La riflessione che segue scaturisce dal vissuto della recente Giornata mondiale della Gioventù di Lisbona e dalla “spedizione” congiunta dei giovani delle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino; è stata scritta da suor Silva Jaku, religiosa salvatoriana che presta servizio pastorale a Porrino, e da Simone Recine, un giovane di Ceccano, entrambi facenti parte per l’appunto del gruppo dei pellegrini delle due diocesi presente a Lisbona.
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In una società che tende a viaggiare sempre più in fretta e freneticamente per arrivare chissà dove, ci sentiamo trasportati continuamente da pensieri, emozioni e modelli di riferimento che ci fanno perdere di vista la dimensione umana… Si vale fin quando si produce, si è funzionali, utili e riconosciuti. La vita è diventata un palcoscenico in cui mettere in mostra sé stessi. Purtroppo, il giovane molte volte, non riuscendo ad essere all’altezza delle aspettative del “palcoscenico”, non trova il proprio posto in un mondo che aliena i desideri e spaventa le scelte definitive, ossia: una propria identità umana e tantomeno missionaria. La paura di costruire un futuro che rispecchia l’unicità che Dio mette in ognuno di noi, di mettersi in gioco e a sua volta fare scelte radicali, viene così relegata alla decisione di qualcun altro. E così ciao mamma, vado a vivere in convento diventa una provocazione alla riflessione su un senso più profondo di vita, in cui diventa distante e goliardico il pensiero che la propria esistenza possa essere influenzata da un Dio vicino all’uomo.
Alla luce di tutto ciò, viene da domandarsi cosa sia il vero “progresso” in una società in cui domina l’insicurezza, la paura e l’indecisione di un domani migliore. La verità è che il cuore dell’uomo e dei giovani è sempre alla ricerca di una scintilla d’amore, ma siamo influenzati ripetutamente dai discorsi degli “adulti” sulla percezione del mondo materiale… Come può diventare realtà donare intimamente la vita per sempre a Qualcuno?
In un tempo in cui la Chiesa viene vista da qualche parte come piuttosto funzionale e non profetica, viene allora da chiedersi se vale ancora la pena dire: ciao mamma, vado in convento…
In questo contesto la donazione definitiva deve essere legata strettamente con la Chiesa di Cristo che è faro della felicità vera e duratura. Ognuno di noi dovrebbe porsi la domanda se vale veramente la pena di prendere il largo nel cammino dell’incertezza, lasciare il porto “sicuro” per un qualcosa di superiore e diventare a nostra volta faro di speranza nei cuori delle persone in ricerca. Quando pensiamo alla missione non dovremmo identificarla con i riti, la burocrazia e i pregiudizi ma con la realtà concreta di un amore che porta alla pienezza, alla totalità del compimento del disegno di Dio scritto dentro di noi da sempre, perché solo Dio è la via, la verità e la vita.
Allora alziamoci in fretta come Maria… Tu sei il sogno di Dio!