Apertura del Giubileo in diocesi: l’omelia del vescovo Ambrogio
Sorelle e fratelli,siamo saliti verso la cattedrale come pellegrini, come gli uomini e le donne che salivano al tempio di Gerusalemme per incontrarsi con il Signore. Il Vangelo ci racconta che i genitori di Gesù usavano anche loro salire a Gerusalemme per la Pasqua. Salire verso il Signore, uscendo da se stessi. Salire insieme, come popolo, comunità. Ecco il primo grande dono del Giubileo: riscoprire e gustare la gioia di uscire da se stessi per essere insieme in un mondo diviso, dove la solitudine frantuma le relazioni. Insieme rinnoviamo la nostra fede nella forza di amore del nostro Dio, cifacciamo guidare da Gesù che nel Natale ci ha dato la speranza di un nuovo inizio. Pellegrini di speranza è ciò che deve caratterizzare questo anno che iniziamo con gioia.Giunti davanti al Signore riconosciamo le nostre fragilità e il nostro peccato. Infatti, il giubileo è ilgrande tempo del perdono di Dio e della remissione dei debiti: ognuno secondo la Bibbia tornava inpossesso di ciò che aveva perduto. Questo è anche il significato più vero dell’indulgenza plenaria.Di solito ci riteniamo creditori nei confronti degli altri. Crediamo che c’è sempre qualcuno che cideve qualcosa: attenzione, considerazione, affetto, e molto altro. Oggi scopriamo un’altra parte dinoi stessi: essere in debito con Dio, ma anche con gli altri. Riflettiamo allora: cosa avremmo potutofare per qualcuno e non lo abbiamo fatto? Oggi il Signore ci ricorda il debito verso di lui non perfarci sentire in colpa, ma perché possiamo gioire del suo perdono e così pentirci di tutto quello chenon abbiamo fatto o abbiamo fatto di male, per rendere più bella la nostra vita, essere capaci comelui di voler bene, perdonare, restituire il bene ricevuto, amare con gratuità senza sempre aspettarciqualcosa in cambio. Ecco la vera libertà: il perdono ci rende liberi di amare e il pentimento crea lacoscienza di essere tutti in debito con qualcuno, perché ci aiuta a riconoscere il male fatto e il benenon fatto. La grazia del Giubileo è perciò libertà e felicità. La porta che entrando abbiamoattraversato è la porta del perdono e della speranza.Il Signore ci attende. Gesù, come nel tempio con i saggi di Israele, vuole dialogare con noi. Ciascolta e parla. Egli mostra la sua saggezza non per sottometterci al suo volere, come i tiranni diquesto mondo, ma per aiutarci a vivere felici, perché chi lo accoglie, lo ascolta, accetta di farsiaiutare dalla sua parola, può crescere come lui in sapienza, età e grazia. Gesù stesso risponde aMaria e Giuseppe che deve occuparsi delle cose del Padre suo. Ecco l’impegno di questo anno digrazia: fare spazio nel cuore a Dio nostro Padre, per essere come la famiglia di Nazareth. Ma nonsiamo soli. Gesù cammina con noi, prega con noi, è in mezzo a noi, alle nostre comunità. Forsecome Maria e Giuseppe anche noi a volte lo perdiamo perché presi da noi stessi, dalla fretta dellenostre faccende. Cerchiamolo e si farà trovare, perché è sempre lì, alla porta del nostro cuore. Lapreghiera personale e comune, la lettura della Bibbia, la Santa Messa della domenica, gli incontrinelle nostre comunità e associazioni, la condivisione della nostra vita con tutti, soprattutto con i deboli e i poveri, saranno il luogo dove possiamo sempre trovarlo. Non avere paura, non pensareche non puoi fare nulla per cambiare il volto violento del mondo, in cui sembrano vincere l’odio ela forza che sottomette e distrugge. E’ il giubileo della speranza. C’è speranza, perché il Signorevuole sperare con te in un tempo di pace e fraternità, di amicizia e solidarietà.Papa Bonifacio VIII, cittadino di questa nostra bella città, diede inizio il 22 febbraio 1300 alprimo Giubileo cristiano perché un concorso di popolo lo chiedeva, chiedeva l’indulgenza plenaria,chiedeva perdono per i peccati, sentiva il bisogno della misericordia di Dio in un secolo difficile. Sì,sorelle e fratelli, abbiamo bisogno anche noi di quella misericordia e di quell’amore paziente delSignore che può cambiare la vita, cominciando dal cambiamento di noi stessi. Questo è il tempo delperdono, del pentimento, della speranza che non delude. Così ha detto papa Francesco all’aperturadel Giubileo nella Basilica di San Pietro: “Sorelle, fratelli, questo è il Giubileo, questo è il tempodella speranza! Esso ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama alrinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventidavvero un tempo giubilare… A noi, tutti, il dono e l’impegno di portare speranza là dove è stataperduta: dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano ilcuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nellasofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde deipoveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza”.Sorelle e fratelli, facciamo nostra le parole di Francesco e la gioia di questo momento insieme,perché il Giubileo liberi le energie di bene che sono in noi e in tutti, perché ogni giorno il male siavinto dal bene, l’odio dal perdono, l’inimicizia dall’amore, l’esclusione dalla condivisione.
