Sgurgola ritrova la sua “Madonna di cera e di seta”

La Madonna di cera e di seta di Sgurgola, detta anche la “Madonna vestita”, torna nella chiesa di San Giovanni dopo l’accurato restauro. L’appuntamento è per sabato 19 luglio, con il programma allestito dalla comunità parrocchiale e dai sacerdoti che la guidano, ovvero i religiosi Eudisti padre Efrain Mora Garcia, padre Alberto Leal Celis e padre Jesus Aurelio (i tre religiosi hanno anche la cura pastorale del vicino paese di Gorga, sempre in diocesi di Anagni-Alatri). Alle 10.30 inizierà la vestizione della Madonna, in collaborazione con alcune signore del rione San Giovanni e le restauratrici; alle 16 la Madonna restaurata verrà quindi esposta ai fedeli; alle 16.30 la recita del Rosario e a seguire la Messa per i tanti benefattori del paese che hanno reso possibile il restauro e che i religiosi di Sgurgola ringraziano fin da ora per la generosità mostrata; alle 19 gli esperti dell’Università della Tuscia, che lo hanno curato, presenteranno il restauro, assieme agli esperti della Tessili Antichi onlus; alle 20.15 una cena comunitaria in piazza, per concludere in amicizia e allegria l’importante giornata che resterà impressa nella vita del paese di Sgurgola. Esattamente un anno fa, in occasione della festa della Madonna del Carmine, era stato presentato il progetto di restauro statua di questa statua di Maria col Bambino, conservata nella chiesa di San Giovanni. Il gruppo scultoreo, riscoperto all’interno di un’edicola in legno che reca l’iscrizione “Decor Carmeli”, presenta le parti anatomiche in cera su manichini lignei, capelli realizzati in filo e abiti intessuti ricamati. Il restauro di un’opera così complessa è stato pertanto molto delicato, con competenze multidisciplinari, come verrà illustrato il 19 luglio. Il restauro, realizzato con l’approvazione canonica del vescovo Ambrogio Spreafico, l’autorizzazione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per Frosinone e Latina, è stato seguito dall’Ufficio diocesano per i beni ecclesiastici e l’edilizia di culto e restituisce dunque alla comunità di Sgurgola una testimonianza preziosa di arte e devozione, ulteriore passo verso il recupero del pregevole patrimonio di un paese che merita di essere conosciuto e apprezzato. «Attraverso l’arte – aveva dichiarato un anno fa il parroco padre Efrain – vogliamo anche trasmettere la bellezza di Dio. E qui a Sgurgola abbiamo un patrimonio da riprendere e valorizzare, anche per custodire al meglio quello che ci è stato lasciato dai nostri avi».
L’Arte di Jago in una chiesa di Anagni. Spreafico: fede e cultura legame inscindibile. GUARDA IL VIDEO

Fede e cultura, binomio inscindibile. Un concetto che il vescovo Ambrogio Spreafico ama sottolineare e che ha rimarcato anche nella tarda mattinata di lunedì 23 giugno, ad Anagni, nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’iniziatica di concedere allo scultore anagnino Jago la chiesa della Madonna del Popolo, sempre ad Anagni, sconsacrata da tempo. E Jago, artista di fama mondiale benché ancora giovane, ne farà un laboratorio-atelier, luogo di esposizione e nascita e rinascita delle sue opere. «Questa iniziativa nasce da un incontro tutto sommato casuale – ha esordito il vescovo di Anagni-Alatri – nel corso di un convegno che si è tenuto nei mesi scorsi nella Sala della Ragione ad Anagni. Lì ho scoperto in lui non solo il grande artista ma anche quello che potevamo fare insieme per Anagni, replicando ciò che Jago ha già fatto a Napoli. E’ nata subito una sincera amicizia e quindi , partendo da una chiesa ormai chiusa da anni, abbiamo pensato che si potesse creare un segno della sua presenza nella sua Anagni, prendendo il valore che aveva questa città per riproporlo. L’espressione artistica di Jago credo possa essere un segno anche per il futuro di Anagni. Come già accaduto nel cuore del Rione Sanità a Napoli, anche qui l’arte proverà a riattivare un tessuto urbano e sociale, a riscrivere il rapporto tra le persone e il luogo che abitano. E di questo – ha sottolineato Spreafico – oggi c’è davvero tanto bisogno, perché viviamo in un mondo di rassegnati. Ma Dio ha pensato un mondo in cui vivere in armonia. Noi non siamo solo degli individui, ma una