Sinodalità e primato: cammino della commissione ortodossa-cattolica. Incontro ad Anagni

Anche quest’anno, come Commissione diocesana dell’Ufficio per l’Ecumenismo, abbiamo voluto presentare a un più vasto pubblico i risultati del dialogo teologico in campo ecumenico, convinti che solo una recezione del movimento ecumenico da parte del popolo di Dio può portare all’unità dei cristiani. Venerdì 12 aprile, presso il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, si è  svolto l’incontro ecumenico sul tema «Sinodalità e primato: percorso negli ultimi documenti del dialogo ortodosso-cattolico», con la partecipazione del prof. don Pasquale Bua per la parte cattolica e dal prof. Maskin Kivelev da parte ortodossa russa. Partendo dal Vaticano I con la sua urgenza storica di affermare le prerogative divine del papa da una parte e con l’interruzione forzata del Concilio dall’altra, il prof. Bua, tra l’altro membro della Segreteria del Sinodo,  ha chiarito la vera intenzione dei Padri conciliari di produrre, accanto al documento sul ministero petrino (Pastor aeternus) un altro sul ministero dei vescovi. Purtroppo, l’interruzione dei lavori conciliari ha consegnato alla storia successiva una visione parziale di chiesa, sbilanciata sul primato papale. Il Vaticano II  ha equilibrato il servizio di Pietro con il ridare il giusto posto a tutto l’episcopato, come è messo bene in luce dalla Lumen Gentium, e ha iniziato un nuovo approccio con le altre chiese e comunità cristiane. Il relatore ha proseguito mettendo in risalto come tutti i papi dopo il Concilio si sono pronunciati in modo innovativo sul primato petrino.  Paolo VI ha parlato del primato papale «di servizio, ministero e amore» e ha istituito il Sinodo dei Vescovi, come istituzione permanente. Papa Giovanni Paolo II nella enciclica Ut Unum Sint  ha affermato che il primato  petrino esiste come garante dell’unità, ma paradossalmente, è diventato causa di disunione. Ha messo in risalto come il papa detiene un primato nel servizio e Gesù ha indicato Pietro come ‘roccia’, ma non per le sue capacità bensì per pura grazia di Dio. Il primato di Pietro è  vegliare, essere sentinella perché la Chiesa non sia minacciata da lupi rapaci. Inoltre, il primato petrino non può essere vissuto separato dal collegio dei vescovi di cui il papa stesso fa parte. Infine, ha chiesto ai teologi di studiare una nuova forma di esercizio del primato, senza negare ciò che è essenziale ad esso (UUS, 88-96). Benedetto XVI fin dal primo momento ha posto il dialogo ecumenico come prioritario nel suo ministero petrino, ha incoraggiato il lavoro tra ortodossi e cattolici e infine, con le sue dimissioni, ha dato una nuova percezione del papato. Papa Francesco ha messo in luce  il fatto che  l’appello di S. Giovanni Paolo II a cercare una nuova forma di esercizio del primato non sia stato ancora pienamente recepito. Ha invitato a una “conversione del papato” (EG 32). Ha affermato che il papa non è  al di sopra della Chiesa, ma dentro la Chiesa, un vescovo tra i vescovi (Discorso per il 50° del Sinodo dei vescovi). Ha iniziato una decentralizzazione di responsabilità che coinvolge anche la periferia e, fra i titoli riconosciuti al papa, ha preferito quello di ‘vescovo di Roma’. Inoltre, con la sua decisione di iniziare un cammino sinodale nella Chiesa cattolica ha aperto una strada nuova anche nella comprensione del suo ministero. Don Bua ha fatto riferimento poi ai dialoghi ecumenici circa il primato, iniziati già dal 1968 tra la chiesa cattolica e quella anglicana, fino agli incontri della Commissione ortodossa-cattolica. La pregevole relazione di Bua per la capacità di sintesi e chiarezza si è conclusa con piste di riflessioni su tre nodi da affrontare: ripensare ai fondamenti biblici del primato petrino con uno sguardo ai testi dei Vangeli non più condizionati da “letture confessionali”; studiare a fondo ciò che appartiene al primato come diritto divino, riconosciuto come elemento essenziale perché la Chiesa si conservi come Cristo l’ha voluta, da ciò che sono le interpretazioni accumulate lungo i secoli e  tener  conto dei limiti del primato di giurisdizione e di infallibilità, in quanto «il papa non scavalca l’autorità dei vescovi ma la preserva e, se necessario, la supplisce» e, riguardo alla infallibilità «il papa non crea nuove dottrine, ma riconosce e proclama ciò che tutta la Chiesa infallibilmente crede». Partendo dalla svolta del Vaticano II e dall’incontro memorabile di Atenagora I con Paolo VI che sigillò un nuovo approccio che si stava dischiudendo tra le due Chiese sorelle, il prof. Kivelev ortodosso russo, attualmente docente a Roma in alcune pontificie università, ha offerto al pubblico il cammino ecumenico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse, in particolar modo con la chiesa russa.  Il relatore riferendosi al Documento di Ravenna (2007) ha affermato qual era la prassi del governo della Chiesa sia in Oriente che in Occidente nel I millennio, quando  non c’era sinodalità senza protos, un «primo», né protos senza sinodalità. Questa stretta interrelazione tra primato e sinodalità veniva espressa a livello locale, regionale e universale.  A quest’ultimo livello, il protos tra i patriarchi era riconosciuto nel vescovo di Roma anche dalle Chiese orientali. Il prof. Kivelev ha affermato come nel II millennio, dopo la frattura del 1054, il governo nella Chiesa Ortodossa è stato caratterizzato dalla sinodalità, sottolineando quanto sia difficile tra i 15 patriarcati di cui è essa composta (la Chiesa Russa ne riconosce 11), arrivare a “una sinfonia”. Ha accennato, come esempio, alla mancata partecipazione di quattro Chiese al Concilio pan-ortodosso svoltosi a Creta nel giugno 2016. Dopo una preparazione unanime, iniziata dagli anni ’60 del XX secolo, quattro giorni prima dell’inizio dell’evento che doveva radunare tutte le Chiese ortodosse, la Chiesa russa insieme a  quelle di Bulgaria, Georgia e Antiochia ritirarono la loro partecipazione. Per quanto riguarda il cammino ecumenico il relatore ha delineato il rapporto della Chiesa cattolica con la Chiesa russa segnato da momenti di ravvicinamento, come il permesso dato ai cattolici nel Sinodo del 1962, di poter ricevere la Comunione nei luoghi dove mancava un prete cattolico e al fatto che la Chiesa ortodossa russa è la sola a riconoscere come validi tutt’e sette i sacramenti della Chiesa cattolica. Oggi però si avverte una certa