Messa del giorno di Natale: l’omelia del vescovo Ambrogio
“Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie. Sono le parole che nel profeta Isaia, pronunciate in un tempo buio a un popolo in esilio, dopo una guerra che aveva distrutto Gerusalemme e reso povera quella terra. Sì, la violenza, la guerra, le tante ingiustizie rendono buia lavita. Eppure noi già da più di un mese camminiamo nelle nostre città circondati da tante luci. Potremmo dire: ma dov’è tutto questo buio? Cari amici, il buio è ovunque, soprattutto nei cuori e nelle menti, ma ci si illude di essere nella luce; così si preferisce non pensarci, perché il buio ha sempre messo paura. Chi di noi non ha avuto paura del buio soprattutto da piccolo? Il buio circonda i luoghi di dolore e di solitudine: gli istituti abitati da anziani spesso soli, le campagne dei lavoratori sfruttati, i campi profughi dove migliaia di persone vivono di stenti, le periferie delle grandi città, le strade e le stazioni dei Paesi ricchi abitate da centinaia di senza fissa dimora, le discariche di grandi città dell’Africa e dell’Asia percorse da povera gente che si arrangia per sopravvivere, i Paesi martoriati dalla guerra, dalla violenza del narcotraffico, da gruppi armati assoldati da ricchi padroni o depredati dallo sfruttamento delle risorse. Chiediamoci: dove nascerebbe oggi Gesù? Forse non toccherebbe a uno di questi luoghi, come gli toccò la mangiatoia di Betlemme?E poi: dove sono i piedi di quel messaggero che annuncia la pace in un mondo diguerre? E quel è la sua buona notizia? Vale anche per noi? Si, proprio oggi riceviamola buona notizia, che può essere un nuovo inizio per noi e per il mondo: “Il Verbo – laParola di Dio – si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi; noi abbiamocontemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pienodi grazia e di verità”. Davvero una buona notizia, una speranza per l’umanità: quellaParola antica di Dio che, come abbiamo ascoltato nella Lettera agli Ebrei, “moltevolte e in molti modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti,ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio”. Gesù parla a noida quella mangiatoria di Betlemme. Ci parla come povero senza casa, comeviandante che non ha trovato un luogo ospitale, come bambino bisognoso di cura eamore. In lui vediamo la sofferenza, il dolore, la solitudine di tanti uomini e donne,esclusi da un mondo ingiusto e violento. Eppure, ci furono alcuni che accorsero dalui, attorno a Maria e Giuseppe: dei pastori e dei Magi d’oriente. Gente diversa,poveri e ricchi. Per tutti è possibile andare da lui. Ma si deve ascoltare la vocedell’angelo, il messaggero di Dio, per poter uscire dal proprio mondo di sempre, dalleproprie faccende e da quell’abitudine a non avere mai tempo se non per se stessi,poco tempo per ascoltare gli altri e per non farsi guidare solo dal proprio istinto odalle emozioni. Da quella mangiatoia viene la luce, viene la speranza di un Dio bambino in mezzo a noi, che illumina il buio e ti fa camminare con lui verso gli altri per essere con loro.Vai allora! Come i pastori lascia il tuo gregge, il tuo possesso, quello che sembradarti il necessario e la felicità. Lasciati guidare dalla stella, la luce di Dio, che ti portaverso la mangiatoria di Gesù, venuto a condividere la nostra vita, il dolore, la fatica,le paure, per darti la gioia di essere davanti a lui, per seguirlo, ascoltarlo, fare partedella sua famiglia senza confini. Con lui comincerai a incontrare gli altri, il lorodolore e la loro speranza, la loro tristezza e le loro attese, la loro debolezza e il lorobisogno. Li ascolterai con lui, e con lui cominceranno a far parte di una famiglialarga, la famiglia di Dio, il popolo delle nostre comunità, dove ci sarà posto per tutti,a cominciare dai poveri e dagli esclusi. E noi con loro saremo segno di quellafraternità che rende amici, felici di essere insieme, condividendo la nostra vita nellasolidarietà e nell’amore reciproco.Oggi, dopo il tempo di avvento, abbiamo di nuovo cantato il Gloria, il canto di lodedell’esercito celeste, un esercito la cui forza non è in armi che uccidono, ma nella vitache viene da Dio e che si esprime nel cantare la sua lode e non la nostra, come diconsueto in un mondo di donne e uomini abituati a lodare se stessi, a farsi lodare e adispiacersi se qualcuno non lo fa. Sono belle e piene di speranza le parole di questoinno che cantiamo così spesso: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra paceagli uomini amati dal Signore”. Pensate: la gloria di Dio è la pace sulla terra, quandonoi siamo capaci di costruirla e di aiutare gli altri a viverla. Cantiamo allora la suagloria, che di solito viene cantata per chi vince una guerra. Ecco la speranza delNatale, sorelle e fratelli: viviamo in pace, ovunque siamo costruiamo la pace conGesù, così renderemo gloria a Dio riconoscendolo “principe della pace”, amante dellavita, nostro unico Signore