Preghiera ecumenica: la riflessione del vescovo Ambrogio
(Preghiera ecumenica, Tecchiena 24 gennaio 2025) Sorelle fratelli, è sempre motivo di gioia trovarci insieme in questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.Quanto bisogno di unità c’è non solo tra i discepoli di Gesù, ma nel mondo, segnato da troppedivisioni, conflitti, da una montagna di odio che rende difficile vivere insieme. Siamo chiamati ariscoprire la forza della fede, che ci vede insieme nella professione del Credo niceno-costantinopolitano, riconosciuto da tutti i cristiani come norma del nostro credere, proprionell’anniversario del Concilio di Nicea.Che cosa significa che la fede ha una sua forza di vita? Nel mondo la forza è ben altro. E’ la forzadei potenti, di coloro che esibiscono il loro io per sottomettere gli altri, per dominare. E’ la forza deldenaro che corrompe, che umilia i poveri, che distrugge il creato sfruttando le sue risorse in modorapace, provocando ingiustizie e disuguaglianze, illudendo che solo con la ricchezza si vive felici.Per questo il mondo ha bisogno dei cristiani e della loro fede. La fede è una forza di vita, disperanza e di amore. È la prima delle virtù teologali, proprio perché chi pone la sua fiducia in Dioriceve una forza che da solo non avrebbe mai.Lo scrive la Prima Lettera di Pietro: “Dio vi custodisce nella fede con la sua potenza, fino aquando vi darà la salvezza, che sta per manifestarsi negli ultimi tempi. In questa attesa siate ricolmidi gioia, anche se ora, per un po’ di tempo, dovete sopportare difficoltà di ogni genere”. La forzadella fede è gioia anche nelle difficoltà, nelle paure e nelle fatiche di questo tempo. Come viverequesta gioia, che non viene dalla solitudine dell’io, ma dalla condivisione con le nostre comunitàdella preghiera, dell’amicizia, della solidarietà? Si cerca ancora troppo la felicità nella solitudinedell’io e dei simili al nostro io. Così si creano tante divisioni, invece di vivere quella fede chedovrebbe essere il fondamento della vita di ognuno e del nostro essere popolo, comunità, nelladifferenza delle nostre espressioni di fede.Vorrei indicare due aspetti che possono aiutarci a condividere la gioia con il nostro popolo didiscepoli di Gesù. Il primo lo indica il libro del Deuteronomio: “Ascolta, Israele”. “Ascolta” è ilfondamento della nostra vita. Noi ascoltiamo il Signore che ci parla oppure la sua parola non entranel nostro cuore e non diventa il nostro pensiero, le nostre parole e le nostre scelte? Quando nellenostre giornate incontriamo gli altri, quando espletiamo il nostro quotidiano lavoro, la Parola di Dioche ascoltiamo ci accompagna nelle scelte o tutto rimane prigioniero delle abitudini e non cambia lanostra umanità e ciò che diciamo e facciamo?Poi, secondo aspetto. Tommaso, quando Gesù appare ai discepoli riuniti, non era presente.Chissà! Avrà avuto da fare, avrà avuto i suoi impegni, forse avrà avuto un imprevisto. Capita anchea noi. Insomma, c’è sempre un motivo per giustificarci e non essere presenti nelle nostre comunità.Qual è il problema? Si dice. E si aggiunge: ci sono altri che non ci sono quasi mai! Gesù, sorelle efratelli, appare alla comunità riunita. Se lo vuoi riconoscere, accogliere, ascoltare, devi essercisempre anche tu, altrimenti la tua fede si indebolisce, perché la fede vive e cresce in un popolo, nonè mai solo una questione individuale, una faccenda tra me e Dio. Infatti, Tommaso per riconoscereGesù risorto deve tornare in mezzo a quei discepoli. In fondo, era mancato solo una volta, ma quellavolta fu decisiva. Ecco il senso del nostro essere insieme per la celebrazione dell’Eucaristia, il culto,la preghiera, l’incontro.Riscopriamo, sorelle e fratelli, la forza delle fede nella condivisione della nostra vita con le nostrecomunità, per poter essere donne e uomini felici e aiutate gli altri a incontrare il Signore Gesù,nostro maestro e pastore, così da rispondere alla forza violenta del male con la mitezza e l’amore,per costruire un mondo fraterno e pacifico. E continuiamo a pregare per la pace ovunque i conflittiseminano distruzione dolore, morte.