comunità che vive nel mondo. L’arte esprime proprio questa Bellezza, il tratto umano che dovremmo avere. L’arte fa qualcosa che va oltre se stessa». Anche un po’ visibilmente emozionato, Jago (nato a Frosinone ma da famiglia anagnina) si è detto particolarmente contento di questo “ritorno” nella sua città, sempre orgoglioso di quel tratto di ciociaro che ama portare nel mondo: «Non ci sono cervelli in fuga, ma ambasciatori di determinate radici. E io mi sento così. Mia mamma mi dice sempre che oggi la mia dimensione è nel mondo ma prima o poi sarei tornato a casa: aveva ragione. C’è il bisogno di misurarsi con il mondo e poi torni a casa e scopri che quella bellezza che cercavi altrove ce l’avevi a portata di mano! Quello che cercavo altrove l’ho sempre avuto sotto gli occhi: mi mancava solo la chiave giista per leggerlo», Jago ha poi dedicato un passaggio molto intenso anche alla “spiritualità” che permea la sua opera: «Il mio è un lavoro di fede e di fiducia. Partendo da un blocco grezzo, che sia di marmo o di spazio urbano, lo scolpisco seguendo un’idea» Madonna del Popolo diventerà, una volta terminati alcuni necessari lavori di sistemazione, un laboratorio anche per la creazione di nuove opere di Jago «e quando saranno in numero sufficiente ci sarà la loro musealizzazione creando un circuito che coinvolga la città. Ma nessuno fa niente da solo: bisogna sempre circondarsi di persone migliori di sé ed è quello che ho fatto», ha rimarcato l’Artista, per poi aggiungere: «Talvolta, proprio come i musicisti sul Titanic, noi artisti continuiamo a suonare. Ma il fatto che continui ad occuparti del Bello non significa che stai ignorando ciò di drammatico che avviene attorno. Significa che stai creando con la Bellezza un contraltare a ciò di brutto che accade». Il progetto della diocesi è stato seguito in particolare dall’Ufficio per i beni culturali e l’edilizia di culto, diretto da Federica Romiti. Alla conferenza stampa è intervenuto anche il sindaco, Daniele Natalia, assieme all’assessore Carlo Marino. Il primo cittadino ha così annunciato che la vecchia chiesa di Sant’Antonio, anche questa già sconsacrata e oggi auditorium comunale , diventerà parte di un circuito espositivo integrato, ricollegandosi per l’appunto anche con quanto Jago farà a Madonna del Popolo. A proposito di questa chiesa, va detto che il progetto originario porta la firma dell’architetto portoghese Emanuele Rodriguez Dos Santos. Ha ospitato i Padri Trinitari dal 1897 al 1991. Al suo interno, conserva ancora una preziosa pala d’altare del XVIII secolo del pittore Magno Tucciarelli, con una veduta di Anagni che testimonia il profondo legame tra la struttura e il tessuto urbano circostante. CLICCA E GUARDA IL VIDEO DEL SERVIZIO DI RAI CASA ITALIA di Igor Traboni
Comunità locali e cultura: dal caso Trisulti all’intero patrimonio

“Il ruolo delle comunità locali nel governo del patrimonio culturale. Dalla Costituzione alla Convenzione di Faro” èstato il tema del convegno che si è tenuto nel pomeriggio di martedì 3 giugno nella sala-teatro dell’Accademia delle Belle Arti di Frosinone, organizzato dalla stessa Accademia, dalla Rete Trisulti Bene Comune e dalla diocesi di Anagni- Alatri.Al convegno è intervenuto il vescovo Ambrogio Spreafico, che ha relazionato su come le due diocesi a lui affidatehanno interpretato e vivono «questo essere custodi di un patrimonio non solo come singoli, istituzioni, ecc, maall’interno delle comunità. La Convenzione di Faro ha evidentemente a che fare anche con il patrimonio culturaledella Chiesa, patrimonio che ha una valenza complessa perché testimonia di civiltà, di valori culturali, storici ed estetici, ma anche di un ulteriore valore spirituale, per essere veicoli di fede, amicizia, incontro, e che chiama incausa tutti, credenti e no, perché l’arte appartiene a tutti, al di là della propria credenza. Lo spirito della Convenzione mette in primo piano le persone, sollecitando in particolare un’azione dal basso del prendersi cura del patrimonio comune di cultura ed arte, lavorando insieme alle istituzioni preposte. Il patrimonio religioso è realmente uno strumento di dialogo tra le istituzioni, le diverse confessioni religiose e le organizzazioni culturali di