e Maestro. Grazie, Signore, perché torni in mezzo a noi perrenderci famiglia di Dio, sorelle e fratelli perché figli del Padre tuo, luce di vita e disperanza per l’umanità.Il Giubileo, a cui papa Francesco ha dato inizio ieri aprendo la porta Santa di SanPietro e che noi apriremo nella nostra diocesi domenica in questa Cattedrale, siadavvero la buona notizia che nella nascita di Gesù ci accompagnerà in tuttoquest’anno, donandoci la felicità di essere donne e uomini di pace, solidali, amici,fratelli e sorelle, pellegrini di speranza. Come ha detto Francesco: “A noi, tutti, ildono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta: dove la vita è ferita,nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nellastanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto,nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla
La preghiera di Natale del vescovo Ambrogio
Ecco il testo della preghiera composta dal vescovo Ambrogio per il Natale 2024
Pontificio Collegio Leoniano: inaugurazione dell’anno accademico 2024-2025, l’omelia del Vescovo Ambrogio
Segue il testo dell’omelia del Vescovo Mons. Ambrogio Spreafico nella celebrazione per l’inaugurazione dell’anno accademico 2024/25del Pontificio Collegio Leoniano – Anagni 23 ottobre 2024Clicca qui per scaricare il pdf Fratelli e sorelle, iniziamo questo nuovo anno davanti al Signore, per nutrirci cella sua Parola, pane di vita eterna. Abbiamo bisogno di ritrovarci insieme davanti a lui, per ricentrare la nostra vita, per riscoprire la gioia e la bellezza di essere cristiani, di vivere il senso di essere popolo, comunità, non tanti io che camminano da soli pur essendo con gli altri. L’apostolo Paolo ci trasmette sempre il grande dono di essere comunità, di vivere la gioia dell’unità e della fraternità, quel mistero di cui anche le genti sono diventate partecipi, condividendo la “stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”. Egli si sente partecipe di questa grazia, che è annunciare “alle genti le impermeabili ricchezze di Cristo”. Se c’è una resistenza nel tempo in cui siamo riguarda proprio la condivisione della gioia di essere comunità, popolo riunito dalla Spirito Santo come segno dell’unità di tutto il genere umano”, come dice il Concilio. Il mondo ci abitua all’io, ad essere concentrati su di sé, i propri bisogni, le proprie esigenze, emozioni, paure, e via di seguito. Siamo in un mondo in cui gustare la forza di essere “corpo di Cristo”, uniti dal suo amore per noi, è diventato quasi una richiesta troppo difficile. Nella parabola che abbiamo ascoltato Gesù parla di un padrone, che ha bisogno di amministratori che si facciano custodi della sua casa. Noi tutti, in modi diversi, siamo chiamati a custodire la casa di Dio, le nostre comunità, anche questo luogo dove molti di voi vivono. Essere amministratori non vuol dire essere padroni. Poco prima il Signore aveva parlato dell’inganno della ricchezza e del possesso, perché “la vita non dipende dal possesso”. Il mondo abitua al possesso. La violenza e le guerre sono spesso frutto della smania di possesso di beni, terre, ricchezze altrui. Ma anche la vita quotidiana è costellata di un modo di vivere in cui possedere beni, esibirli, usarli mettendoli in mostra (pensate a chi sfreccia per le strade con macchine enormi per esibirsi o ci semplicemente vuole qualcosa perché è di moda! Si comincia già da piccoli a pretendere per esibirsi e non essere da meno degli altri). Non è spontaneo essere amministratori, o, come aveva detto proco prima Gesù, servi. Molti vogliono essere solo padroni! Questa è una grande tentazioni anche degli uomini e delle donne di chiesa e riguarda anche le nostre comunità. Possedere, sentirsi padroni, magari solo di una chiave o di un incarico, invece di essere al servizio. Da qui nascono giudizi, gelosie, irritazioni, persino rivalità. Così a volte si perde il senso di essere al servizio di una casa dove l’unico signore a maestro è il Signore. Quindi si perde anche il senso dell’attesa, della vigilanza. Ma si deve vigilare, perché la casa che noi abitiamo come cristiani è per tutti, è per una famiglia che deve sentirsi accolta, amata, rispettata nelle sue diversità. Sorelle e fratelli, “a chiunque fu dato molto, molto più sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”. Molto ci è stato dato a cominciare dalla vita e da quanto ciascuno di noi ha ricevuto negli anni della sua crescita, ma anche molto ci è stato “affidato”. L’evangelista si riferisce qui a quanto il Signore ci ha affidato come discepoli del Signore dal battesimo in poi nella vita della Chiesa. Bisogna avere sempre la consapevolezza di quanto abbiamo ricevuto e di quanto ci è stato affidato. Solo questa consapevolezza ci aiuterà ad essere non padroni, ma servi, pronti a restituire quanto abbiamo ricevuto. Vivere la vita come restituzione di qualcosa che abbiamo ricevuto libera il cuore e la mente dall’ossessione del possesso, dei