“Le guarigioni nella Bibbia”: presentazione del libro del vescovo Spreafico
Ognuno di noi, più o meno direttamente, ha fatto esperienza della malattia, finendo con il porsi delle domande: perché la malattia, il dolore, la sofferenza? E le nostre risposte spesso non bastano o comunque sono insufficienti o lacunose; a meno che su tutto non si posi uno sguardo altro e alto, che è quello della Bibbia, scrigno inesauribile anche rispetto e davanti a temi come questi. E ad offrire la giusta inclinazione per questo sguardo arriva il libro “Le guarigioni nella Bibbia. Da Giobbe a Gesù”, scritto dal vescovo Ambrogio Spreafico assieme a Maria Cristina Marazzi e Francesco Tedeschi. Biblista e docente di Sacra Scrittura monsignor Spreafico; medico e docente universitario la Marazzi; mentre Tedeschi è sacerdote e docente di Liturgia e Teologia Sacramentaria , accomunati dall’impegno nella Comunità di Sant’Egidio verso i più deboli. Il libro è stato pubblicato dalla Morcelliana nella collana “Cieli aperti” (nella nuova serie anche volumi di Andrea Riccardi e Mario Marazziti) della Comunità di Sant’Egidio. Un libro che in diocesi di Anagni- Alatri verrà presentato giovedì 30 maggio, al Centro pastorale di Fiuggi alle 18.30, con gli interventi di Loredana Piazzai (pediatra, Comunità di Sant’Egidio), don Paolo Cristiano (docente di Teologia biblica al Leoniano di Anagni), Vito Grazioli (medico, fondatore di Ancda) e alla presenza del vescovo Spreafico. «Le pagine di questo libro – scrive Marco Impagliazzo nella prefazione – aiutano l’uomo e la donna contemporanei, abitatori di un oggi liquido e a volte superficiale, a leggere in maniera più fruttuosa “i segni” del tempo, anche quelli amari e indesiderati del dolore (…) Emerge l’invito a non scoraggiarsi, a lasciarsi contagiare dalla speranza, a cercare “nel contatto con Gesù una buona notizia per la propria vita”». Come a rispondere ad un sos che spesso non osiamo neppure lanciare – quasi provassimo una sorta di pudore a confrontarci con la malattia – questo libro, conclude Impagliazzo, «ci aiuterà a non fare come il levita e il sacerdote, ma ad essere “samaritani”, e cioè più umani». Queste pagine fanno così comprendere come rispetto alla malattia, e per tornare al termine di paragone iniziale, ci sono anche sguardi inusitati e valori spesso dimenticati. Come quello dell’amicizia, che gli Autori presentano da par loro nel capitolo sul paralitico di Cafarnao e nel gesto che oggi definiremmo “eroico” dei quattro amici che issano il ploro amico sopra la casa, scoperchiano il tetto e lo calano davanti a Gesù, facendosi carico della vita dell’uomo paralizzato fino a diventarne le sue gambe e le sue braccia. E, tornando invece ai grandi interrogativi che ci poniamo rispetto alla sofferenza, uno dei più frequenti è il “perché Dio manda le malattie?”. E qui gli Autori rispondono in un altro capitolo del volume, così denso di riflessioni che non si può certo sintetizzare nelle poche righe di una recensione, non a caso intitolato “Dio non manda le malattie”, attraverso l’episodio ben noto del cieco nato e il suo autentico e niente affatto recondito significato: dopo aver riacquistato la vista, quel cieco deve comunque imparare a guardare perché tutta la sua vita – esattamente come la nostra – torni ad essere luminosa. Oltremodo preziose queste pagine perché pongono il lettore anche davanti ad episodi e figure bibliche che sovente diamo per scontate, probabilmente senza conoscerle a fondo. E’ il caso dell’emorroissa, che gli Autori offrono come paradigma delle pagine in cui affrontano un altro tema delicato e pure questo un po’ rimosso da certa narrazione contemporanea: la vergogna di non esser sani. Anche qui l’indicazione è netta: «C’è uno “sfogo” silenzioso del dolore dei malati che bisogna imparare a comprendere e ad ascoltare. Ed è a volte il segno di una fede nascosta che non si riesce ad esprimere con parole e preghiere». Quella donna si aggrapperà dunque al lembo del mantello di Gesù: «La sua non è una fede particolare, ma è la fede di una donna che non ha perso la speranza di guarire». di Igor Traboni
Mons. Spreafico alla veglia per le vocazioni: «Dio chiama tutti. E asciuga le nostre lacrime»