Famiglie e giovani incontrano Beatrice Fazi: attrice, mamma, donna di speranza
Attrice, moglie – sposata con l’avvocato Pierpaolo Platania – e madre di 4 figli (Marialucia, Maddalena, Giovanni e Fabio), Beatrice Fazi sarà ospite domenica 26 gennaio a Frosinone (auditorium diocesano, viale Madrid, accanto alla chiesa di San Paolo, con inizio alle 16) di un incontro-testimonianza organizzato dagli Uffici di pastorale familiare e pastorale giovanile delle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino. Impostasi all’attenzione del grande pubblico con il simpatico personaggio di Melina, nella fiction “Un medico in famiglia”, Beatrice Fazi, 52 anni, non è rimasta imprigionata in quel ruolo che pure le ha dato una grande popolarità, ma ha poi percorso una parabola professionale ascendente anche a teatro, mentre attualmente è su Tv2000, conduttrice della trasmissione di cucina “Quel che bolle in pentola”. Nell’incontro di domenica, Beatrice Fazi darà conto pure del suo percorso di fede, dalla conversione iniziale alla continua ricerca, messo nero su bianco anche nel libro “In cerca di un cuore nuovo” (edito da Piemme e che, seppur uscito da alcuni anni, viene continuamente ristampato), così come racconterà del vissuto in famiglia “piccola Chiesa domestica”, del rapporto tra coniugi e di questi con i figli. E proprio ai suoi figli, come ha raccontato di recente in una intervista al settimanale “Credere”, dice spesso: «La nostra famiglia deve essere una palestra perché voi siate delle persone degne, capaci di fare qualcosa di nobile, di bello, di grande. Non perché debbano diventare “qualcuno”, ma perché capiscano che la vita è un servizio, che non viviamo per noi stessi, che abbiamo proprio l’obbligo di fare migliore questo mondo, di partecipare». Igor Traboni
Preghiera ecumenica interdiocesana
Le diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino si apprestano a celebrare l’annuale preghiera ecumenica, nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il tema scelto per il 2025 è “Credi tu questo?” (Giovanni 11, 26) e l’appuntamento è per venerdì 24 gennaio alle 20.30, presso la chiesa San-ta Maria del Carmine a Tecchiena di Alatri. La preghiera ecumenica sarà presieduta dal vescovo Ambrogio Spreafico e vi parteciperanno i fedeli e i delegati delle Chiese presenti nel territorio delle due diocesi. Il Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani ha messo a disposizione i testi in inglese della Settimana di preghiera, che si possono scaricare dal relativo sito internet. Come di consueto, un gruppo internazionale nominato congiuntamente dal Dicastero e dalla Commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese ha lavorato sul materiale insieme ai redattori, per finalizzarlo. Considerato il significato ecumenico del 2025, sono stati inseriti anche brevi testi patristici, per lo più del primo millennio, per offrire uno spaccato della riflessione cristiana dell’epoca e per aiutare a situare le definizioni del Concilio di Nicea nel contesto in cui hanno avuto origine e dal quale sono state influenzate. Le risorse possono essere utilizzate in vari modi e sono concepite non solo per la Settimana di preghiera, ma per tutto l’anno 2025.Il 2025 segna infatti anche il 1.700° anniversario del primo Concilio ecumenico, quello di Nicea per l’appunto, convocato e presieduto dall’imperatore Costantino I, il quale intendeva ristabilire la pace religiosa e raggiungere l’unità dogmatica, minata da varie dispute, in particolare sull’arianesimo. Questa commemorazione offre un’occasione unica per riflettere e celebrare la fede comune dei cristiani, così come è stata espressa nel Credo formulato in quel Concilio. La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2025 è un invito ad attingere a tale eredità comune e ad approfondire la fede che uniscetutti i cristiani. Igor Traboni