beni, dell’esibizione. Rende umili e quindi sempre vigilanti, perché bisognosi di accogliere il Signore nella nostra vita e di condividere con gli altri quanto abbiamo ricevuto. Con questa consapevolezza sapremo costruire un mondo fraterno, comunità accoglienti, non chiuse nei propri riti e nelle proprie conventicole di uguali, che finiscono per escludere, per giudicare e disprezzare gli altri. Quante esclusioni umiliano la grazia di un Vangelo che, come dice Paolo, è grazia per tutti. Cari amici, condividiamo la grazia e la gioia di un Vangelo che ci è stato affidato e che può avvicinare tutti a un modo di vivere fraterno e amico in un mondo che esclude e discrimina, in cui i poveri sono spesso dimenticati, gli stranieri esclusi e respinti, i giovani non ascoltati, gli anziani lasciati soli e ghettizzati. Quanta miseria ci tocca vedere! Quanta ingiustizia! Non assecondiamo mai questa mentalità che sta rendendo l’umanità più povera e violenta. Siamo portatori qui e nei luoghi che ci vedono vivere e operare della grazia e del dono che abbiamo ricevuto e che ci è stato affidato, perché sia comunicato con gioia e passione. La cultura che qui viene comunicata sia la via per allargare la vostra mente e il vostro cuore al mondo in cui siamo, perché la cultura deve sempre parlare al tempo in cui viene comunicata, come la fede deve diventare ogni volta cultura del vivere, altrimenti sarà sterile ripetizione. Il Signore ci aiuti, la Vergine Santa e i patroni delle nostre comunità, che affidiamo al Signore, ci proteggano e ci portiano sempre verso il Signore e intercedano perché il mondo ritrovi la via della pace e della fraternità. + Ambrogio Spreafico
L’intervento del vescovo Spreafico alla cerimonia per la memoria della deportazione degli Ebrei di Roma
La Comunità di Sant’Egidio e la Comunità Ebraica di Roma hanno promosso anche quest’anno una memoria della deportazione degli ebrei di Roma, compiuta dai nazisti il 16 ottobre 1943. Furono in 1.024 ad essere strappati dalle loro case e deportati ad Auschwitz: ne tornarono solo 16. La ferita inferta al tessuto della città è stata profonda e ci richiama all’importanza di un impegno contro ogni forma di antisemitismo e di razzismo. La commemorazione pubblica si è tenuta alla vigilia dell’anniversario del tragico evento, il 15 ottobre alle ore 19.45, proprio nel luogo in cui avvenne, al Portico d’Ottavia, nel cuore del quartiere ebraico di Roma, che oggi ha preso il nome di Largo 16 ottobre 1943. (il link per rivedere il video completo)https://www.santegidio.org/pageID/30284/langID/it/itemID/58953/La-memoria-della-deportazione-degli-ebrei-romani.html Alla commemorazione sono intervenuti: il Sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, il Presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, il Rabbino Capo Riccardo Di Segni, il presidente della Comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi e il vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino mons. Ambrogio Spreafico. Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’intervento del vescovo Ambrogio:Clicca qui per scaricare il pdf Il recente incontro internazionale delle religioni per la pace che Sant’Egidio ha promosso a Parigi aveva come titolo, Immaginare la pace. E’ una speranza coltivata dai profeti pur in mezzo a ingiustizie e guerre e che ci conduce questa sera a continuare a crederlo con voi, sapendo che è un sogno che le Sacre Scritture ebraiche ci propongono tante volte.Qui ogni anno noi ricordiamo quanto l’odio per l’altro possa condurre a una violenza e a una crudeltà così cruda, che non riesce più a vedere nell’altro, e allora era l’ebreo, considerato dall’ideologia nazista e fascista indegno di essere parte della cosiddetta umanità dei puri, una donna e un uomo, semplicemente un essere umano come te, uno creato a immagine e somiglianza di Dio, come recita così bene l’inizio di Bereshit. L’odio cresce e la barbarie della violenza lo fa crescere.Allora nessuno ebbe pietà, perché l’odio toglie ogni residuo di pietà e rende l’Altro solo un nemico da sconfiggere ed eliminare. Erano uomini, donne, bambini, vecchi, malati. Che importa. Nessuno di loro aveva diritto di continuare a vivere. La loro memoria oggi deve rimanere un monito in un mondo in cui rigurgiti di antisemitismo e di razzismo diventano sempre più frequenti e rendono a volte persino pericoloso mostrarsi con la propria identità religiosa o etnica che sia.