Mediterraneo, mare di pace: ad Anagni un incontro ecumenico

Mediterraneo: un ‘mare nostrum’ su cui si affacciano popoli e culture diverse che potrebbero vivere nel rispetto reciproco e nella pace.  Le tre grandi Religioni monoteiste confuse spesso come responsabili di guerre e tragedie, causate invece da bassi interessi economici e politici. La speranza è messa a dura prova. La domanda urgente è: cosa possiamo fare noi cristiani?  Andare controcorrente in un cammino “alla rovescia” e costruire la pace ad ogni costo. Ma la pace è un’utopia se manca la fraternità vera. Questo sarebbe il compito principale dei cristiani. Fondare la pace  su una fraternità sentita e vissuta sinceramente, partendo dal piccolo, dalle situazioni concrete di ogni giorno, per arrivare al grande. Costruire spazi di fraternità in cui conoscerci, scoprire le bellezze delle altre Chiese e imparare gli uni dagli altri. Esperienza vissuta sabato 16 marzo, in un incontro ecumenico svoltosi nella chiesa parrocchiale di S. Andrea ad Anagni.  Non a caso una chiesa intitolata all’apostolo  fratello di  Simon Pietro: due apostoli che simboleggiano le Chiese sorelle di Oriente e di Occidente. Cattolici e una rappresentanza di altre Chiese, riuniti per un dialogo con Mirvet Kelli (nella foto), teologa della Chiesa siro-ortodossa, nel quale si è avvertito il calore e la bellezza di essere insieme come fratelli e sorelle. Un viaggio nel mondo di una Chiesa, una delle più antiche, fondata già nell’anno 36 d.C., in Siria, dove è nato il nome di ‘cristiani’, che mantiene in parte la stessa lingua di Gesù e che oggi è ancora molto viva anche in Kerala (India). E poi i motivi storici che l’hanno portata a rimanere isolata, ma custodendo intatta tutta la fede in Cristo Gesù. Dopo ben 15 secoli, la sorpresa di rincontrarsi con la Chiesa cattolica in un dialogo teologico aperto, e le dichiarazioni reciproche di riconoscimento di professare la stessa fede nella divinità e nell’umanità del Cristo, pur esprimendolo in un linguaggio diverso,  di tutti e sette i sacramenti, di cui tre – come l’Eucarestia, la confessione e l’Unzione degli infermi – possono essere ricevuto dai cattolici e dai siro-ortodossi, in caso di necessità, (vedi Dichiarazione comune del Papa Giovanni Paolo II e del Patriarca  siro d’Antiochia Moran Mar Ignatius Zakka Iwas, del 1984). È scaturita una serie di domande pratiche riguardanti l’oggi, da cui  è apparso chiaro che anche  i documenti ufficiali delle Chiese che dichiarano l’unità, rimangono sulla carta se non vengono conosciuti,  e se non c’è di base un “dialogo della vita” in cui i cristiani vivano l’amore reciproco. Dialogo della vita che porta ad aprirsi anche a quello interreligioso, come Mirvet Kelli ha mostrato attraverso la sua esperienza diretta con il mondo musulmano, col quale i cristiani siro-ortodossi convivono  ogni giorno. Dialogo che non consiste nel voler convertire l’altro, ma nello stabilire  contatti personali, dando testimonianza di amore a tutti i costi sull’esempio di Gesù. Solo così crollano i muri del rifiuto, ostilità, disprezzo. E infine la preghiera, quella ‘del cuore’, che dalla testa scende a tutta la persona – facendosi respiro dell’anima – in un rapporto di amore, confidenza, umiltà, abbandono. Cuore col quale avvicinare ogni altra persona. “Mi ha dato una bellissima testimonianza di fraternità nella diversità delle religioni” è stato uno dei tanti commenti dei presenti. Rivolgersi a ogni persona con occhi nuovi, senza pregiudizi, senza rancori – singolarmente e insieme – sapendo che in ogni essere umano c’è una presenza del Creatore di tutto, è un bel programma per la Chiesa che desidera essere ‘casa e scuola di comunione’ e ‘in uscita’.      di Grazia Passa      Membro della Commissione diocesana dell’Ufficio per l’Ecumenismo  e il Dialogo interreligioso