Il vescovo Ambrogio Spreafico ha presieduto la veglia per le vocazioni, tenutasi nella serata di mercoledì 24 aprile nella chiesa parrocchiale di Tecchiena Castello e organizzata dalla Pastorale giovanile e da quella vocazionale della diocesi, con i rispettivi responsabili don Luca Fanfarillo e don Pierluigi Nardi e i componenti della Consulta diocesana dei giovani, alla presenza tra gli altri del parroco don Giorgio Tagliaferri, di altri sacerdoti, del diacono Giovanni Straccamore, di un nutrito gruppo di giovani provenienti soprattutto dalle zone limitrofe e da numerosi parrocchiani del Castello, che hanno anche ben animato la veglia con dei canti tutti dal risvolto vocazionale. «La profezia è visione, è capacità di andare oltre e di vedere oltre il nostro mondo – ha esordito il vescovo, prendendo spunto da un brano del libro dell’Apocalisse di San Giovanni letto poco prima – Ma noi spesso non sappiamo andare oltre perché il mondo cambi. Siamo schiacciati sul passato, sulle guerre, sulla violenza che riguardano anche le nostre strade, le nostre vite, e non solo Gaza, il sud di Israele e l’Ucraina. Eppure ci può essere un andare oltre che Dio vede con noi: se cominci a guardare oltre te stesso, Dio ti parla. Ma se te ne stai sempre lì ranicchiato su te stesso e non alzi mai lo sguardo e vai oltre, questo non succede». Monsignor Spreafico ha quindi invitato i presenti ad ascoltare la voce di Dio «una voce che diventa presenza nelle nostre vite, che diventa chiamata alla vocazione nelle sue diverse forme, perché Dio chiama tutti. E questa voce diventa promessa e asciuga le lacrime, perché tanto è il dolore del mondo, che vediamo anche vicino a noi. Ma finché non si assume il dolore dell’altro, continueremo sempre a vederlo come un nemico; finché non vedremo un uomo e una donna che hanno bisogno del tuo amore, non ci sarà mai pace e fraternità». Il vescovo Spreafico ha poi esortato a ad incontrare la voce di Dio soprattutto nella sua Parola, ricordando – sempre con riferimento alla lettura prima declamata – «che anche a noi viene chiesto di scrivere qualche pagina del nostro incontro con Dio, perché Lui passa, ci chiama e ci dice ‘vieni’, non startene lì rinchiuso nel tuo ‘io’ che non porta da nessuna parte, che non ti serve a niente». Un ultimo passaggio è stato dedicato dal vescovo ancora una volta al tema delle vocazioni: «Qualsiasi vocazione non deve mai essere individuale, ma va vissuta nella comunità. Un prete individualista, un laico individualista, è una persona che non ha accolto quell’invito ‘vieni’. E ci viene chiesto invece di farlo con le nostre comunità. Le nostre vocazioni, nella loro diversità, devono rispondere proprio a questa chiamata di Dio». La veglia, dal titolo “Creare casa”, ha poi avuto altri momenti forti: l’intronizzazione della Parola, portata all’ambone; la recita del Salmo 84 a due cori; l’adorazione e la riflessione silenziosa, accompagnata da un brano della “Christus vivit” di papa Francesco (“Creare casa è permettere che la profezia prenda corpo e renda le nostre ore e i nostri giorni meno inospitali, meno indifferenti e anonimi”); l’offerta dell’incenso; la recita della preghiera per la pace, scritta in occasione di questa 61^ Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Proseguono intanto gli appuntamenti della Pastorale giovanile e vocazionale della diocesi di Anagni-Alatri che, insieme ai coetanei della diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino, venerdì 17 maggio (chiesa del Sacratissimo Cuore, a Frosinone, alle 20.45) animeranno la veglia di Pentecoste dei giovani sempre guidata dal vescovo Spreafico e che avrà come filo conduttore il tema “Ascoltiamoci, Cominciarono a parlare in altre lingue”. Vanno avanti anche gli incontri dell’equipe della pastorale giovanile diocesana con gli animatori, gli educatori e i catechisti dei gruppi giovanili dai 13 anni in su, divisi per foranie. I prossimi incontri in calendario sono quelli del 3 maggio per Anagni (chiesa di Osteria della Fontana, alle 21) e del 10 maggio a Fiuggi (presso il centro pastorale, sempre alle 21). di Igor Traboni
Il vescovo ai ministranti: «Quanto è bello il vostro servizio!»