È stato recentemente tradotto in italiano un documento dei vescovi francesi, “Decostruire l’antigiudaismo cristiano”. È un segno ulteriore che mostra come la Chiesa Cattolica, dal Concilio Vaticano II, si è impegnata perché l’antigiudaismo, che tanto ha segnato la cultura cristiana, sia eliminato. La “decostruzione”, che compie questo documento, evidenzia un passato con convincimenti non più condivisibili, ma anche un rinnovato impegno della Chiesa cattolica per riscoprire le radici ebraiche della sua fede e per stabilire un dialogo fraterno con il popolo ebraico.Esso dovrebbe preservarci dall’accondiscendere al clima di odio e di violenza che respiriamo, in cuil’antisemitismo e l’antigiudaismo sono così cresciuti soprattutto dopo la strage compiuta da Hamasnel sud di Israele e la conseguente risposta di Israele. Dovrebbe altresì aiutarci a rinnovare quell’alleanza di amore e di pace, che sola porta alla vita e che, nella nostra diversità, e insieme nella comune appartenenza alla famiglia umana, tutti siamo chiamati a custodire e a testimoniare “spalla a spalla”, come dice il profeta (Sofonia 3,9). Scrive un sapiente ebraico: “Per guarire dalla violenza potenziale verso l’Altro devo essere capace di immaginarmi come l’Altro”. Questo è anche immaginare la pace spalla a spalla.Cari amici della Comunità ebraica di Roma, a cui ci lega una salda e antica amicizia, sento l’urgenza di un impegno comune in questa direzione. Vorrei attingere alle vostre Scritture per dire che oggi abbiamo bisogno di condividere quel Tiqqun ‘olam, “quella riparazione del mondo”, così necessaria e urgente. Bisogna fare qualcosa al mondo che non solo ripari i suoi danni ma anche che lo migliori, preparando il suo accesso allo stato ultimo per il quale esso fu creato, quell’armonia delle differenze che solo può rendere possibile una convivenza pacifica e umana e un futuro all’umanità. C’è molto dolore e molta distruzione da riparare, molto odio da raddrizzare, un linguaggio parlato e scritto da eliminare, molta violenza da combattere con le armi insostituibili della mitezza e di un dialogo pacificatore. Di questo spirito ne ha bisogno questa città, ne ha bisogno il mondo, ne hanno bisogno le relazioni sociali, per riparare quei danni dell’io che con arroganza non sa ascoltare e dialogare.Sono stato nel mese di luglio a Betlemme, Gerusalemme e Tel Aviv con una delegazione europeadella Comunità di Sant’Egidio. Ho incontrato alcune famiglie dei rapiti del 7 ottobre. Abbiamocondiviso il dolore di tutte le parti. Il dolore ci accomuna e ci chiede un impegno perché si torni adialogare, perché Israele possa vivere in sicurezza e pace e ci sia pace per tutti. + Ambrogio Spreafico
Assemblea Ecclesiale 2024, l’omelia del Vescovo Ambrogio
Segue il testo dell’omelia del Vescovo Mons. Ambrosio Spreafico nella celebrazione di chiusura dell’Assemblea Ecclesiale 2024 Abbazia di Casamari – Veroli -Domenica 13 ottobre 2024 Clicca qui per scaricare il pdf Sorelle e fratelli, lo Spirito di Dio ci raduna come un popolo attorno al suo Maestro e Signore, quel Dio che in Gesù Cristo ci ha rivelato l’amore profondo per l’umanità intera, e che noi, come suoi discepoli, siamo chiamati a comunicare con gioia e passione. E’ quanto ci siamo detti in questi giorni nell’Assemblea delle nostre due diocesi, che stanno condividendo la gioia di lavorare insieme in questo tempo difficile, in cui tanti io, individuali o di gruppo, preferiscono l’isolamento nei loro confini, umani o geografici che siano, fino ad arrivare alla contrappostone e all’eliminazione dell’altro, come avviene nella violenza e nelle guerre.Noi siamo il popolo dei discepoli di Gesù, parte di un popolo universale, “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”, come dice il Concilio. Se non siamo questo, se non siamo seme di unità, di amicizia, di inclusione, di dialogo con tutti, semplicemente non siamo discepoli di Gesù di Nazareth, ma appartenenti a chiesuole, gruppi, associazioni, che si fanno le loro cose e rischiano di crescere senza portare frutto. La nostra assemblea esprime con semplicità e umiltà la ricchezza di questo popolo nella diversità di ognuno, ma anche nella sua forza di amore e di passione per il Vangelo, generatrice di sogni e di visioni per il mondo.Siamo guidati e nutriti da quella Parola di Dio, “viva ed efficace, più tagliente di ogni spada a doppio taglio, … che discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”. Per questo siamo qui. Lasciamoci scrutare dalla Parola di Dio, perché produca in noi sapienza del vivere e umanità. Il mondo ha bisogno di umanità, saggezza, amicizia, gentilezza, amore. Ma, se ascoltiamo solo noi stessi, non andremo molto oltre. A volte siamo scontati, troppo sicuri; ripetiamo noi stessi, imponiamo i nostri schemi aprendoci con fatica al nuovo, o pensando di essere già noi il nuovo. Come ascolteremo gli altri, le loro domande, il bisogno dei poveri, la solitudine degli anziani e le incertezze dei piccoli e dei giovani, le attese e le speranze di pace del mondo?Il Vangelo ci ha parlato dell’incontro di Gesù con un “tale”. In quel tale ci potrebbe essere ciascuno di noi, ma anche ogni donna e ogni uomo. Ha una domanda dentro, una domanda di vita. Era ricco, ma non gli bastava per essere felice, realizzare se stesso. “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?” Gesù risponde in modo sorprendente: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo”. Pensate quante volte