I Santi patroni
San Magno
Originario di Trani, dove nacque alla fine del II secolo. Da ragazzo si convertì al Cristianesimo; fu battezzato dal vescovo Redento e convinse anche il padre Apollonio a fare lo stesso. Divenuto più tardi vescovo di Trani, fu costretto alla fuga a causa delle persecuzioni contro i Cristiani. In viaggio verso Roma seguendo la Via Latina per venerare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo predicò il Vangelo in molte città del Lazio, tra cui Anagni dove battezzò Santa Secondina.
I soldati incaricati della persecuzione dei Cristiani (ordinata dall’imperatore Decio) trovarono Magno in una grotta nei pressi di Fondi, insieme a San Paterno e ad altri cristiani rifugiati nelle grotte vicine. Essi, come costume romano, tentarono di costringere il vescovo ad abbandonare la religione cristiana e ad eseguire dei sacrifici in onore degli dei pagani. Magno chiese ed ottenne di pregare per l’ultima volta nella cappella e tre giorni dopo, quando i soldati arrivarono per prenderlo, lo trovarono morto ai piedi dell’altare. Nondimeno, portarono il corpo alla non lontana Fabrateria Nova, nei pressi di Ceprano, dove lo decapitarono. Era il 19 agosto dell’anno 251.
I suoi resti furono traslati da un certo Platone a Veroli, dove fu sepolto nella cripta della Basilica di Santa Sàlome. Nel corso del IX secolo, durante le invasioni dei Saraceni, un gruppo di Arabi capitanati dallo sceriffo Muca, occuparono Veroli e usarono senza riguardi la cripta dove era custodito il corpo di San Magno come stalla per i loro cavalli. Il mattino successivo, tornando alla cripta, trovarono tutti i cavalli morti ed attribuirono l’avvenimento ad un artifizio operato dal santo per far rispettare la sua tomba. Profanarono allora il sarcofago e buttarono i resti del santo fuori dalla chiesa. Muca però, sapendo della devozione degli abitanti di Anagni per la figura di San Magno, fissò la vendita delle reliquie ad un prezzo altissimo, in oro. Gli Anagnini accettarono ed il corpo di san Magno venne accolto nella città e sepolto nella cripta, che costituisce il fulcro originario della Cattedrale. All’interno di essa, saranno in seguito dipinti la storia delle persecuzioni, la morte ed il suo trasporto ad Anagni, oltre a 5 miracoli avvenuti dopo la sua tumulazione.
La tradizione popolare racconta come attraverso varie apparizioni, venisse ritrovato il suo corpo durante la demolizione della vecchia chiesa di Anagni e come il santo più volte si manifestasse al vescovo Pietro da Salerno esortandolo a portare a termine la costruzione della nuova cattedrale. A lui sono dedicati molti affreschi nella cripta della cattedrale e non è un caso che l’altare a lui dedicato ed in cui sono conservate le sue reliquie, occupi uno spazio importante, cioè l’area dell’abside centrale della chiesa sotterranea.
San Sisto
Papa Sisto I, era figlio di un certo Pastor, romano della regione di via Lata. Il suo nome, Xystus, probabilmente di origine greca, è stato in seguito erroneamente confuso con Sistus (che ne ha proseguito la numerazione) in riferimento al fatto che fu il sesto successore di Pietro.
Secondo il Catalogo Liberiano dei papi, svolse il suo pontificato sotto l’imperatore Adriano, «a consulatu Nigri et Aproniani usque Vero III et Ambibulo» («dal consolato di Nigro e Aproniano a quello di Vero III e Ambibulo»), ovvero dal 117 al 126.
Lo storico Eusebio di Cesarea invece, in due scritti diversi riporta due periodi diversi: nel Chronicon dice che fu papa dal 114 al 124, mentre nell’Historia ecclesiastica afferma che regnò dal 114 al 128. In ogni caso, tutti gli studiosi concordano sul fatto che regnò circa 10 anni.