La parrocchia di Trivigliano ha ospitato, domenica 21 aprile, la Giornata diocesana dei ministranti, accogliendo il vescovo Ambrogio Spreafico che ha celebrato Messa, con il parroco don Rosario Vitagliano, don Bruno Durante dell’Ufficio liturgico diocesano, il cancelliere don Claudio Pietrobono, il diacono Vincenzo Pesoli e presenti anche i seminaristi Lorenzo Ambrosi e Lorenzo Sabellico. Nella domenica del Buon Pastore, proprio da questa figura è partito il vescovo, parlando ai chierichetti presenti: «Gesù è quel pastore che deve tenere unito il gregge, che ne ha la responsabilità, perché nessuna pecora si perda o resti indietro. E’ il pastore che si preoccupa di tutti noi, che ci conosce, che ci chiama per nome. E allora noi non dobbiamo aver paura, anche se talvolta ci nascondiamo, in questa società in cui ci si abitua a tenere tutto per se, a non confidare pene, dolori, fatiche. E poi c’è un altro grande difetto di questo mondo – ha aggiunto il vescovo – e cioè che nessuno sta a sentire. Se uno ci parla, diciamo subito: sbrigati, che ho da fare; se poi ci parla un anziano, allora pensiamo subito: ma quello dice sempre le stesse cose… Gesù invece ci chiama e ci chiede di ascoltarlo. E ascoltare è qualcosa di molto importante nelle nostre vite, nelle relazioni, nel modo di essere con gli altri, nel dare tempo all’ascolto degli altri. In una famiglia spesso succede che uno sta davanti alla tv, un’altra pulisce casa, voi bambini e ragazzi state spesso a chattare con il telefonino, e nessuno parla, nessuno ascolta! Ma così non va bene perché ci abituiamo all’isolamento. Non basta essere connessi in Rete: bisogna essere connessi nella vita, vedersi, ascoltarsi, parlarsi, incontrarsi. Come ogni volta che ci incontriamo nelle nostre comunità, in quello che Gesù chiama “il recinto”, dove siamo invitati ad entrare. E Gesù ci rende famiglia, comunità, anche nelle nostre diversità: dove trovi oggi un posto dove puoi entrare liberamente? Gesù non scaccia mai nessuno dalla sua casa, tutti possono entrare. Nel mondo, invece, spesso non è così. Nelle nostre comunità si ascolta la Parola di Dio e alla fine ci si accorge che è possibile essere insieme, perché parliamo tutti la lingua del Vangelo, i canti, le risposte… tutti come un’unica famiglia. E questo è un po’ un miracolo!» «E allora – ha rimarcato Spreafico, rivolgendosi ancor più direttamente ai ministranti – quanto è bello il vostro servizio all’altare, perché è un modo per rendere bella la celebrazione ed essere al servizio, perché nella casa di Dio nessuno è padrone, ma tutti siamo al servizio. Certo, poi ci sono le responsabilità, quella del parroco, del catechista; ma tutti siamo servi gli uni degli altri con umiltà, mai con protagonismo e violenza come talvolta avviene nella vita». Dopo aver ancora una volta ringraziato i ministranti per il servizio che prestano, il Vescovo ha aggiunto: «Se ascoltiamo solo noi stessi c’è un pericolo: il mondo è pieno di mercenari, briganti e lupi, è un mondo violento, che ti vuole acciuffare, portare dalla sua parte. E se non ascolti Gesì arriva uno che pian piano ti ruba i sogni, i pensieri, un po’ come la droga. Un mondo troppo violento, non solo per le guerre ma per la prepotenza, l’incapacità di ascoltare gli altri, per un modo di vivere sempre un po’ troppo duro. Ma non sarebbe più bello trattarci con gentilezza? E invece pensiamo solo a sgambettare, a escludere uno, a parlar male dell’altro: il bullismo è la conseguenza di questa mentalità. I lupi sono pronti: state attenti soprattutto voi giovani. E allora Gesù chiede anche a noi di essere pastori, perché tutti siamo chiamati a prenderci cura degli altri, anche delle altre pecore. Gesù dice a ognuno: non devi giudicare quelli che non ci sono ma conquistarli, non devi fargli le prediche ma conquistarli con simpatia, affetto, comprensione, solidarietà, amore; questa è una responsabilità che abbiamo tutti, anche voi piccoli dovete essere capaci, con i vostri amichetti e amichette, di comportarvi con simpatia e amore, per dimostrare che voi ascoltate Gesù, e gli altri pian piano capiranno. Non sempre è facile, ma è un impegno per cui vale la pena vivere, perché noi crediamo che la pace è possibile se uno accetta di dialogare con gli altri. E dobbiamo essere pacificatori, laddove ci troviamo: in famiglia, a scuola, al lavoro». (nelle foto, con un ‘grazie’ a Bruno Calicchia, alcuni momenti della celebrazione)
Il vescovo ruandese Mwumvaneza in Ciociaria. Domenica 14 aprile Messa ad Anagni
Sabato 13 e domenica 14 aprile sarà ospite a Veroli, Ferentino e Anagni il Vescovo di Nyundo (Rwanda) Mons. Anaclet Mwumvaneza. Verrà a visitare il nostro Vescovo Ambrogio Spreafico, i sacerdoti rwandesi ospiti a Veroli e ad Anagni per motivi di studio, le suore Abizeramariya che hanno costituito da alcuni mesi una loro comunità a Veroli. Domenica 14 aprile, alle ore 11.30, Mons. Anaclet celebrerà la Messa nella Cattedrale di Anagni. Anaclet Mwumvaneza, 68 anni, è vescovo di Nyundo da 8 e dal 2000 al 2004 ha studiato in Italia, alla Gregoriana di Roma, conseguendo un Dottorato in Diritto Canonico.