ci sentiamo buoni, a posto con Dio e con gli altri. E che dovrei fare di meglio e di più? Ma Gesù sa che non basta sentirsi buoni e fare il proprio dovere, come quel tale. Così Gesù “fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!” Sorelle e fratelli, Gesù ci ama, sa chi siamo meglio di noi, conosce il nostro desiderio di vita piena e di felicità. Per questo ci indica una risposta, una proposta di vita per tutti. Sì, ti manca qualcosa di essenziale. Va’, vendi quello che hai, lascia quello che credi il tuo tesoro, vivi la solidarietà con i poveri e avrai un tesoro nel cielo. “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”, aveva detto parlando alle folle (Mt 6,24). La parola di Gesù è un ammonimento e un invito prezioso per la vita di ognuno di noi, non solo dei consacrati e consacrate o dei sacerdoti. Gesù propone ad ogni discepolo un tesoro, che non è possibile comprare, come i beni che possediamo, né si ottiene con un benessere che lascia insoddisfatti. Questo tesoro è innanzitutto nel cielo. Ma il suo possesso comincia già fin da oggi. Infatti, Gesù aggiunse: “Poi vieni e seguimi”. Seguire Gesù è anche separarsi da qualcosa di nostro. Lo aveva chiesto già Dio ad Abramo, che si separò dalla sua terra e divenne benedizione per tutti. Noi a fatica sappiamo separarci da ciò che abbiamo, anzi molti vivono per possedere, spendono energie e sostanze solo per il loro interesse. Tanti arraffano beni a dispetto dei poveri. La vita dei poveri, la miseria di molti, non li tocca, non li muove a compassione. E noi? Come ci collochiamo? Quante volte abbiamo risposto all’invito spesso ripetuto di metterci al servizio dei poveri e dei deboli; non ho tempo, ho da fare, ho molti impegni… Ricordatevi che quel tale se ne andò triste, perché possedeva molti beni. I beni non sono garanzia di felicità, sebbene molti lo credano.Cari amici, lasciamoci guidare dalla Parola di Dio. Costruiamo insieme, con tutti, un mondo fraterno, includendo nel nostro amore i deboli, i soli, i poveri, gli insoddisfatti, gli abbandonati, e otterremo un “tesoro nel cielo”, ma “già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà”. Gesù non nasconde le difficoltà, ma sa che vale la pena accogliere il tesoro di amore che ci viene proposto e affidato. Lo sapremo oggi fare nostro? Solo chi accoglie questo tesoro, potrà essere seminatore di fraternità, di pace, essere una donna e un uomo di dialogo, che sa ascoltare e parlare, prendendosi cura della vita degli altri. Il mondo soffre per la guerra e per la violenza, ma soffre anche per la mancanza di pensiero e di visioni. Il Signore cerca profeti che sappiano indicare vie di pace, immaginare la pace costruendola con la pazienza dell’amore ogni giorno. Dialogo e amore vanno insieme. Tu, ognuno di noi, può esserne responsabile. Alcuni
Assemblea Ecclesiale 2024, intervento del vescovo Ambrogio: “Vivere da cristiani in un cambiamento d’epoca”
Segue il testo completo del Vescovo Mons. Ambrosio Spreafico dal titolo “Vivere da Cristiani in un cambiamento d’epoca“Clicca qui per scaricare il pdf Non vorrei aggiungere molte cose a quanto già ascoltato dal prof. Pasquale Bua. Vorrei solooffrivi alcuni spunti che arricchiscono quanto da lui detto. Il cambiamento d’epoca in cui siamoesige che anche noi cambiamo. Spesso viviamo come se fossimo in un antico palazzo che ha le suecrepe e rischia di crollare, senza che nessuno cerchi di pensare a metterci mano. Si continua facendole stesse cose, come se niente fosse. Così ripetiamo concetti, verità, schemi, devozioni, pratichereligiose, facendo fatica a capire che quello che abbiamo detto fino a ieri oggi forse solo pochi locapiscono, e soprattutto pochi lo credono utile per la loro vita; quindi, ciò che diciamo e facciamorischia di essere inefficace, di non provocare la necessaria crescita umana e spirituale, di non dareinizio a un cambiamento, perché di questo ha bisogno il mondo. Mi chiedo ad esempio:nell’itinerario di iniziazione cristiana quanto entri nell’umanità di coloro che noi incontriamo ognisettimana per quattro anni tanto da incidere sulle loro parole, pensieri, abitudini, scelte? O cilimitiamo a credere che basta insegnare la dottrina per preparare una persona a incontrarsi con ilSignore Gesù ed essere rivestito della sua umanità? Certo, abbiamo bisogno di formazione, dipreparazione. Questo è indubbio. Ma poi bisogna essere capaci di far diventare la nostrapreparazione capace di suscitare negli altri, pensieri, sentimenti, parole, atteggiamenti, che sianoinformati dall’incontro con il Signore Gesù attraverso di noi. Questa è la domanda: quanto la Paroladi Dio è diventata l’alfabeto della nostra umanità che parla attraverso di noi?La Parola di Dio, che leggiamo e ascoltiamo, dovrebbe infatti diventare parte della nostraumanità, aiutarci a rileggere la storia, gli avvenimenti, a immaginare il futuro per generare speranza,visioni, sogni, capaci di guidare le donne e gli uomini