Secondo il Liber Pontificalis, durante il suo pontificato emanò 3 disposizioni:
- nessuno, ad eccezione dei ministri del culto, durante la consacrazione può toccare il calice e la patena;
- i vescovi che si sono recati presso la Santa Sede, al loro ritorno nella diocesi devono presentarsi con una lettera apostolica che conferma la loro piena comunione con il successore di Pietro;
- dopo il Prefazio della messa il sacerdote deve recitare il Sanctus con l’assemblea.
Al periodo del suo papato forse, risalgono le prime divergenze tra la Chiesa di Roma e le chiese d’Oriente. Infatti si ha notizia da Ireneo di Lione che papa Sisto I non impose alla Chiese che celebravano la Pasqua secondo il calendario giudaico, cioè il giorno 14 del mese di Nisan, di cambiare data seguendo la prassi della Chiesa di Roma.
A lui furono attribuite due lettere, sulla dottrina della Trinità e sul primato del vescovo di Roma, che sono considerate apocrife.
Alla sua morte, il suo corpo fu inumato nella Necropoli vaticana.
Il Catalogo Feliciano dei Papi e i vari martirologi lo citano come martire, ma poiché non vi sono dettagli sul tipo di martirio, né altri documenti, il Calendario Universale della Chiesa attualmente non lo annovera nell’elenco dei martiri.
Secondo l’Historia Allifana dell’abate Alessandro Telesino, nel dicembre 1131, il nobile normanno Rainulfo de Quarrel Drengot, conte di Alife (feudatario anche di Caiazzo, Sant’Agata dei Goti, Airola, Avellino, etc.) si trovava a Roma, alla corte del neoeletto antipapa Anacleto II (Pietro Pierleoni), la cui elezione stessa era stata appoggiata dai Normanni, di contro a quella del papa ufficiale Innocenzo II (Gregorio Papareschi), eletto qualche mese prima.
In quel periodo la città e la contea di Alife erano attanagliate dalla peste che mieteva vittime in tutta la vallata. Per questo Rainulfo, approfittando della sua amicizia con Anacleto, gli chiese le reliquie di un «gran santo» affinché potesse portarle nella sua contea e per intercessione del quale avrebbe chiesto al Signore di far cessare il morbo. Anacleto, nonostante l’amicizia, non si dimostrò molto ben disposto ma proprio mentre il conte era in udienza, arrivò la notizia che nella basilica di San Pietro si era spezzata la trave di una navata laterale finita poi sull’altare contenente le spoglie del pontefice Sisto I, scoperchiandolo. Per tale motivo l’urna che conteneva il corpo del pontefice fu temporaneamente tolta dal luogo in cui da secoli riposava (per permettere il ripristino dell’altare) e affidata alla custodia di Anacleto. L’avvenimento fu dai credenti considerato un segno del fatto che san Sisto I avesse accolto la richiesta di Rainulfo per essere portato dove c’era più bisogno del suo patrocinio. Nel gennaio 1132 Anacleto, segretamente, consegnò le spoglie al conte Rainulfo.
