Donne e uomini di ascolto: così l’arcivescovo Santo Marcianò ha definito – nella sua Lettera che trovate sempre su questo sito – i consacrati alla vita contemplativa, indicando la ricchezza spirituale che arriva da questo territorio, con i suoi monasteri. Prendendo spunto dalla Lettera, iniziamo – con questo primo articolo dedicato alle Benedettine di Alatri – un piccolo viaggio nelle realtà claustrali della nostra diocesi, ma anche, più in generale, nelle comunità di vita consacrata maschili e femminili.
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Ad Alatri, nel cuore del centro storico, sorge il monastero dell’Adorazione Perpetua del Santissimo Sacramento, delle monache Benedettine, fondato da madre Mectilde de Bar. Un luogo inaccessibile ma, allo stesso tempo, frequentato da tante persone che da sempre colgono nella presenza di queste monache un punto di sicurezza e di ascolto. È il primo paradosso del monastero che, pur nella sua regola, è capace però di non chiudersi al mondo ma, anzi, di conoscerlo e aiutarlo con uno stile alternativo. Un porto di terra che accompagna la vita della città in modo discreto e silenzioso, costante e dolce, nelle ore del giorno come in quelle della notte.
Il telefono del monastero squilla spesso e la voce tenue delle monache è pronta a farsi carico delle preghiere che quotidianamente la gente richiede loro. C’è chi chiede preghiere per i figli, per i malati, per il lavoro, per la pace, per gli anziani e per le gravidanze. Capita che al tramonto, quando il paese è più silenzioso, si possa ascoltare il suono della campana che chiama le monache alla preghiera, oppure vederle, dai palazzi del centro storico, trafficare tra la biancheria e l’orto che alimenta la cucina della piccola comunità monastica.
Qui, a due passi dalla piazza di Santa Maria Maggiore, notte e giorno da oltre 500 anni le monache si alternano nella preghiera davanti al Santissimo Sacramento che mai viene lasciato solo. Si coglie, tra i corridoi del monastero e le navate della chiesa, una presenza eucaristica che riesce a parlare anche a chi distrattamente si trova ad imbattersi negli sguardi delle religiose o negli ambienti come il chiostro, che spesso vengono aperti in un clima di preghiera e di cultura tipica dell’identità benedettina. In un tempo come il nostro dove l’apparenza, con la produzione di immagini e foto, “riempie” le nostre giornate, e in una società che parla di tutto e su tutto senza mai poi dire parole vere e nuove, il monastero è paradossalmente un luogo capace di comunicare stupore, e ricerca, domande e sete di verità. Poche cose, poche cose da postare ma sguardi da cogliere, parole da ascoltare, gesti da custodire.
Sui gradini del monastero capita di vedere la sera gruppetti di ragazzi che forse, a ben guardare, seppur inconsapevolmente colgono lì una presenza, e un mistero, calore e ricerca. Le monache da circa 5 secoli accompagno la vita della comunità di Alatri con la preghiera e un servizio costante di ascolto e supporto. È il monastero uno spazio e un luogo che crea non una distanza ma, al contempo, un ritrovo.
Attorno alla monache e al monastero è come se per la città si creassero le condizioni per recuperare non solo il senso del sacro, ma anche quello dell’uomo. I toni dei discorsi sono più miti, il dialogo prende forma, le distanze di accorciano. Le monache di clausura in questi anni sempre di più hanno cercato il dialogo col mondo, con i giovani soprattutto, aprendo a forme di comunicazione nuove senza mai svendere nulla della propria proposta. Sole di fronte all’unico continuano a dire che è il cuore dell’uomo il luogo da aprire e che solo in Dio l’uomo coglie veramente sé stesso.
di Gabriele Ritarossi