verso un futuro dove si possa vivere insiemein modo fraterno e pacifico. Non possiamo accettare il dominio della violenza né l’assuefazione allaguerra considerata ormai un fatto normale. Siamo chiamati a costruire con pazienza e saggezza unmondo fraterno, di cui le nostre comunità dovrebbero essere un modello, da condividere senzaescludere nessuno, senza giudicare, senza sentirci migliori, difendendo noi stessi con paura. Ilmondo non è pieno di nemici, ma semplicemente abitato da donne e uomini bisognosi di ascolto edi amore. Il Giubileo della speranza, che condivideremo con tutta la Chiesa a partire dal Natale diquesto anno, dovrebbe essere la porta di speranza che ci fa sussultare, che ci risveglia a un di più divita, di gioia, di amore, da diffondere attorno a noi per la crescita di un’umanità ferita dalla violenzae dalla guerra, ma anche da tanto bisogno di pace e di salvezza. Il Signore Gesù, Parola eterna delPadre, ce ne renda testimoni. Ascoltare, vedere, ripetere, imitare, servire, comunicare Vorrei suggerire alcuni atteggiamenti che ci possono aiutare nel nostro essere discepoli di Gesùnella realtà in cui siamo, comunicando la gioia e la speranza della vita cristiana. Li riassumo inalcuni verbi: dovremmo riscoprire l’immediatezza e l’entusiasmo di quei primi testimoni della fede? C’èanche un altro momento della vita cristiana in cui la ripetizione è essenziale. “Fate questo inmemoria di me”; nella Santa Messa noi ripetiamo le parole ed i gesti dell’ultima cena, maanche, nell’arco del calendario liturgico, sentiamo il bisogno di proclamare e di ascoltare lestesse pagine della Bibbia. Certo, la liturgia non è una ripetizione stanca e scontata diformule, da subire distratti o frettolosi. Essa esprime il cuore stesso della nostra fede: “Ognivolta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunciamo la tua morte oSignore, proclamiamo la tua Resurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Ripetere, in questocaso, non è solo celebrare un evento lontano nella storia, ma rendere attuale e viva lapresenza di Dio, che cammina con noi. Per questo occorre celebrarla con cura e con gioia,trovare bravi lettori, ministranti, scegliere canti a cui l’assemblea possa unirsi. La vita cristiana è vita che deve essere portatrice di umanità compassionevole, gentile, capace diascoltare, di accogliere, di prendersi cura di tutti senza escludere nessuno. Dialogo e amore vanno dipari passo. Solo così si potrà costruire un mondo fraterno a pacifico. Benevolenza non significatuttavia restare in silenzio davanti al male, anzi significa vivere l’autorevolezza di Gesù che seppediscutere e contrastare il male facendo il bene e indicandone la via. In una società di tante solitudinie inimicizie, la Chiesa e le nostre comunità sono custodi, pur con i nostri limiti e il nostro peccato,di un tesoro di comunione e di unità di cui dobbiamo essere consapevoli. L’unità e la comunione delnostro popolo, che si manifesta in modo visibile attorno alla mensa della Parola e del pane di vitaeterna nella celebrazione della Liturgia Eucaristica della domenica, sia il segno di ciò che siamo edobbiamo essere nella vita di ogni giorno. Da lì traiamo forza e speranza, vigore e amore. Da lìpossiamo mostrare al mondo, con umiltà e spirito di servizio, che si può vivere da sorelle e fratellinella diversità di ognuno. Iddio onnipotente e misericordioso ci renda sempre tali e ci mantenganell’unità di amore attorno al suo Figlio unigenito, nostro Signore e Maestro. Fiuggi 5 ottobre 2024Ambrogio Spreafico
Anagni: l’omelia del vescovo Ambrogio per la festa di San Magno
San Magno (Anagni 2024)Sapienza 3,1-9; Giacomo 1,2-4.12; Matteo 10,28-33 Sorelle e fratelli, ogni anno ci ritroviamo per celebrare la festa del patrono di questa nostracittà, San Magno, vescovo e martire. Ci potremmo chiedere: perché trovarsi qui insiemeattorno all’altare per ascoltare la Parola di Dio e ricevere il pane di vita eterna, l’Eucaristia?Non basterebbe limitarci a quelle manifestazioni tradizionali a cui partecipano sempre in tantie che pur hanno il loro valore? Cari amici, dovremmo ricordare sempre che se si perdel’origine e il senso delle nostre feste, alla fine non resterà nulla di duraturo e di vero. Questovale anche nelle memorie che conserviamo della storia. Se celebri una donna o un uomo, manon conosci il valore di quanto hanno detto e fatto, a che serve? La memoria, se non aiuta acapire il mondo in cui siamo e a cambiarlo, come ha fatto nel suo tempo la persona che siricorda, rimane qualcosa di superficiale e anche inutile.Noi siamo in un mondo dallo sguardo corto, con scarsa visione del futuro, un mondo chepensa ad arraffare il più possibile quello che trova oggi. Così si pensa spesso al propriointeresse o a quello dei propri sodali, mentre poco si investe sul bene di tutti, e soprattuttopoco si ragiona con uno sguardo lungo. Così il mondo si popola di egoismi, di solitudini, diaffaristi, di violenza