un territorio». Dopo aver ricordato l’intesa tra Cei e Ministero dei Beni Culturali, entrata in vigore nel 2005, proprio nell’anno della Convenzione di Faro, il vescovo ha portato alcuni esempi dalle due diocesi: in quella di Frosinone-Veroli-Ferentino sono stati creati gli Istituti culturali diocesani, il museo e i due archivi storici di Ferentino e Veroli e la biblioteca diocesana di Ferentino che si affianca alla Giovardiana di Veroli. E tutto questo «ha in concreto non soltanto comportato la conservazione e la gestione organizzata del patrimonio artistico culturale diocesano, ma ha dato vita a una tenace collaborazione con realtà locali; tutti gli istituti diocesani sono riconosciuti dalla Regione Lazio e grazie al suo contributo abbiamo realizzato interventi di restauro, iniziative di valorizzazione, mostre e interventi edilizi per adeguare al meglio le strutture».La Biblioteca di Ferentino ha inoltre iniziato un progetto di proposte didattiche per le scuole, ha vinto il Bandoregionale “Nati per leggere” ed è una delle poche biblioteche a livello nazionale con una sezione per bambinie ragazzi.La diocesi di Anagni-Alatri «nello spirito di Faro cura i processi di restauro e di valorizzazione dei luoghi e istituticulturali con modalità partecipative»; e qui Spreafico ha citato il percorso verso l’adeguamento liturgico dellaCattedrale di Anagni che ha coinvolto nella fase ispirativa tutti gli organi collegiali della diocesi ma anche associazioni territoriali e le comunità locali. Un altro preciso riferimento il vescovo lo ha fatto ai restauri della Madonna di cera di Sgurgola e a quello in corso della Madonna lignea di Vico nel Lazio, quest’ultima scelta dall’Ufficio nazionale beni culturali ed ecclesiastici della Cei per il progetto “Nel Tuo nome, l’arte parla di comunità”, nell’ambito delle iniziative correlate al Giubileo. Tutti i progetti culturali integrati Maab, come l’ultimo in corso sui luoghi della speranza, sono pensati «come esperienze intergenerazionali, interprofessionali e interdisciplinari, e offerti alle scuole per connettere tutte le componenti della società e far emergere la potente natura relazionale del patrimonio culturale». Dal 2023, inoltre, da quando Spreafico ne è vescovo, la diocesi ha aperto i due archivi e le biblioteche di Anagni e Alatri ed eretto il museo diocesano di Alatri.Nello specifico della vicenda della Certosa è intervenuta l’avvocato Maria Elena Catelli, presidente della ReteTrisulti Bene Comune, l’insieme delle associazioni che hanno affiancato il Ministero dei Beni Culturali nellabattaglia giudiziaria nei confronti della Dignitatis Humanae Institute, cui la Certosa era stata affidata: «La Certosa ètornata così nelle mani dello Stato e si è aperto un nuovo capitolo nel quale le comunità locali possono e devono continuare a dare il loro contributo. Si tratta di un capitolo ancora quasi tutto da scrivere, perché Trisulti prima che monumento è un luogo, un luogo che non è soltanto una storia di pietre, di sassi, di mattoni ma una storia dipersone. Un luogo che raccontandoci del passato, in cui affondano le nostre radici, la nostra cultura, le storie di molte delle nostre famiglie può ancora raccontare il nostro futuro».La Catelli ha poi fatto riferimento al Tavolo, istituito dal Ministero e Direzione Generale Musei, che «dopo unaserie di riunioni che stavano cominciando a dare i primi frutti, si è improvvisamente bloccato. Da oltre 2 anni nonviene riconvocato, e ad oggi a nulla sono valse le nostre richieste in tal senso».E’ quindi intervento il professor Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena che, partendoda una citazione del poeta Friedrich Hölderlin (“Dove il pericolo cresce, c’è anche ciò che salva”) ha ricordato che«a Trisulti è successo tutto quello che poteva succedere, ma c’è stato anche un risveglio civile con pochi precedenti in Italia. E’ stato però un campanello d’allarme: se è successo a Trisulti può succedere anche altrove. E questo ha evidenziato una debolezza dello Stato e una mancata connessione con le comunità civili del territorio». Ma a Trisulti, dove Montanari era salito prima del convegno, «con le sue terrazze e finestre dalle quali “entra” ilpatrimonio, ci sono possibilità