenevoli, con l’innata simpatia e spontaneità ciociara che ha conquistato i lombardi, e di esperienze dettate dall’emozione e dalla grazia particolari di vivere un Giubileo e di attraversare, da lì a qualche minuto, la Porta Santa. Ed è stato anche piacevolmente bello vedere come, in “normalissima” fila insieme a tutti i fedeli, c’era anche monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, che tra l’altro poco prima avevamo notato aggirarsi sempre “normalmente” tra i bus in sosta per salutare questo o quel fedele. All’interno della Basilica, i pellegrini delle varie parrocchie della zona di Tecchiena si sono lasciati inebriare dalle bellezze artistiche della chiesa, con ogni singola opera che trasuda del Bello che deriva dall’Infinito. In molti si sono accostati al sacramento della Riconciliazione, approfittando anche del “dispiegamento” di sacerdoti e religiosi dell’arcidiocesi di Milano (circa 100 i confessori) disseminati in ogni angolo della Basilica, prima di concelebrare con monsignor Delpini, accolto peraltro con gioia da un po’ di… Ciociaria, ovvero dall’abate di San Paolo, dom Donato Ogliari, fino a due anni e mezzo fa abate di Montecassino. Dopo la visita, il tempo di un pranzo al sacco negli spazi esterni della Basilica, di un caffè e delle immancabili ciambelline al vino e poi tutti si nuovo sui torpedoni per raggiungere San Pietro, anche se con qualche problema di traffico per la concomitanza con lo sciamare dei tifosi irlandesi diretti all’Olimpico per la partita di rugby contro l’Italia e due manifestazioni politiche in piazza. Arrivati a San Pietro, in piazza e nelle vie adiacenti è stato possibile incrociare anche i pellegrini della parrocchia di Santa Maria Goretti di Frosinone, affidata ai sacerdoti di Nuovi Orizzonti, proprio mentre a poche decine di metri, nella libreria San Paolo di via della Conciliazione, don Davide Banzato, che di Nuovi Orizzonti è l’assistente spirituale, riceveva il “Premio Buone Notizie”, insieme a Lorena Bianchetti e Vincenzo Corrado. Superati con pazienza i necessari filtraggi delle forze dell’ordine, tutti dietro alla Croce per attraversare la Porta Santa della Basilica simbolo del centro della cristianità e sede della Cattedra di San Pietro e del Vescovo di Roma, papa Francesco, il cui pensiero ha accompagnato la preghiera di ogni pellegrino. In Basilica è stato possibile partecipare alla Messa delle 15, ancora con un altro tassello di comunione di Chiesa, per la concomitanza con il pellegrinaggio della diocesi campana di Ariano Irpino-Lacedonia, il cui vescovo monsignor Sergio Melillo ha presieduto la concelebrazione con molti sacerdoti della sua diocesi (significativamente anche il prete più anziano e quello più giovane) e i “nostri” don Antonello e don Luca. Anche il vescovo ha voluto ricordare, nell’omelia, il senso del pellegrinaggio, tanto più autentico in quanto erano partiti in piena notte dai loro paesi dell’Irpinia: un piccolo sacrificio, come le difficoltà della vita, da affrontare però con la fiaccola della Fede. Ma il presule campano ha voluto anche ribadire il significato pieno di quella “speranza”, che fa da filo conduttore al Giubileo 2025, e di come l’invito di questo anno particolare è quello alla riconciliazione e alla rinascita spirituale. Dopo la Messa, tutti di nuovo in fila anche per uscire, e solo a questo punto una pioggerellina si è fatta presente, dopo una giornata meteo comunque piacevole, tale però da impedire la riuscita della classica foto di gruppo sul sagrato della Basilica. Poco male, però, perché in tantissimi hanno poi inondato i social e i gruppi whatsapp di bellissime immagini e video di una giornata di grazia piena, autentica, vera. Da continuare a vivere ora ogni giorno, da trasmettere agli altri, anche ai “lontani” e, perché no?, da rivivere anche in altri futuri pellegrinaggi da organizzare, secondo la richiesta che è poi arrivata da tanti fedeli. Igor Traboni
Dama Africa: solidarietà e iniziative concrete per la Tanzania