Stabilite dal Vescovo le tre festività per la benedizione papale con indulgenza plenaria
Il vescovo Ambrogio Spreafico nei giorni scorsi ha reso noto un suo atto con il quale stabilisce le celebrazioni durante le quali sarà impartita la benedizione papale con annessa indulgenza plenaria. Si tratta delle seguenti festività:
Nominato il nuovo Economo diocesano
Il vescovo Ambrogio Spreafico ha nominato, a far data dal 1° aprile e “ad quinquennium”, il nuovo Economo diocesano nella persona del dottor Stefano Ambrosi. Succede al ragioniere Giorgio Iafrate, al quale vanno i più cordiali ringraziamenti per l’attento lavoro svolto in questi anni. Nel Consiglio diocesano per gli Affari Economici al posto di Stefano Ambrosi entra il signor Roberto Boccitto.
Il vescovo: «San Sisto ci aiuti ad essere donne e uomini che profumano di pace e amore per tutti!»
Questo il testo dell’omelia pronunciata da monsignor Ambrogio Spreafico nella Messa solenne in onore del patrono San Sisto, in Alatri, mercoledì 3 aprile 2024 ——————————————————————- Sorelle e fratelli, fare memoria di un santo non può essere la semplice ripetizione di un rito con lesue caratteristiche e reminiscenze (sarebbe troppo poco!), ma è poter rivivere la storia di qualcunoche ha accolto l’annuncio della Pasqua come una possibilità di vita e di futuro, non solo dopo lamorte, ma già nella vita terrena. Oggi siamo un po’ tutti facilmente chiusi in noi stessi, occupatinell’esecuzione dei nostri giusti doveri e impegni, a volte stanchi e pieni di paure e delusioni per unmondo dove si fatica a vivere insieme. Così cresce la tristezza, la rinuncia alla solidarietà, lo scontroinvece del dialogo. La rabbia e l’odio diventano un modo di vivere, diventano violenza. La guerraci sembra normale, anche se la detestiamo, ma forse solo per le sue nefaste conseguenze. Il facilegiudizio, in genere malevolo, ci tiene distanti degli altri invece di avvicinarci, ascoltarci e aiutarci.Che fare, ci chiediamo? O forse meglio: che posso fare io con tutto quello che ho già di mio? Cosìsi abbassa lo sguardo e si finisce per vedere solo se stessi e poco oltre. La Pasqua, fratelli e sorelle,anzitutto ci fa alzare gli occhi, come fece alzare gli occhi a Pietro e Giovanni. “Fissando lo sguardosu di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: “Guarda verso di noi”. Era un poveretto, storpio fin dallanascita, che ogni giorno portavano alla porta del tempio, il luogo della preghiera, a chiederel’elemosina. Che fare? Quanti, come quell’uomo chiedono l’elemosina, chiedono cioè di esseraiutati, per le strade delle nostre città o davanti alle nostre chiese. Nella preghiera di quell’uomo sinasconde quella di un numeroso popolo di poveri, di anziani, di gente che non ha nulla, di famigliebisognose di tutto, di profughi da guerre e miseria, e molti altri. Chi li guarderà? Chi si fermerà adascoltare la loro supplica? La risposta di Pietro potrebbe sembrare non adeguata al bisogno diquell’uomo, eppure fu la risposta, perché i bisognosi e i poveri non si aiutano solo dando quantoessi chiedono. “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo,il Nazareno, alzati e cammina! Lo prese per la mano destra e lo sollevò”. Il Vangelo della Pasqua èuna forza di amore, è una parola che risponde al bisogno di vita, di guarigione dei tanti parte di quelpopolo, aiutandoci a prenderci cura di loro. Sì, possiamo superare la distanza dagli altri, da chi habisogno, guardando, avvicinandoci, dando la mano e sollevandoli dal loro dolore, dal male che liaffligge, con gesti e parole di speranza. Non sarebbe bello e umano un mondo così? I cristiani cicredono. Noi vogliamo crederci e per questo scegliamo di non scappare più davanti al bisogno e alladomanda di aiuto di un altro, come fecero il levita e il sacerdote della parabola del Buonsamaritano. Chi di noi non conosce qualcuno che avrebbe bisogno del nostro sguardo, di essereascoltato, delle nostre parole, della nostra cura? Non continuare a far finta di niente, maledicendo il tempo e il mondo, dando la colpa agli altri delle cose che