Sinodalità e unità dei cristiani nell’incontro diocesano sull’ecumenismo
«Una sinfonia di tutti, alcuni, uno: così ha descritto il cammino attuale della Chiesa, monsignor Juan Usma (nella foto, durante il suo intervento) del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, invitato a parlare nella parrocchia del Sacro Cuore di Laguccio domenica 19 gennaio, a un bel numero di partecipanti, per l’incontro diocesano promosso dall’Ufficio per il dialogo ecumenico della diocesi di Anagni-Alatri. Mons. Usma ha ripercorso le fasi progressive dell’affascinante storia di un cammino della Chiesa cattolica, che apriva le porte anche alle altre Comunioni cristiane, sia di Oriente che d’Occidente. Storia della progressiva comprensione del senso della Chiesa stessa e di trasformazione del suo volto negli ultimi 150 anni, che fa sperimentare come lo Spirito Santo – nonostante tutti i limiti umani – sia all’opera. A partire dal Concilio Vaticano I – interrotto tra gli altri degli eventi incalzanti dell’unificazione dell’Italia – che fece in tempo a definire solo l’importanza del primato del Papa (uno); le fasi successive nel ‘900 col Vaticano II che completando il Vaticano I sviluppò la collegialità (alcuni) e mise in luce il volto di una Chiesa ‘popolo di Dio’ (tutti), con i laici protagonisti anche loro della vita ecclesiale (v. decreto Lumen Gentium) e l’apertura al dialogo ecumenico (v decreto Unitatis Redintegratio), e quindi l’urgenza di riscoprirci fratelli anche con gli altri cristiani. Il Sinodo dei Vescovi, istaurato immediatamente dopo il Concilio, rappresenta un importante passo per la Chiesa cattolica. E infine, il processo sinodale avviatosi dal 2021 al 2024 costituisce una importante novità per aver voluto coinvolgere tutto il popolo di Dio tramite un ascolto capillare a tutti i livelli. La Chiesa intera è stata chiamata a vivere insieme la comunione, la partecipazione e la missione, in ascolto insieme dello Spirito Santo. Il documento finale del Sinodo sulla Sinodalità ha una ricca impronta ecumenica che vale la pena scoprire. Mons. Usma presentando in modo succinto gli otto temi ecumenici descritti nel testo, ha sottolineato l’importanza del dialogo come stile di vita: grazie a un ascolto, vero e profondo, si può riflettere e imparare gli uni dagli altri, conoscendo anche le pratiche sinodali delle altre Chiese e cercando nuove forme di sinodalità. La veglia di Preghiera “TOGETHER. Raduno del Popolo di Dio” per affidare allo Spirito Santo i lavori sinodali, costituisce un’icona del Sinodo sulla sinodalità: capi di Chiesa e leader delle Comunioni Cristiane mondiali assieme a papa Francesco hanno pregato per il sinodo della Chiesa cattolica. Inoltre, la veglia ecumenica dell’11 ottobre 2024 – ricorrenza dell’inaugurazione del Concilio Vaticano II – tenutasi nel luogo del martirio dell’apostolo Pietro, in ascolto di brani della Lumen gentium e l’Unitatis redintegratio, letti dai delegati fraterni, è stato anche un momento per ricordare il sessantesimo anniversario di questi due importanti documenti. I sedici delegati fraterni appartenevano alle tradizioni ortodosse, ortodosse orientali, protestanti storiche ed evangeliche/pentecostali. Il Sinodo sulla sinodalità ci invita a metterci in cammino, senza estinguere lo Spirito Santo, ma lasciando che sia Lui a creare una vera “armonia sinfonica tra tutti, alcuni e uno” a tutti i livelli. Come indica il documento finale dobbiamo stabilire reti di amicizie e di relazioni con gli altri cristiani, tramite un vero scambio non tanto di idee quanto di ‘doni’. Questa “armonia sinfonica” nella quale ognuno ha un compito e una funzione fondamentale per il bene di tutto il corpo di Cristo, incomincia dalle parrocchie. Possiamo così sognare una Chiesa più bella, accogliente, gioiosa, casa per tutti. Mons. Usma ci ha ricordato che se lo Spirito Santo è colui che fa l’unità, il primo compito è pregare per l’unità di tutti i cristiani, seguendo l’esempio di Gesù nel Getsemani. Restiamo certi che lo Spirito Santo ci sorprenderà. Grazia Passa (a nome dell’Ufficio diocesano per il dialogo ecumenico di Anagni/Alatri)