Metti un caldo ma piacevole pomeriggio d’estate nell’ambito di una bella festa parrocchiale come quella di Tecchiena Castello, con la presentazione del libro “La strada antica” di Silvio Campoli, un uditorio attento ma soprattutto partecipe dello scopo benefico dell’iniziativa ed ecco che un’altra cospicua somma di denaro – frutto delle vendite del libro interamente devolute alla causa – raggiunge la Tanzania per sostenere le opere di Dama Africa, la Onlus di Alatri che da circa 20 anni è vicina alla gente di quel Paese tra i più poveri del mondo, in maniera mirata, con progetti specifici. Grazie a questa e ad altre iniziative solidali, infatti, la Onlus ciociara ha potuto costruire il dispensario ‘Dama Africa’ con un laboratorio analisi, a Manioni, dove sono state edificate anche delle scuole dirette ora dalle suore. A Kimbici, invece, è stato realizzato un centro sociale diretto dai padri della Consolata ed è stata costruita anche una chiesa dedicata a San Sisto, patrono di Alatri. Nella popolosa area di Mafinca, infine, è attivo un laboratorio e ci sono scuole frequentate da più di trecento ragazzi, fino ad un anno fa in rapporto stretto con l’apostolato di padre Antonio Scaccia, originario di Frosinone, morto il 26 gennaio di un anno fa e che i volontari di Dama ricordano con grande affetto per l’amore e la generosità senza fine in 60 anni di apostolato in Africa. Ma c’è un altro, indissolubile filo che lega la Onlus di Alatri, e dunque la terra di Ciociaria, alla Tanzania ed è rappresentato dalla presenza in quel Paese delle suore Adoratrici del Sangue di Cristo, l’ordine religioso fondato da Santa Maria De Mattias, originaria di Vallecorsa e che da Acuto iniziò la sua opera oggi diffusa in tutto il mondo. In particolare, suor Luisina e suor Eufrasia sono sempre in prima linea, anche accanto alle realizzazioni di Dama Africa. Per tornare a queste ultime, c’è da dire che gli interventi in Tanzania si sono concentrati in un primo momento per migliorare le condizioni di vita di quella popolazione, con aiuti a distanza per i bambini, poi costruendo pozzi, edificando aule per le scuole dei fanciulli, realizzando il grande progetto di far nascere a Wicavue un dispensario che, negli anni, si è trasformato in un vero e proprio centro sanitario per le donne, in particolare per le partorienti e per i bambini. Aiuti che ora si stanno focalizzando, grazie anche alle iniziative solidali di cui sopra, nell’espansione dei progetti che riguardano l’educazione, i servizi igienici e sanitari, la formazione e la difesa dei diritti dei bambini, delle bambine e delle donne, nel coinvolgimento delle comunità locali. In particolare, si sta procedendo allo sviluppo dell’ospedale con un laboratorio di analisi, in un Paese dove restano limitati gli accessi ai servizi di base, come l’assistenza sanitaria, il sistema educativo, l’acqua potabile e le fonti di energia affidabili; così facendo Dama Africa dà risposte vere al bisogno di crescita sociale. Sebbene la Tanzania abbia compiuto passi avanti in determinati settori socio-economici, infatti, sono ancora numerose le sfide da affrontare. Dama Africa è impegnata, nel suo piccolo, a migliorare le condizioni di vita di quelle popolazioni. E così con piacere si è potuto constatare che, grazie anche all’attività di Dama e alle donazioni ricevute, sono emerse nuove leve di promotori sociali delle popolazioni locali, come don Jose Giraldo e don Deogratias Mlay: quei ragazzini visti crescere, alcuni di loro abbracciati con affetto in questi anni di attività dai volontari italiani, ora gestiscono le opere dei centri educativi e sanitari che sono diventati punti di riferimento irrinunciabili per le genti del circondario. «Le donazioni che vengono raccolte dai nostri volontari – afferma il presidente di Dama Africa Onlus, Germano Frioni- vanno ad incrementare i progetti e attività volte a migliorare le condizioni di vita di quelle popolazioni vulnerabili, a sostenere i bambini, le bambine e le comunità locali nella lotta contro la povertà e le disuguaglianze, per uno sviluppo sostenibile. I donativi, in particolare quelli raccolti dalla pubblicazione del libro “La strada antica” di Silvio Campoli, sono stati subito investiti in agricoltura nell’acquisto delle sementi. come testimoniato dal giovane don Deogratias Mlay. Continueremo nel nostro modo di fare- continua il presidente Germano Frioni – a dare aiuti per affrancarsi dai bisogni di prima necessità a quei territori bisognosi, in stretta collaborazione con le genti del posto, continueremo a sviluppare quei servizi alla persona, a dare risposte ai bisogni di quelle aree geografiche citate: educazione, servizi igienici e sanitari, nutrizione, diritti dei bambini e delle donne e coinvolgimento delle comunità, sono le nostre direttrici.” «Sì, con grande piacere- chiosa dal canto suo Silvio Campoli– condivido la gioia e la mia gratitudine per aver contribuito in piccola parte alla esultanza di giovani lontani. Vedere che in pochissimo tempo una donazione possa essere subito utilizzata dalla missione, in questo caso per aggiornare il laboratorio e attività in agricoltura, spero possa invogliare sempre più conterranei a frequentare il dono. La solidarietà, l’amore, arrivano nei posti più impensati e lontani e, come afferma papa Francesco, si confermano unici mezzi per il progresso dei popoli e per costruire la pace». di Igor Traboni