non vanno, e rimanendo così triste e rancoroso, senza risolvere niente, come se il bene dipendesse solo dagli altri.Ma Gesù sa che facciamo fatica a fare questa scelta. Ci conosce. Sa che spesso camminiamodelusi e tristi, incapaci di alzare lo sguardo, di guardare oltre, oppressi dai nostri problemi e fatiche.Così si avvicina, come fece con i due discepoli che scendevano da Gerusalemme a Gerico. Oggi misembra di vedere il nostro santo patrono che cambia strada proprio per avvicinarsi a questa città e aognuno di noi, per aiutarci a credere in quell’amore in cui egli ha creduto, nel Vangelo della Pasqua,la buona notizia della Pasqua. Con Gesù si avvicina, ci parla, dialoga, ci chiede di spiegare la nostradelusione e la tristezza del cuore, e poi ci aiuta con le Sante Scritture, la Bibbia, quella parola di Dioantica con cui Dio Padre aveva parlato al suo popolo Israele e oggi in Gesù parla ancora a noi. Cosìci spiega con pazienza, e anche a noi comincia ad ardere il cuore, perché percepiamo il grandeamore che il Signore ha per noi e che vorrebbe noi vivessimo per essere un popolo fraterno, di genteche sa vivere insieme in modo rispettoso e pacifico, in cui tutti possano avere un posto e unadignità, quella che tutti trovano nella famiglia di Gesù, senza escludere nessuno.San Sisto, papa e martire, ci indica proprio questo. Papa, cioè segno di unità dei discepoli di Gesù– allora la Chiesa era unita – nella frammentazione di un mondo sempre più in guerra. Martire, unuomo che non ha rinunciato a credere che la fede nel Signore morto e risorto lo avrebbe salvatodalla morte eterna. Oggi si avvicina a noi, a questa città, a questa bella terra, per dirci: non averepaura, affidati al Signore, ascoltalo, e lui ti aiuterà, ti salverà e ti renderà forza di amore e di pace inun mondo che ama più la guerra della pace, ti darà lo sguardo per accogliere tutti come parte dellagrande famiglia umana, unita dall’amore di Dio e dalla tua responsabilità di renderla tale ognigiorno! Ricordati che troverai la felicità solo nel bene che saprai fare, nella scelta di prenderti curadegli altri, a cominciare da chi ha bisogno del tuo aiuto, del tuo ascolto, della tua parola, della tuatenerezza, della tua presenza amorevole. Signore Gesù, che ci hai dato San Sisto come amico epatrono, aiutaci con lui ad essere donne e uomini che profumano di pace e di amore per tutti! Amen
Il vescovo Ambrogio in Cattedrale: «La Pasqua un nuovo inizio per noi e le nostre comunità»
Questo il testo dell’omelia pronunciata dal vescovo Ambrogio nella Messa del giorno di Pasqua, celebrata nella Cattedrale di Anagni domenica 31 marzo 2024 —————————————————————- Sorelle e fratelli, l’annuncio della Pasqua giunse inaspettato, tanto che Maria di Magdala, e diseguito Pietro e l’altro discepolo, videro solo la pietra rotolata via dall’ingresso del sepolcro con iteli e il sudario, che avvolgevano il corpo di Gesù, posti nel sepolcro. Non sembra che avesserocapito, ma il Vangelo dice che l’altro discepolo “vide e credette”. Come e perché credette? Perchéaveva visto in quei teli stesi nel sepolcro che era avvenuto qualcosa di inaspettato, dei segni: ilSignore aveva vinto la morte. Sorelle e fratelli, a volte il nostro sguardo si ferma alla superficiedelle cose che vediamo, facciamo fatica ad andare nel profondo. Per questo spesso non si capisce lavita, il mondo, neppure noi stessi. Tutto è emozione, sentimento, superficie, sensazione, immaginiche passano veloci nel tempo di un WhatsApp. Davanti a quel sepolcro si deve entrare, vedere, conattenzione, e poi capire, anche se non c’è tutto già spiegato dall’inizio.