Una strada per don Peppino, l’indimenticato prete di Radio Comunità
Una targa commemorativa e una strada in memoria di don Giuseppe Fanfarillo, per tutti semplicemente “don Peppino”, indimenticato sacerdote di Alatri, dalla calda e amichevole voce sulle frequenze di Radio Comunità: a farne richiesta, con regolare domanda alla Commissione Toponomastica del Comune, è l’Associazione Radici, il sodalizio culturale da sempre impegnato in varie iniziative per la crescita della città. Nella richiesta – siglata dal presidente di Radici, Gabriele Ritarossi, e dai membri del Consiglio direttivo, Giuseppe Pica e Remo Costantini – si ricordano i tratti salienti della ricca biografia dell’avventura spirituale e umana di don Peppino: «Don Giuseppe Fanfarillo era nato ad Alatri il 7 aprile 1944 ed è morto ad Alatri il 14 Agosto 2015. Uomo e sacerdote dalla grande umiltà e di preziosa cultura teologica ed umanistica è stata una delle personalità di maggiore coesione sociale nella comunità cittadina. Negli anni del suo sacerdozio è stato rettore della chiesa di San Francesco e parroco di Santo Stefano in Alatri. È stato assistente dell’Unitalsi e docente nelle scuole secondarie di secondo grado, ma soprattutto a lui si debbono l’animazione e la cura educativa di tanti ragazzi che frequentavano il “Collegio Stanislao Stampa” in un periodo storico dove il valore sociale ed educativo del collegio rappresentava un punto fermo della nostra comunità cittadina. A lui si deve, soprattutto, la nascita di “Radio Comunità Stereo” una delle intuizioni più geniali di don Giuseppe nella quale moltissimi giovani sono cresciuti in un clima di amicizia, solidarietà, impegno sociale garantendo la valorizzazione dei talenti e della creatività di ciascuno. C’è stato un tempo in cui Alatri poteva vantare persino una radio che tra gli anni ’80 e ’90 è stato un punto di informazione e di comunicazione unico nella provincia di Frosinone, consentendo alla città di attestarsi come una delle poche realtà che potevano contare su una radio dell’alto profilo informativo (dove si sono alternate voci importanti del giornalismo locale),sociale e spirituale. La Radio conobbe anche un periodo di splendore con l’attivazione di frequenze capaci di espandersi anche oltre i confini della provincia di Frosinone. Riteniamo pertanto -si legge ancora nella richiesta di Radici – che la sua azione educativa, sociale e spirituale, meriti – a distanza di 10 anni dalla sua scomparsa – l’omaggio di una intitolazione perché la sua figura si offre come un modello positivo da presentare soprattutto alle nuove generazioni, affinché l’approfondimento della sua persona possa generare nei più giovani il desiderio di contribuire ad uno sviluppo autentico della comunità anche attraverso l’utilizzo dei mezzi di comunicazione affinché siano strumenti di speranza, solidarietà, condivisione». L’associazione si fa inoltre portavoce di due possibili luoghi di installazione della targa o di scelta della strada o largo per l’intitolazione: – il largo tra Piazza Regina Margherita e via Francesco Priorini attualmente privo di intitolazione (laddove si scegliesse l’intitolazione di una strada o largo ) – la facciata del Collegio Stampa (laddove la scelta ricadesse sulla installazione di una targa commemorativa).