straordinarie di recupero. E’ un corpo meraviglioso e ferito che parla del passato ma anche del futuro; una enorme promessa di futuro se viene riconnesso alla comunità. La destinazione culturale è per sua natura inclusiva, è di ciascuno, chi vive nel territorio ha un po’ la “comproprietà” di Trisulti, un luogo dove si percepisce la dimensione della cura». E allora, quale destinazione per la Certosa? Fermo restando il dettato costituzionale sulla tutela del patrimonio cui Montanari ha più volte fatto riferimento, che il recupero spetta allo Stato e che ogni decisione pratica va demandata al Tavolo di cui sopra, Montanari ha chiosato ricordando come «a Trisulti si sperimenta la vita contemplativa, è un polmone da cui si torna più umani: in fondo è Trisulti che cura noi, una casa di tutti, straordinario luogo libero e liberante».Prima delle conclusioni, il vescovo Spreafico ha ripreso la parola per sottolineare che «abbiamo un patrimonio
Filettino a “La lunga notte delle chiese”

La diocesi di Anagni-Alatri sarà rappresentata dal paese di Filettino alla prossima edizione de “La lunga notte delle chiese”, ovvero la notte bianca dei luoghi di culto in cui si fondono musica, arte, cultura, in chiave di riflessione e spiritualità e che si svolgerà venerdì 6 giugno. Filettino sarà presente con la manifestazione dal titolo “Le antiche confraternite e l’abbraccio della carità”, incentrata su visite guidate alle chiese di Santa Maria Assunta e di San Giovanni, che resteranno aperte al pubblico dalle 19 e per tutta la notte. Una buona occasione per salire dunque fino a Filettino, il paese più alto del Lazio, posto a 1.063 metri sul livello del mare e che vanta un ricco patrimonio storico-artistico-religioso, comprese per l’appunto le due chiese che ospiteranno la notte bianca. Il tutto immerso in un panorama di rara bellezza naturalistica, ai piedi dei Monti Ernici, che ne fanno méta privilegiata da turisti e vacanzieri sia in estate che in inverno, grazie anche alla località sciistica di Campo Staffi. Non è la prima volta che Filettino ospita questa kermesse, grazie alla parrocchia di Santa Maria Assunta, in collaborazione con la Pro Loco, con Maria Carmela Tardiola, Rita Nardecchia e il Coro Monte Viglio. Nello specifico, ecco il programma delle iniziative a Filettino: alle 19, nella chiesa di Santa Maria Assunta si parlerà de “La Confraternita del Santissimo Sacramento e la Confraternita del Rosario”; alle 21, nella chiesa di San Giovanni, incontro su “La Confraternita del Suffragio, la Confraternita dell’Orazione e Morte, la Confraternita di Sant’Antonio”, con introduzione del parroco don Pierluigi Nardi, interventi a cura di Maria Carmela Tardiola e Rita Nardecchia e partecipazione del coro Monte Viglio, diretto da Giuseppina Antonucci. Durante questi eventi verranno esposte e illustrate al pubblico le antiche pergamene della Confraternita del Santissimo Sacramento, risalenti al XVI secolo. ”La lunga notte delle chiese”, giunta quest’anno alla decima edizione, è un evento organizzato dall’associazione BellunoLaNotte.com con la collaborazione delle diocesi partecipanti. L’idea nasce nel 2016 dal progetto già attuato e di successo della “Lange Nacht der Kirchen” che si svolge in Austria e in Alto Adige già da parecchi anni, coinvolgendo centinaia di chiese contemporaneamente. Per un giorno nella splendida cornice delle chiese, di tutta Italia (l’anno scorso hanno partecipato circa 150 diocesi, con più di 220 location diverse, tra chiese, monasteri e musei) vengono così organizzate diverse iniziative e programmi culturali: musica, visite guidate, mostre, teatro, letture, momenti di riflessione e tanto altro. La collaborazione, come detto, è con le diocesi italiane, i loro Uffici alla Cultura, all’arte sacra, le pastorali Giovanili e le varie confessioni religiose, trattandosi di un evento ecumenico. E’ dunque un’occasione per tutti di partecipare ad un evento suggestivo ed eccezionale, di grande coinvolgimento, perché in questa occasione sarà possibile visitare i luoghi sacri di tante città e paesi in una veste sicuramente originale. Moltissimi sono gli eventi proposti durante la “Lunga Notte delle chiese, che sono sempre gratuiti e a ingresso libero, aperti a tutti.