È il discepolo più giovane, probabilmente Giovanni, che crede anche se non ha ancora incontratoil risorto. Ancora una volta un giovane, come nel racconto evangelico di Marco, letto nella Vegliapasquale. Lì è un giovane che annuncia alle donne impaurite che “Gesù non è lì, è risorto”.Generalmente siamo piuttosto come Pietro, un po’ increduli, e soprattutto non so se crederemmo aun giovane che ci parla di qualcosa di inaspettato e sconvolgente, quando fatichiamo persino adascoltare i giovani nelle cose normali.Abbiamo bisogno anche noi della Bibbia, la Parola di Dio, che ci aiuti ad entrare nella realtà diquanto è avvenuto, quelle Scritture di Israele che avevano parlato di un Dio che non avrebbepermesso che tutto finisse con la morte e che in Gesù di Nazareth realizzò quella parola. Sorelle efratelli, le Sacre Scritture, quelle che leggiamo nella Santa Celebrazione, e forse poco le meditiamopersonalmente e nelle nostre comunità, sono la via per entrare nelle profondità della storia e deglieventi, anche nella comprensione dell’azione di un Dio che aveva già parlato al suo popolo Israele eche oggi per mezzo del Figlio, parola di Dio fatta carne, continua a parlare anche a noi. Avevamoposto la Bibbia come guida per l’anno pastorale della nostra Diocesi. L’abbiamo presa sul serio?Essa è luce nella vita. È speranza nel buio del pessimismo e della delusione, come fu per i duediscepoli di Emmaus. È balsamo di guarigione per i poveri, gli anziani, i malati e i sofferenti. Èaccoglienza per chi è solo, escluso, straniero. È futuro per chi non lo vede e cammina comesonnambulo senza meta, accettando le cose come vengono, senza lottare e senza passione. È paceper i popoli in guerra – pensiamo soprattutto alla Terra Santa e all’Ucraina- ma anche per noi,perché impariamo a vivere come fratelli e sorelle invece di ostacolarci e contrastare gli altri comefossero sempre rivali. C’è bisogno di un lievito nuovo, che viene con la Pasqua. Il lievito era eliminato durante laPasqua ebraica, e il pane doveva essere azzimo, senza lievito, per ricordare quella Pasqua in Egittoprima della liberazione dalla schiavitù. Il lievito nuovo, sorelle e fratelli, ci è offerto dalla Pasqua dimorte e resurrezione del Signore, quel cibo che dà inizio a qualcosa di totalmente nuovo einaspettato. Sì, cari amici, con la Pasqua inizia un tempo nuovo per noi personalmente, per le nostrecomunità e per il mondo. Inizia il tempo della liberazione, della salvezza, quella che poi celebriamoogni volta con le nostre comunità, ascoltando la Parola di Dio e prendendo parte alla mensa delcorpo e del sangue di Cristo, l’Eucaristia. In essa scopriamo il segreto del nostro vivere insiemecome sorelle e fratelli, perché questa tavola ci libera dal nostro io e ci fa popolo, comunità, donne euomini che vivono in una fraternità universale, che nessuno esclude. Talvolta non crediamo chequesto sia possibile. Partecipiamo alla Santa Messa, ascoltiamo la Parola di Dio, prendiamo partealla mensa del suo corpo offerto per noi; ma che cosa cambia nella vita? La Pasqua è davvero unnuovo inizio. Lasciamoci ardere il cuore, come i due discepoli di Emmaus, da una Parola di vitaeterna che può cambiare noi stessi e il mondo, se la ascoltiamo, che può dare senso e speranza allanostra vita. Fidati! Puoi essere una donna e un uomo felice se accogli questo annuncio. Non ti tirareindietro! Non dire: sono quel che sono; oppure: ho già i miei problemi, non ho tempo per altro e peraltri. Nella Pasqua tutto si rinnova. Ma devi continuare a camminare insieme, con gli altri, acondividere la tua vita con i poveri e i bisognosi, ad essere parte di un popolo di donne e uomini chesiano segno di fraternità e di pace in questo mondo di guerre e di tanto odio e rabbia. Sii allora lucedi amore e di pace, di fraternità e di speranza per tutti, dai piccoli ai vecchi, dai poveri ai ricchi, dachi ti è amico a chi non ti vuole bene. Ecco la Pasqua, vero inizio di un tempo nuovo per te e per ilmondo intero. Grazie, Signore! Tu che hai vinto la morte, vinci le tenebre della guerra e dell’odio edona al mondo quella pace che non sa darsi da solo! Libera i cuori dalle incrostazioni di odio edall’inimicizia. Fa che tutti vedano nell’altro la tua immagine, quell’umanità che rende tutti fratellie sorelle! Padre Onnipotente, forza di vita, rendici discepoli del tuo Figlio, morto e risorto per noi,principio di vita nuova! Spirito Santo Amore, entra nei nostri cuori e trasformali con la potenza deltuo alito di vita! Amen! Alleluia!