La reliquia di Carlo Acutis accolta a Fumone
«Davanti al sole ci si abbronza, ma davanti all’Eucarestia si diventa Santi»: queste le parole del beato Carlo Acutis, che in questo anno giubilare sarà dichiarato Santo. Quale “privilegio” e quale “onore”, come anche che grande “onere” per la nostra comunità di Fumone accogliere, domenica 12 gennaio, nella parrocchia di San Paolo VI e San Pietro Celestino V, la reliquia del beato Carlo Acutis. (nella foto, mentre viene mostrata dal parroco don Roberto Martufi) La sua biografia abbastanza breve ma intensa, perché morto giovanissimo all’età di 16 anni. Come tutti i ragazzi degli anni 2000, si affacciò alla vita con tutte le sue passioni e i sogni, adoperandosi per il prossimo e coltivando un “AMORE” particolare per l’Eucaristia (definita da lui «L’AUTOSTRADA PER IL CIELO»). Come si può diventare santi così giovani? Forse un marziano? Un invasato? Queste le domande, come tante altre, che hanno attraversato i nostri cuori, facendo accorrere tante persone che, con gli occhi lucidi dall’emozione, hanno accolto in processione la teca, a forma di Tau, contenente un ciuffo dei capelli del beato Carlo Acutis. Ti ringraziamo Signore per questa “grazia”. Il beato Carlo Acutis faccia crescere nella nostra comunità giovani e adulti che si “nutrano” dell’Eucaristia, l’autostrada che ci porta a TE!! a cura delle parrocchie Fumone
A Fumone una reliquia di Carlo Acutis, modello di santità per i giovani
Da domenica 12 gennaio 2025 una reliquia del corpo del Beato Carlo Acutis sarà esposta, in maniera permanente, alla venerazione dei fedeli nella chiesa San Pietro Celestino e San Paolo VI a Fumone, in località Pozzi. Un dono che la comunità fumonese suggellerà con una Messa alle 11.30, celebrata dal parroco don Roberto Martufi e che peraltro, proprio per sottolineare l’importanza dell’evento, sarà anche l’unica celebrata nella giornata in questa e nell’altra chiesa parrocchiale del paese. Si tratta di una reliquia cosiddetta “di primo grado”, ovvero resti sacri (corpi interi, ossa, capelli, sangue, carne, ecc) di figure di dichiarata santità, il che rende ancora di più l’idea del grande dono che viene fatto alla comunità di Fumone e a quanti vorranno recarsi nella chiesa di Pozzi per venerare la reliquia di Carlo Acutis(nello specifico, si tratta di alcuni capelli appartenuti al giovane morto in odore di santità).«La richiesta di questa reliquia – spiega il parroco, don Roberto Martufi – è stata motivata proprio dal desiderio della comunità dei fedeli, perché anche attraverso questo segno si possa scoprire sempre di più la forza della preghiera e l’importanza della vita di fede, in particolare tra i giovani», che peraltro a Fumone costituiscono una bella realtà intorno alle parrocchie.La figura di Acutis, morto a soli 15 anni e le cui spoglie riposano ora ad Assisi, è infatti particolarmente cara ai giovani di tutto il mondo e papa Francesco lo ha indicato loro come «modello di santità dell’era digitale». E nel Giubileo degli adolescenti, in aprile, ci sarà la canonizzazione di Acutis. «Anche in vista della canonizzazionedi san Carlo Acutis – aggiunge don Martufi – pensiamo di organizzare qualche evento per i giovani».