Più unità, per la pace: la preghiera ecumenica interdiocesana

Tanti i fedeli che l’altro ieri sera, venerdì 19 gennaio, si sono ritrovati nella chiesa parrocchiale di Tecchiena per partecipare alla preghiera ecumenica interdiocesana, in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, Ambrogio Spreafico, il pastore Massimo Aquilante, della Chiesa Valdese, e l’evangelista Stefano Cacciatore, della Chiesa neo-apostolica, hanno offerto le loro riflessioni sistemandosi sotto una caratteristica tenda, a simboleggiare l’accoglienza, e non prima di aver bevuto un bicchiere d’acqua, offerto loro dal parroco di Tecchiena don Antonello Pacella, a significare invece l’ospitalità e la comunione, secondo una tradizione del Burkina Faso nei confronti di chi arriva stanco dopo un viaggio. Dopo l’introduzione di suor Gabriella Grossi, direttrice dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso di Anagni-Alatri, e alcuni momenti di preghiera alternati a canti, il vescovo Spreafico ha invitato i presenti a meditare su alcuni punti, a partire dall’importanza del fare delle domande a Gesù, che vuole dialogare con noi, e poi rifacendosi alla parabola del buon samaritano, declamata poco prima: «Chi fu il prossimo di quell’uomo mezzo morto lasciato sul bordo della strada? Tutti e tre videro quell’uomo, ma uno solo si fermò. Eppure erano uomini religiosi, un sacerdote e un addetto al tempio.  Non basta essere frequentatori della casa di Dio per vivere secondo la sua parola e non secondo noi stessi. Noi vediamo tante immagini di donne e uomini mezzi morti o eliminati dall’odio, dalla violenza, dalla guerra, dall’abbandono della nostra società a volte crudele e disumana. Ma poi le immagini passano e si dileguano. Anche noi spesso passiamo oltre, dall’altra parte, scansiamo il dolore di quelle immagini. Chi si ricorda Cutro? Chi si ferma davanti alle immagini di morte, di guerra, di distruzione? E quante volte passiamo oltre il dolore e la solitudine di un’anziana sola o malata, che avrebbe bisogno di qualcuno che si accorga di lei, prima che muoia e venga trovata a casa magari dopo mesi?». Monsignor Spreafico ha quindi fatto un esplicito richiamo alla compassione «un sentimento attribuito solo a Gesù nel Vangelo, ma che cambia la scelta di quell’uomo che passava di là per caso e non aveva nulla a che fare con quel poveretto. La “compassione”, la scelta di immedesimarsi nella condizione dell’altro, chiunque sia, ma soprattutto in chi è nel dolore, chi è ferito dalla vita, rende la vita possibile, perché fa avvicinare, si fa cura, medicina. Ma non può fare tutto il samaritano. Tuttavia lo porta in un luogo dove qualcun altro possa continuare a prendersi cura di lui. Queste locande sono le nostre comunità. Nessuno riesce a far tutto da solo per gli altri, né per i poveri. Abbiamo bisogno di essere nel “noi” delle nostre comunità, che, come ha detto papa Francesco, dovrebbero essere come “ospedali da campo”». di Igor Traboni

Venerdì 19 gennaio, a Tecchiena, la Preghiera ecumenica interdiocesana

Sarà la chiesa parrocchiale di Santa Maria del Carmine a Tecchiena di Alatri (via Cavariccio) ad ospitare, venerdì 19 gennaio con inizio alle 20.30, la preghiera ecumenica nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, Ambrogio Spreafico, presiederà la celebrazione, alla quale parteciperanno anche i rappresentanti delle Chiese presenti nel territorio delle due diocesi.In tutto il mondo, come sempre, la Settimana è prevista dal 18 al 25 gennaio perché compresa tra la festa della Cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo. Quest’anno verterà sul tema “Amerai il Signore tuo Dio e il tuo prossimo come te stesso”.