Il messaggio del vescovo: «La Pasqua è pace. E si è felici se ci prendiamo cura gli uni degli altri»
Buona Pasqua a tutti. Abbiamo bisogno di buone notizie in questo tempo difficile, di grande sofferenza e violenza. E la buona notizia è il cuore del Vangelo: il Signore è risorto e ha vinto la morte. Questo Vangelo ci dà speranza, ci fa guardare al futuro, liberandoci dalla tristezza e dalla paura. Chi vive prigioniero della paura, finisce per credere che non si può vincere il male. Ma il male e persino la morte non sono la parola definitiva sull’esistenza umana. Gesù, dopo la resurrezione, appare ai suoi amici con le ferite della croce e chiede al discepolo Tommaso di toccare le sue piaghe; solo così l’apostolo avrebbe capito che queste piaghe sono segno di una ferita, di cui qualcuno si deve prendere cura. Anzi, proprio la fede nel risorto potrà essere l’inizio della cura: un invito incessante a non vivere per te stesso, per il tuo “io”, ma a considerarti parte di una relazione, di un “noi” di donne e uomini, a cominciare da coloro che incontri ogni giorno, e poi dai sofferenti e dai poveri. Il mondo è popolato di tanti “io” che, invece di lavorare insieme, si combattono. I discepoli e le donne, che, nonostante l’incertezza, la paura, i dubbi e l’incredulità, avevano seguito Gesù, dopo la Pasqua compresero, almeno, che si doveva stare insieme. Quelli che seguivano Gesù non erano pii israeliti, tutti perfetti e religiosi. C’erano donne peccatrici, c’era Levi il pubblicano, considerato peccatore perché riscuoteva le tasse per conto dei romani, c’era una folla di poveri e malati, c’erano fratelli focosi come Giacomo e Giovanni. Anche Pietro aveva sempre le sue ragioni. Persino Giuda, il traditore, non fu rifiutato da Gesù, che al momento dell’arresto continuò a chiamarlo amico: il Messia credeva all’amicizia. Nicodemo, che lo aveva incontrato di notte, perché si vergognava di farsi vedere dagli altri (come quando magari ci vergogniamo di dirci cristiani!), poi però lo difende e si presenta alla sua sepoltura insieme a un altro pauroso, Giuseppe d’Arimatea. Avevano capito che, in quell’uomo, c’era una risposta alla loro ricerca di saggezza. Gesù non ha bisogno di perfetti, tanto meno di maestri, ma di discepoli, gente comune, diversi tra loro, ma che accettano di essergli amici. Infine, la Pasqua è “pace”. Gesù lo dice più volte, dopo la resurrezione: “Pace a voi!”. È paradossale! Invece di prendersela coi discepoli, come faremmo noi, quando qualcuno ci offende o ci lascia soli nel bisogno, egli si presenta loro dicendo: “pace”. Sì, c’è bisogno di pace in un tempo che accetta la guerra come l’unica via alla pace, abbandonando la via del dialogo, e crescono le armi, il grande affare che va a gonfie vele sul mercato, mentre la distruzione, la morte, i poveri e le ingiustizie aumentano. Gesù ripete “pace” davanti alla normalità della rabbia e dell’odio. Che la sua pace vinca ogni freddezza, ogni indifferenza, ogni violenza e cambi il nostro povero mondo. Insegnandoci che si è felici se ci prendiamo cura gli uni degli altri. Senza escludere nessuno. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e Anagni-Alatri Questo messaggio è stato pubblicato sul quotidiano Ciociaria Oggi nell’edizione di domenica 31 marzo 2024
Il vescovo alla Messa Crismale: “I cristiani segno di unità e umanità”
«Il mondo ha bisogno dei cristiani: di donne e uomini che sappiano essere segno di unità e umanità». Così il vescovo Ambrogio Spreafico nell’omelia della Messa Crismale, celebrata nel pomeriggio di mercoledì 27 marzo nella Basilica Abbazia di Casamari, alla presenza del clero della nostra diocesi e di Frosinone-Veroli-Ferentino, le due Chiese unite in persona episcopi. QUESTO IL TESTO COMPLETO DELL’OMELIA: Sorelle e fratelli, cari don Alberto e don Nino, e caro padre Abate Loreto, cari sacerdoti, diaconi, donne e uomini che con noi formate questo popolo santo, radunato dalla misericordia di Dio, che soprattutto in questa settimana riscopre la grazia di esserne parte, celebrando con tutta la Chiesa il cuore della sua vita di fede. Non sempre ne siamo consapevoli. Il mondo ci abitua all’io, ci induce a cavarcela da soli, finché ce la facciamo, a cercare ogni giorno affannosamente la via della felicità. Eppure, il Signore non smette di parlarci, di radunarci, di farci sentire la tenerezza della sua presenza, la forza del suo amore. Cari sacerdoti, il Signore ci ha chiamati e consacrati nonostante la nostra indegnità. Il suo Spirito è sceso su di noi perché fossimo profeti nel mondo e in ogni tempo, mandati come quel profeta che viveva in un tempo difficile del suo popolo, ad essere ministri della grazia di Dio, del suo amore per