L’Alberghiero di Fiuggi, i corsi nel carcere di Frosinone e un presepe di pasta frolla donato al Vescovo
Lo hanno preparato per un mese intero, pezzetto dopo pezzetto, con tutta la maestria che impone l’utilizzo di ingredienti particolari: farina, uova, zucchero a velo e con la magia dell’immancabile cioccolato. Ma soprattutto con il desiderio di donare il presepe di pasta frolla, così creato, ad un ospite particolare: il vescovo Ambrogio Spreafico che, come ogni anno, anche nelle scorse festività natalizie è andato a portare gli auguri a tutto il personale e ai detenuti della Casa circondariale di Frosinone. E proprio questi ultimi, che nel carcere di via Cerreto frequentano le classi dell’Alberghiero della sede distaccata dell’Istituto Buonarroti di Fiuggi, hanno preparato – seguiti nei minimi particolari dall’insegnante Maria Gabriella Venditti – il delizioso presepe di pasta frolla, opera di alta pasticceria che è stata particolarmente gradita da monsignor Spreafico. Il presepe è stato poi esposto nel periodo delle festività natalizie – anche come una vera e propria opera d’arte – nella Cattedrale di Frosinone, per volere del parroco, don Paolo Cristiano, che ha accompagnato il vescovo durante la visita assieme al cappellano del carcere, ai volontari della Comunità di Sant’Egidio e della Pastorale carceraria e dagli Scout del Distretto Fse di Frosinone. Sono ben 10 anni che l’Istituto Alberghiero di Fiuggi è presente con i suoi corsi tra “i ragazzi di via Cerreto”, come recita la targhetta apposta al presepe di pasta frolla donato al Vescovo, una esperienza che attualmente sta coinvolgendo una trentina di detenuti, suddivisi in tre classi che si alternano tra lezioni in aula e il laboratorio pratico. Al termine dei vari cicli di studi, gli ospiti della casa circondariale possono quindi sostenere un esame di qualifica, con una commissione ad hoc che si reca in carcere, oppure la maturità, sostenendo l’esame presso la sede di Fiuggi. Questa esperienza, fortemente caldeggiata dalla dirigente professoressa Maria Rosaria Villani, in questo decennio ha aiutato decine di detenuti nel percorso di reinserimento sociale e lavorativo una volta scontato il debito con la giustizia. Ed ecco così alcune storie emblematiche, come quella del detenuto adulto (la maggior parte di questi studenti ha più di 50 anni e per il 50% si tratta dii stranieri) che, una volta uscito dal carcere, è stato assunto in una pizzeria di un paese del Lazio dal figlio, grazie alla qualifica da pizzaiolo conseguita proprio in via Cerreto. Igor Traboni
Diventa Beato don Giovanni Merlini, il missionario che guidò Maria De Mattias
Domenica 12 gennaio 2025 la Chiesa proclama Beato il Venerabile don Giovanni Merlini, missionario del Preziosissimo Sangue, congregazione fondata nel 1815 da san Gaspare del Bufalo, romano, solo nove anni più grande del Merlini. Don Giovanni Merlini nasce a Spoleto il 28 agosto 1795; riceve l’ordinazione sacerdotale il 19 dicembre 1818. Quando il giorno seguente celebra la sua prima Messa, il popolo presente commenta: “Oggi la chiesa sembrava un paradiso! Ha detto la Messa un santo”. Solo 2 anni dopo partecipa agli esercizi spirituali predicati a Giano dell’Umbria da don Gaspare del Bufalo, già in fama di santità. I santi si riconoscono non appena si incontrano: Merlini rimane profondamente colpito, subito, da don Gaspare e viceversa, a tal punto che lo desidera come compagno nella sua missione, quella di annunciare la bella notizia che Dio ha tanto amato il mondo da sacrificare il Figlio fino al dono della vita in croce, dove ha versato tutto il suo sangue per la nostra redenzione. Passano solo due mesi e il Merlini ha già deciso di lasciare Spoleto per predicare insieme ai missionari del Preziosissimo Sangue. A 28 anni, cioè nel 1824, già famoso per le sue predicazioni, il Merlini viene mandato da san Gaspare a Vallecorsa (Frosinone) a predicare il Quaresimale. Qui incontra una giovane di 19 anni, Maria De Mattias