La “Madonna di Vico” è tornata a casa dopo il restauro

La “Madonna di Vico”, così come viene comunemente chiamata la statua appartenente al gruppo di quelle lignee medievali realizzate nelle botteghe di area laziale tra il XII secolo e i primi decenni di quello successivo, è tornata a Vico nel Lazio, di nuovo incastonata nella chiesa di San Martino, uno dei gioielli di questo paese che a sua volta è scrigno di arte, storia e fede e non a caso conosciuto come “la Carcassone del Lazio”. Nel pomeriggio di giovedì 8 maggio è stato infatti presentato il restauro della statua, reso possibile dai fondi dell’8xmille alla Chiesa Cattolica, in una breve ma suggestiva cerimonia a cura dell’Ufficio per i Beni culturali ecclesiastici e l’Edilizia di culto della diocesi di Anagni-Alatri e della Confraternita Orazione e Morte della parrocchia di San Michele. E’ intervenuto il vescovo Ambrogio Spreafico (che ha poi celebrato la Messa, peraltro in un clima di profonda commozione perché c’era appena stata la fumata bianca per l’elezione del nuovo pontefice) esprimendo tutto il suo vivo compiacimento per il restauro, così come per l’azione dei carabinieri del Nucleo artistico che per ben due volte hanno ritrovato la statua, dopo altrettanti furti. «Maria ci indica la strada – ha detto poi Spreafico cogliendo a pieno alcune delle evocazioni suggerite dalla statua – perché oggi invece ci si perde facilmente. Maria ci invita ad andare da Gesù, attraverso di Lei». Dal vescovo anche un plauso alla comunità di Vico, a cui ha anche assegnato un compito: «Coinvolgete di più i giovani, con il vostro esempio di solidarietà e generosità». Un breve saluto è stato poi portato da Federica Romiti, responsabile dell’Ufficio diocesano Beni culturali ed Edilizia di culto, che ha comunicato come il restauro della “Madonna di Vico” è stato poi inserito nel programma della giornata di sabato 10 maggio di un seminario tenutosi a Modena e dedicato alla presentazione delle iniziative speciali promosse per il Giubileo 2025. Un saluto ad ospiti e presenti anche da parte del parroco don Giggino Battisti, visibilmente – e per sua stessa ammissione – molto emozionato per l’evento. Sono quindi seguiti alcuni interventi “tecnici”, tanto brevi quanto incisivi e con il merito di non scadere nei soliti saluti stereotipati. Così Alessandro Betori, Soprintendente per i beni archeologici delle province di Frosinone e Latina, a sottolineare come l’arte si coniuga con quelle forme di pietà e devozione «molto vive in paesi come Vico nel Lazio, dove prima non ero mai stato e che ho trovato molto bello». Bellezza che rifulge anche in questa «opera eccelsa, anche nel gesto del Bambino che acclama verso la Vergine e quella umanità che Egli ha voluto incarnare». Betori non ha ppoi potuto fare a meno, così come gli altri ospiti, di sottolineare il fatto che per ora la statua è giocoforza ingabbiata dietro alcune griglie in ferro «simbolo della barbarie del nostro tempo», per quanto ingentilite dall’apposizione del simbolo mariano della rosa, per via dei furti di cui si è detto. Non solo un mero lavoro di restauro, ma «anche partecipazione e trasporto» verso questa opera, per molti versi simile alla Madonna di Costantinopoli conservata in Santa Maria Maggiore, ad Alatri, ha rimarcato Lorenzo Riccardi, funzionario storico dell’arte della Soprintendenza. Con fare affabulatorio, Riccardi ha ricordato che la statua venne restaurata già nel 1941 e che a pagarne le spese di trasporto verso Alatri e poi per Roma fu proprio la Confraternita. E ancora: mentre la statua di Vico andava verso Roma, il percorso inverso lo fece il camioncino di Nicola Cece, fratello del parroco di allora, che andava a riprendere la statua della Madonna di Costantinopoli anch’essa restaurata nella Città Eterna. Dal canto suo, la restauratrice Arianna Ercolani, facente parte di un gruppo di lavoro «con un insieme di responsabilità e competenze perché le opere continuino ad esserci nel tempo», ringraziando altresì la comunità di Vico per il calore dell’ospitalità (che peraltro abbiamo avuto modo di saggiare di persona con un piacevole banchetto allestito al termine della cerimonia) e raccontando di come un signore del posto, mentre portavano via la statua per il restauro, le si era raccomandato così: “Non la trattate solo come un pezzo di legno”; la Ercolani ha poi chiosato con l’ulteriore bellezza dello svelamento della statua di Maria proprio nel giorno della festa della mamma
Anagni: la Biblioteca Mariana scrigno di fede e cultura