i poveri e i miseri, nei quali egli stesso si è identificato e sul cui amore saremo giudicati. È una grande missione anche oggi. È la nostra missione, anzitutto dei sacerdoti, ma anche di tutti noi, popolo di Dio e segno di unità della famiglia umana. Dovremmo riscoprirla ogni giorno come un grande dono di cui lo Spirito di Dio ci ha rivestito. Questa consapevolezza ci aiuterebbe ad essere “uno” in lui, e non individui che fanno tanta fatica a vivere gli uni con gli altri e per gli altri, a volte chiedendo attenzione e riconoscimenti, invece di essere strumento di unità. Le guerre, la corsa alle armi, la violenza del terrorismo, la violenza della vita di ogni giorno anche nei luoghi che abitiamo, l’incapacità delle nazioni a dialogare e a cercare vie di pace, l’esclusione dei poveri, l’indifferenza e l’abitudine ad accettare come normale l’odio, il litigio, il giudizio, la rabbia, non dovrebbero indurci a una ribellione interiore e a una rinnovata presa di coscienza della missione che ci è affidata? Invece, a volte perdiamo tempo in quisquiglie, in inutili quanto sciocche discussioni e prepotenze, cercando il proprio ruolo, talora insoddisfatti di ciò che uno vive oggi e alla ricerca di chissà quale spazio di felicità. Desideriamo che gli altri cambino, ma troppo poco ci poniamo la domanda del cambiamento di ciascuno di noi. Oggi il Signore ci rinnova il suo dono con generosità e fiducia. Il mondo ha bisogno dei cristiani, di donne e uomini che siano strumento di fraternità e unità, di benevolenza e speranza, luce di pace e di amore. Ha bisogno di noi suoi ministri. La Memoria della Cena del Signore, che celebreremo domani in tutte le nostre comunità, sia quella tavola della fraternità che veda noi sacerdoti pronti a distribuire quel cibo santo che sazia la fame di amore e di fraternità di ogni uomo e ogni donna. E gli oli santi, che consacreremo e benediremo, possano accompagnare la vita di tanti esseri umani dalla nascita alla morte, segnando la luce della presenza di Dio nella loro vita. Siamo come l’olio versato da quella donna durante l’ultima cena, olio di tenerezza, di amore, con cui lenire il dolore di un uomo che stava per essere messo a morte. Quanto ha bisogno il mondo di questo olio, che unito al balsamo che profuma, lenisce e guarisce le ferite del dolore e dell’abbandono! Non lasciamoci perciò prendere dal solito pessimismo delle statistiche, che vorrebbero indurci a celebrare il declino della Chiesa: pochi battesimi, pochi matrimoni, poche vocazioni; e così via. La tentazione è di ritirarsi in buon ordine o di gestire ciò che è rimasto, magari pensando che bisogna cambiare le strutture senza cambiare lo spirito o cercando uno spazio tranquillo a propria misura senza troppo affannarsi. Quanto è triste vivere così, soprattutto per chi come noi ha ricevuto una missione per il mondo! Oggi, cari amici, è tempo di svegliarci dal sonno, è tempo di farci toccare dalla Parola di Dio, da quel Vangelo del Signore crocifisso e risorto, che ci manda come pecore in mezzo ai lupi, alla violenza e all’odio. Rileggiamo con Gesù quel rotolo del libro di Isaia, che contiene le parole della nostra missione e la grazia per poterla realizzare. E la missione è sguardo verso il futuro, mai schiacciati dal presente. La missione cristiana è visione! Siamo insieme le due diocesi di Anagni-Alatri e di Frosinone-Veroli-Ferentino con i nostri sacerdoti, i diaconi, le consacrate e i consacrati, i nostri seminaristi. Sono certo che sono unite a noi le nostre claustrali, parte così preziosa del nostro popolo. Non è la prima volta. Diversi momenti di riflessione e di preghiera ci hanno visto insieme in questi mesi. Ringrazio tutti voi che avete lavorato fraternamente con generosità. Siamo un popolo multiforme, ma vorremmo essere davvero il popolo unito dall’alleanza che il Dio d’Israele ha suggellato con noi per mezzo della morte e resurrezione di Cristo. Le promesse che voi sacerdoti rinnoverete davanti al vescovo sono un impegno a vivere con passione, entusiasmo e generosità la missione che questa alleanza nel sangue di Cristo ci affida. Ci accompagni sempre la preghiera e la meditazione delle Sante Scritture, scrigno prezioso della saggezza che viene da Dio. E il nostro operare sia segnato dall’amicizia, dal rispetto, dalla condivisione con i tanti uomini e donne che con generosità e fedeltà formano con noi questo popolo santo. Tutti servi umili e pazienti, nessuno padrone! Uno solo è il Signore e il Maestro, noi tutti fratelli e sorelle. Il Cammino sinodale, che le nostre due diocesi stanno continuando con impegno, ci aiuti a crescere nella condivisione e nella testimonianza di unità. Sorelle e fratelli, viviamo con gioia