che, nella missione popolare predicata da san Gaspare due anni prima, ne era rimasta affascinata per le conversioni avvenute in un paese covo e roccaforte di briganti. Di qui lo sbocciare del desiderio di voler seguire le sue orme. Questa doveva essere la sua strada; ma l’essere donna non le avrebbe permesso di percorrerla, di qui due anni di crisi e discernimento senza avere una persona che potesse illuminarla. Per di più stava imparando da sola a leggere: mentre il padre era un uomo colto e i due fratelli studiavano, alle donne era proibito anche il saper leggere. Anche don Giovanni Merlini suscita in Maria De Mattias una grande stima e a lui apre il suo cuore. Vallecorsa e tutto il Lazio del sud è infestato dal brigantaggio e san Gaspare ritiene che necessiti un ramo femminile che li affianchi per la formazione della donna, con lo stesso spirito e la stessa anima. Don Giovanni Merlini intuisce che Maria De Mattias è chiamata da Dio a questa missione nel mondo. La guiderà da quel momento per tutta la vita, per 42 anni. Per dieci anni si aspetta che Dio dia i segni, mentre ella si esercita con le giovani di Vallecorsa, fin quando il Vescovo di Ferentino e amministratore di Anagni la chiama ad Acuto per iniziare una scuola per le fanciulle. Lei gli pone il progetto di fondazione di un Istituto per questo stesso fine ed egli la incoraggia a realizzarlo. Il 4 marzo 1834 si dà l’avvio all’Opera. Dopo un anno già alcune alunne chiedono di vivere con la maestra perché vogliono prepararsi a svolgere la stessa missione. Le vocazioni non mancano. Alla morte di Maria De Mattias nel 1866 esse operano nel Lazio, nell’Abruzzo, nel Regno di Napoli, in Germania e in Inghilterra. Ora le figlie di Maria De Mattias sono in tutti i continenti, in 27 nazioni. Tra le sue figlie ce n’è una speciale: suor Serafina Cinque, nata nel 1813 da genitori di Sapri, ma emigrati in Amazzonia. Nel 1947 diviene una Adoratrice del Sangue di Cristo. Dai contemporanei fu detta “la madre Teresa dell’Amazzonia”. Il 27 gennaio 2014 viene firmato il decreto di Venerabilità da Papa Francesco riconoscendole l’esercizio delle virtù eroiche. Senza l’intuito di don Giovanni Merlini non avremmo avuto uno spaccato della storia della Chiesa e civile a livello mondiale. I santi si riconoscono tra loro! Suor Maria Paniccia, ASC
Dialogo cattolici-ebrei: incontro con Spreafico e Giuliani
Le Diocesi di Anagni-Alatri e di Frosinone-Veroli-Ferentino hanno organizzato un incontro nell’ambito della Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, che si celebra ogni anno il 17 gennaio e che nel 2025 giunge alla XXXVI edizione. L’incontro avrà per tema “Pellegrini di speranza”, con gli interventi di monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, e del prof. Massimo Giuliani, docente di pensiero ebraico all’Università di Trento. L’appuntamento, aperto a tutti, è per martedì 14 gennaio, alle ore 18, presso l’Auditorium diocesano di Frosinone (viale Madrid, accanto alla chiesa di San Paolo). I due relatori prenderanno spunto da “Decostruire l’antigiudaismo cristiano” un testo pubblicato nel 2023 dalla Conferenza episcopale francese e ora tradotto in italiano, con la prefazione di mons. Ambrogio Spreafico. Nel giugno 2023, quando la Conferenza episcopale francese pubblicava quello che nella premessa all’edizione originale viene definito un «manuale», non si poteva immaginare ciò che sarebbe accaduto qualche mese dopo, il 7 ottobre dello stesso anno, ovvero la strage compiuta da Hamas vicino a Gaza e la conseguente risposta di Israele. Dopo questo terribile evento, come osserva il vescovo Ambrogio Spreafico nell’introduzione all’edizione italiana del libro, «l’antigiudaismo e l’antisemitismo sono così cresciuti» che solo «un rinnovato impegno della Chiesa cattolica per riscoprire le radici ebraiche della sua fede e per stabilire un dialogo fraterno con il popolo ebraico» può «preservarci dall’accondiscendere al clima di odio e di violenza che respiriamo»