Disinfestazione delle librerie lignee, sanificazione del materiale librario, trattamento di criodisinfestazione, depolveratura e disinfezione topica; installazione di un avanzato impianto di ventilazione meccanica e purificazione dell’aria: sono questi gli interventi realizzati negli ultimi mesi nella Biblioteca Mariana di Anagni, uno dei gioielli del patrimonio storico-artistico-culturale della diocesi, collocata nei locali inferiori dell’ex seminario minore e resi possibili grazie ai fondi dell’8×1000 alla Chiesa cattolica e al contributo del Segretariato regionale per il Lazio del Ministero della Cultura, eseguiti da ditte altamente specializzate e seguiti passo passo da Federica Romiti, responsabile dell’Ufficio diocesano per i beni culturali e l’edilizia di culto, su impulso del vescovo Ambrogio Spreafico, sempre attento al connubio fede-cultura, con la vigilanza della Soprintendenza Archivistica e Bibliografica del Lazio. La biblioteca conserva oltre 25.000 volumi, tra cui alcune cinquecentine e seicentine. La maggior parte dei libri è arrivata grazie alla donazione di Onorato Capo, anagnino, filantropo dell’Ottocento, che a seguito della dispersione dei patrimoni librari monastici, dopo l’Unità d’Italia, comprò moltissimi volumi sui mercati antiquari e li donò al Seminario vescovile della città. Ma un’ampia dotazione arrivò anche da Leone XIII; il papa della “Rerum Novarum” ma anche dalla fortissima impronta mariana, tanto che scrisse le encicliche “Magnae dei matris” sul culto alla Vergine, e “Augistissimae Virginis” sulla preghiera del Rosario. E quindi potrebbe aver intitolato a Maria anche la biblioteca – mancano però conferme a questa ipotesi – cui peraltro si accede proprio da via Leone XIII e con la sala grande di conservazione contrassegnata dalla presenza di un suo busto. La biblioteca, come il Seminario, subì dei bombardamenti nel 1944 e venne danneggiata anche dallo scoppio di alcune mine; buona parte dei libri venne comunque ricoverata per tempo in Vaticano e tornò ad Anagni alla fine della guerra. Il canonico Vincenzo Fenicchia ne iniziò la compilazione del catalogo a schede, terminandolo nel 1976 e poi proseguito da don Angelo Pilozzi. Diretta da monsignor Claudio Pietrobono, aderisce al Polo PBE (https://beweb.chiesacattolica.it/benilibrari/). Con il vicino archivio, con quello di Alatri e con il museo diocesano inaugurato di recente in quest’ultima città, la Biblioteca Mariana va insomma a costituire un tassello pregiato di questo immenso patrimonio culturale diocesano. È inoltre inserita nei circuiti di valorizzazione promossi dal progetto DUC IN LATIUM (https://www.ducinlatium.it/). Per info su giorni e orari di apertura si può consultare la pagina dedicata alla biblioteca su BEWEB (https://www.beweb.chiesacattolica.it/istituticulturali/istituto/3418/Anagni+%7C+Biblioteca+Mariana).
Nonni-giovani e la memoria del patrimonio culturale diocesano con il Progetto Mab

Anche il 2024 ha visto l’Ufficio diocesano per i Beni culturali e l’Edilizia di culto portare a termine un progetto integrato Mab (Musei archivi biblioteche), soffermandosi sullo specifico del titolo “Memoria, responsabilità, creatività. L’8×1000 per proteggere e valorizzare il patrimonio culturale diocesano”.Un percorso le cui tappe sono state scandite anche da vari incontri, con realtà diverse del territorio – dai giovani studenti di una classe del Liceo classico di Anagni agli utenti del Centro anziani di Anagni – e che l’Ufficio diocesano ha reso ancora più esplicativi e fruibili, anche da chi non ha partecipato direttamente, con una serie di video, ora disponibili sul canale Youtube della diocesi di Anagni-Alatri.Impossibile riportare, per motivi di spazio, la cronaca degli incontri susseguitisi da settembre ad oggi ma, senza nulla togliere agli altri, ci piace ricordare qui quello del 24 settembre, quando gli studenti hanno incontrato 16 anziani; incontro introdotto da Federica Romiti, direttrice dell’Ufficio diocesano, da Alice Popoli, responsabile dei progetti per la Pastorale degli anziani nella diocesi di Frosinone- Veroli-Ferentino e da Giuseppe Viti, presidente del Centro anziani di Anagni. Mediante un abbinamento casuale per estrazione, sono state create le coppie “studente- nonno” e ciascun ragazzo ha raccolto in un’apposita scheda le informazioni e i ricordi collegati a libri/fotografie/ cartoline selezionati dagli anziani per l’attività di restauro. Al termine delle interviste, sia i ragazzi che gli anziani hanno sintetizzato l’esperienza in una frase o parola chiave.E poi, il 13 novembre, Federica Romiti ha restituito ai ragazzi e agli anziani una sintesi del progetto MAB, articolato sulle parole chiave “memoria”, “responsabilità”, “creatività”, mostrando anche i reels realizzati; mettendo in evidenza la risonanza delle parole chiave lasciate dai partecipanti al primo incontro e le connessioni del progetto con l’impiego delle risorse 8×1000 per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale. Alessandro De Cupis ha spiegato il metodo e la curaimpiegati dai ragazzi nel restauro dei documenti loro affidati. A seguire, ciascun ragazzo ha illustrato le schede, l’apparato fotografico e gli interventi effettuati, restituendo personalmente il documentoal “nonno” proprietario. Il progetto ha così raggiunto l’obiettivo, che poteva sembrare ambizioso ma che è stato realizzato proprio grazie alla predisposizione dei partecipanti, di attivare una significativaesperienza intergenerazionale. (nella foto, uno degli incontri-laboratorio con i giovani del Classico di Anagni e gli utenti del Centro anziani di Anagni)
Arte e fede: il “San Sisto” patrimonio del nuovo Museo diocesano di Alatri

Il restauro di un affresco del giovane Cavalier d’Arpino raffigurante San Sisto, un progetto formativo promosso dall’Associazione Gottifredo in collaborazione con la diocesi di Anagni-Alatri e il sostegnodella Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, un volume che illustra la rilevanza storica e artistica del dipinto che getta nuova luce sulla fase giovanile e la precocità dell’ingegno di Giuseppe Cesari e le ragioni della sua presenza ad Alatri, subito dopo il ritrovamento delle reliquie del patrono della cittànel 1584.Tra l’altro, va detto che il tutto richiama alla memoria viva anche la figura di Ignazio Danti, matematico, astronomo, cosmografo: studi e conoscenze che gli valsero il meritato appellativo di “vescovo scienziato”; Ignazio Danti fu infatti consacrato vescovo di Alatri nel 1583, e qui morì il 19 ottobre1586, dopo essersi speso totalmente per la sua gente, con una particolare sollecitudine per i poveri ma senza dimenticare i suoi interessi culturali, compreso quello per la pittura, tanto che volle commissionare all’allora giovane artista Giuseppe Cesari, poi divenuto famoso in tutto il mondo con il nome di “Cavalier d’Arpino”, proprio questo ritratto di san Sisto.Di tutto questo si parlerà mercoledì 11 dicembre presso il Museo diocesano di Alatri (zona acropoli, accanto alla Concattedrale) nella sala grande dell’Episcopio dove l’affresco è collocato, con la presentazione del volume “Il San Sisto del Cavalier d’Arpino. L’affresco restaurato”.Insieme con il vescovo monsignor Ambrogio Spreafico, prenderanno la parola il curatore della pubblicazione Mario Ritarossi, storico dell’arte, e Tarcisio Tarquini, presidente dell’Associazione Gottifredo; coordinerà l’incontro Federica Romiti, direttrice dell’Ufficio Beni culturali della diocesi di Anagni- Alatri. Tra gli invitati ci saranno anche gli studenti d’arte del corso di pittura del Liceo artistico “Anton Giulio Bragaglia” di Frosinone, accompagnati dal dirigente professor Fabio Giona.Nel volume, edito da Gottifredo Edizioni e pubblicato con il contributo del Mic-direzione generale educazione, ricerca e istituti culturali compaiono, dopo la prefazione di monsignor Ambrogio Spreafico (che scrive tra l’altro, riferendosi ovviamente al dipinto: “Era un capolavoro che avevamo sotto gli occhi da secoli ma che non aveva mai ricevuto fino ai giorni nostri l’attenzione che meritava”) e l’introduzione di Tarcisio Tarquini, alcuni saggi (con abstract in inglese) di Mario Ritarossi, Francesco Petrucci, conservatore del Museo del Barocco di Ariccia, Maria Letizia Molinari, autrice del restauro. Tutti contributi che consentono nel migliore dei modi, anche a coloro che non sono troppo adusi al mondo dell’arte pittorica, di avvicinarsi comunque all’opera e a tutto il genio del Cavalier d’Arpino e di converso all’operato del vescovo Ignazio Danti, ma anche alle tecniche del restauro, alla precocità dell’arte di Giuseppe Cesari e alla sontuosità di un emblema encomiastico di antica e armoniosabellezza.Ad impreziosire il libro, un ricco repertorio fotografico che documenta, con ricchezza di particolari, l’affresco prima e dopo il restauro, illustrandone gli interventi più rilevanti che hanno restituito il dipinto al suo originario splendore.Nell’occasione, dopo la presentazione del volume, che segna la prima iniziativa dell’appenacostituito Museo diocesano, avverrà la restituzione al Museo stesso di tre opere appena restauratee di notevole pregio: si tratta infatti di un Crocifisso e un dipinto su tavola col Battesimo di Cristo del XVII secolo e una scultura lignea del Bambino Gesù del XVIII secolo.