Il racconto della traslazione delle reliquie è comune sia alla tradizione di Alatri che a quella di Alife, almeno finché Rainulfo ripartì da Roma per dirigersi ad Alife. La leggenda alatrense, invece, propone una variazione storicamente non documentata quanto quella alifana che vorrebbe che il conte Rainulfo, partito con un gruppo di vetturiali alifani, mandò avanti un legato a cavallo affinché annunziasse in tempo debito l’arrivo del sacro deposito ai nobili della città, al clero e, soprattutto, al vescovo dell’epoca che si chiamavano Roberto e in modo che si potesse preparare una degna accoglienza. L’11 gennaio, durante il trasporto delle reliquie, la mula percorreva la via Latina in direzione di Alife: superata la città di Anagni, arrivò ad un bivio dove s’impuntò a svoltare a sinistra, volendo a tutti i costi dirigersi per un’impervia strada in salita che portava all’antica città di Alatri. Il gruppo che scortava l’animale non fu capace di far cambiare direzione all’animale, né con le buone e nemmeno con le bastonate per cui, vedendo in questo atteggiamento dell’animale un ulteriore segno di San Sisto, la lasciarono senza redini e la seguirono. La mula camminò per un bel tratto, lontano dalla via principale, giungendo fin sotto le mura della città di Alatri, fermandosi prima nei pressi dell’Ospedale di San Matteo e dirigendosi poi verso la cattedrale davanti alle cui porte si inginocchiò. La leggenda di Alatri, vuole che agli alifani di scorta, addolorati per la deviazione non programmata, fu dato solo un dito del Santo e che ritornarono mesti, ad Alife. E questa è la versione della tradizione alatrese, in base alla quale ogni nuovo vescovo di Anagni-Alatri, all’atto della prima visita ufficiale, deve montare una mula all’ingresso della città e salire fino alla Cattedrale. La leggenda alifana, invece, non parla affatto della deviazione di percorso fatta dall’animale, ma che la mula arrivò ad Alife nel luogo dove oggi sorge la chiesa di San Sisto Extra Moenia: qui la mula s’inginocchiò su un sasso e, in un bagliore di luce sacra, lasciò impressa su quella pietra l’impronta del suo ginocchio (quel sasso è ancor oggi conservato in quel posto preciso). Sempre secondo la leggenda, non appena le reliquie di san Sisto arrivarono nei pressi delle mura di Alife, immediatamente cessò la peste e il conte, felice di aver fatto questo grande dono agli alifani, immediatamente ordinò la costruzione di una cattedrale, affinché le reliquie fossero accolte, conservate e venerate.
Dal medioevo, fino a pochi anni or sono, la questione delle reliquie ha diviso le città di Alife e di Alatri, ognuna delle quali riteneva di detenere per intero il corpo di San Sisto. Recenti studi condotti sia ad Alife che ad Alatri negli anni ’80, sono del parere che entrambe le città hanno il 50% del corpo del Santo.
E così, dopo aver effettuato anche un gemellaggio nel 1984 tra le due diocesi, la comune devozione per il santo pontefice Sisto I ha fatto sì che un gruppo di alifani si rechi in visita ufficiale ad Alatri il mercoledì in Albis e, allo stesso modo, gli Alatresi si rechino ad Alife nel pomeriggio del 10 agosto per trattenersi ad Alife durante i giorni della festa.
Le reliquie di S. Sisto sono conservate nella Concattedrale di S. Paolo entro un’urna di piombo antichissima, sul cui coperchio vi è incisa la scritta: “HIC RECONDITUM EST CORPUS XYSTI PP. PRIMI ET MARTIRIS” La ricorrenza della venuta del Santo si festeggia ad Alatri l’11 gennaio con una solenne funzione religiosa, mentre, il mercoledì dopo Pasqua, l’imponente statua è portata in processione per le strade della città. Il motivo del “doppio festeggiamento” è da ricercarsi in un avvenimento storico. Nell’anno 1186, Alatri è assediata dalle truppe di Arrigo VI, figlio di Federico Barbarossa. Dopo nove giorni di resistenza i viveri e le forze cominciano a mancare e gli alatrini vanno a prostrarsi innanzi al loro Patrono San Sisto per invocare aiuto e protezione. Dopo fervide preghiere, si sentono animati da gran forza d’animo e riunite le forze, si scagliano come leoni contro il nemico, che si da a vergognosa fuga verso la vicina Guarcino, non resistendo all’attacco. Tutti attribuirono a San Sisto l’onore della vittoria, ed essendo il fatto accaduto nel mercoledì dopo la Santa Pasqua, decretarono che d’allora in poi quel giorno dovesse essere consacrato al loro Santo Protettore e ritenuto il più importante dell’anno. S. Sisto “gode” dunque di ben due feste, entrambe avvertite profondamente dal popolo alatrense.
Ad Alatri si conserva una grande effigie di San Sisto, il cui volto argentato fu disegnato nel 1584 da mons. Ignazio Danti.