Il San Sisto I del Cavalier d’Arpino rivive anche in un libro

Matematico, astronomo, cosmografo: studi e conoscenze che gli valsero il giusto appellativo di “vescovo scienziato”, Ignazio Danti, fu consacrato vescovo di Alatri nel 1583, e qui morì il 19 ottobre 1586, dopo essersi speso totalmente per la sua gente, con una particolare sollecitudine per i poveri ma senza dimenticare i suoi interessi culturali, compreso quello per la pittura, tanto che volle commissionare all’allora giovane Giuseppe Cesari, poi divenuto famoso in tutto il mondo con il nome di “Cavalier d’Arpino”, un ritratto di San Sisto I, conservato per l’appunto ad Alatri.Il dipinto è stato poi fatto restaurare dall’Associazione Gottifredo e restituito così in tutta la sua bellezza in una magnifica serata del luglio di 4 anni fa, all’Acropoli.Questa premessa è indispensabile per dire che ora, peraltro proprio nell’anniversario della morte di Danti, esce un volume dal titolo “Il San Sisto del Cavalier d’Arpino, l’affresco restaurato”, curatoda Mario Ritarossi, il docente del liceo artistico di Frosinone che tanta parte ha avuto in questa riscoperta. Il libro, prefato dal vescovo Ambrogio Spreafico e con una presentazione del presidente dell’associazione ed edizioni Gottifredo, Tarcisio Tarquini, si avvale di alcuni preziosi contributi critici dello stesso Ritarossi, di Maria Letizia Molinari e di Francesco Petrucci, ad introdurre gli appassionati – o anche i semplici curiosi che vogliano così avvicinarsi all’opera e a tutto il genio del Cavalier d’Arpino e di converso all’operato del vescovo Ignazio Danti – alle tecniche del restauro, alla precocità dell’arte di Giuseppe Cesari e alla sontuosità di un emblema encomiastico di antica e armoniosa bellezza.Scrive tra l’altro il vescovo Spreafico nella prefazione, riferendosi al dipinto: «Era un capolavoro che avevamo sotto gli occhi da secoli ma che non aveva mai ricevuto fino ai giorni nostri l’attenzione che meritava. Va reso merito a chi ha voluto richiamare questa attenzione con un’iniziativa che ha incontrato subito il favore del nostro predecessore, monsignor Lorenzo Loppa, e la collaborazione dell’Ufficio diocesano dei Beni culturali e l’Edilizia di culto e della sua responsabile Federica Romiti». Spreafico preannuncia inoltre questa importante novità: «Il San Sisto del Cavalier D’Arpino, sarà una delle bellezze che faranno parte del costituendo Museo diocesano di Alatri; in un certo senso, rappresenterà uno dei suoi beni più prestigiosi e ammirati».Igor Traboni
La “Madonna lignea” di Vico nel Lazio a Roma per il Giubileo

Sono passati 29 anni da quando la statua della Madonna lignea fece il suo ritorno a Vico nel Lazio, nel settembre del 1995, dopo essere stata recuperata dai militari della Finanza in un casolare della campagna romana. Ignoti trafficanti di opere d’arte l’avevano infatti trafugata dalla chiesa di San Martino, una prima volta nel 1975 ed una seconda volta nel 1994. Adesso però la Madonna lignea riparte dal paesino per essere dapprima restaurata, a cura della Soprintendenza e grazie anche ai fondi dell’8xmille alla Chiesa cattolica, e poi per essere esposta nella mostra “Nel tuo nome, l’arte parla di comunità”, in programma durante il Giubileo, presso palazzo Braschi, a Roma, dal mese di aprile del prossimo anno. La cerimonia di saluto per la partenza della Madonna lignea si è svolta sabato 31 agosto, presso la chiesa di San Martino, alla presenza del parroco don Luigi Battisti, del sindaco Stefano Pelloni, del priore della “confraternita orazione e morte” Maria Vittoria Battisti e di un folto gruppo di fedeli. Il coro parrocchiale, diretto dal maestro Luciano Velluti, ha animato la cerimonia con numerosi canti mariani. Dal canto suo Federica Romiti, responsabile dei beni culturali della diocesi di Anagni-Alatri, ha portato i saluti del vescovo monsignor Ambrogio Spreafico ed ha presentato Arianna Ercolani, restauratrice, e Andrea Nante, curatore della mostra romana. Quest’ultimo ha sottolineato il legame tra la comunità e l’effige sacra, esplicitando anche le motivazioni che hanno indotto la Cei a scegliere proprio quest’opera d’arte, tra tutte le altre presenti in Italia, per fruire di un apposito restauro conservativo a cura della Soprintendenza. Al termine della cerimonia il sindaco e il priore hanno espresso soddisfazione per la scelta del restauro, sottolineando il profondo legame che unisce i fedeli di Vico alla Madonna, tanto che, come ricordato dal parroco don Luigi Battisti, ben 5 chiese del paese sono dedicate a Maria. Il gruppo ligneo, alto 123 centimetri, è costituito dalla Madonna seduta con il bambino in braccio; risale al XII-XIII secolo ed è stato realizzato, probabilmente, da artisti laziali. Una dettagliata relazione sull’opera è stata elaborata da Caterina Bizzarri ed inserita nella pubblicazione “Reliquie e reliquiari di Vico nel Lazio e Trisulti con novità storiche ed architettoniche” di Salvatore Iacobelli ed Aldo Cicinelli. Notizie sulla Madonna lignea sono reperibili anche sulla guida turistica di Natale Tomei e nella scheda elaborata dal critico d’arte Mario Ritarossi, nel calendario del 2000 di Arti Grafiche Tofani.