e di guerre. I santi, in modi diversi, hanno scelto di essere custodi e servidel bene. Ascoltatori non di sé stessi, ma del Vangelo, hanno lottato per il bene, hanno diffusoamore, hanno difeso i poveri, si sono opposti alle ingiustizie. Erano certi che Dio li avrebbesostenuti, accompagnati, e si sono affidati a lui. Come abbiamo ascoltato nel Vangelo,sapevano che per il Signore la loro vita era preziosa. Sì, sorelle e fratelli, anche noi siamopreziosi agli occhi di Dio. Lui conta su di noi, su ognuno di noi. Sa che, pur nella fatica e nellepaure della nostra vita, tutti desideriamo il bene, vorremmo vivere insieme in pace. Lasolidarietà che molti cercano di vivere anche in questa città e in questa terra, benedetta dauna lunga storia di fede e di una cultura radicata nella fede è un segno di questo desiderio. Labellezza della nostra cattedrale ne è un esempio fra tanti. Essa custodisce una lunga storia difede, che è diventata cultura anche in tempi difficili e che oggi ci deve guidare a cercaresempre il bene.San Magno, vescovo e martire, vorrebbe che tutti fossimo donne e uomini che si prendonocura degli altri, che sanno comunicare lo spirito del Vangelo con la parola, l’esempio, l’amoreper tutti, a partire da chi soffre ed è escluso. Tutti hanno bisogno di amore! Ma non aspettiamosempre di riceverlo, non pretendiamo che siano gli altri a darcelo. Vuoi essere felice? Impara a dare amore, attenzione, impara a prenderti cura di qualcuno, un anziano, una persona che habisogno di essere semplicemente ascoltata, considerata, un ragazzo o un giovane che nonparla con nessuno, perché sta solo sui social e si isola, e molti altri che stanno attorno a te. Noisiamo qui per questo. Nessuno è al centro, nessuno pretende; solo il Signore è il centro, e perquesto noi possiamo essere sorelle e fratelli, parte di un popolo, una comunità che si trova congli altri, senza prepotenza, con amicizia. Durante la Santa Messa ascoltiamo, preghiamo,cantiamo (sempre una preziosa corale la vostra!), ci scambiamo il segno della pace, cinutriamo del pane dell’Eucaristia, il cibo che nutre il nostro animo. Tutti e ciascuno nella suaparticolarità è amato da Dio. Questa dovrebbe essere la nostra vita ogni giorno, comel’Eucaristia che celebriamo. Certo, sarebbe necessario esserci almeno la Domenica, il giornodel Signore, così da vivere lo spirito che qui ricevi attorno al Signore con i fratelli e le sorelle,con questo popolo con cui condividi la tua vita. È questo amore generato dalla fede che creauna cultura umana e fraterna.Poi cammineremo insieme con lo stesso passo, per le vie di questa bella città, tempopermettendo. San Magno ci accompagna, e pensiamo che con il suo passaggio entri in ognicasa e possa essere di benedizione e aiuto per tutti per renderci custodi dell’amore e dellapace dono di Dio. Quanto bisogno abbiamo di pace in un mondo bellicoso, poco capace disognare e costruire la pace, rassegnato alla guerra come se fosse parte normale della storia,mentre è solo frutto di chi cede alla forza del male e a quell’odio che quando si insinua nelcuore ne diventa padrone. “Beato l’uomo che resite alla tentazione”, abbiamo ascoltato nellalettera di Giacomo. Ognuno ha tanti sentimenti, pulsioni, passioni dentro di sé. A volte si cedee si diventa aggressivi, prepotenti, violenti. Anche la nostra città e questa terra non è esenteda parole e gesti di violenza. Non possiamo condividerli e non possiamo sempre stare aguardare, come se non riguardassero anche noi. Come non possiamo far finta di nientedavanti allo scempio di questo territorio non solo del passato, ma di oggi. Penso ad esempio aquanti incendi stanno distruggendo un patrimonio che ci vorranno anni per ricostruirlo. Sivergognino coloro che lo provocano e ricordatevi che l’omertà e il silenzio sono complicità! Eche dire della piaga del caporalato, che percorre il nostro Paese da nord a sud e che risvegliala nostra coscienza solo quando muore qualcuno? Non possiamo accettare tutto questo!Sorelle e fratelli, San Magno risvegli in noi il desiderio del bene, la scelta per la pace e laconvivenza pacifica e fraterna. San Magno non era nato qui, ma qui portò lo spirito fraterno ebenefico della parola di Gesù. La sua memoria sia di aiuto e di sostegno per tutti noi, proteggai piccoli e i giovani dalle false illusioni, sorregga gli anziani e i malati nella fragilità, sia seme disaggezza per chiunque ha una responsabilità nella società e nella Chiesa, ci renda segno diquella famiglia umana di fratelli e sorelle, di cui il mondo ha bisogno. Custodiamo la suamemoria come una testimonianza preziosa per la nostra vita e come un segno dell’amore diDio per noi, per questa terra e per questa bella città. Amen!
Il Vescovo Ambrogio scrive alla diocesi e ricorda anche i prossimi appuntamenti pastorali
Carissimi, vorrei farmi vicino a ognuno di voi, sorelle e fratelli, all’inizio di questo mese di agosto, in cui, oltre al necessario riposo di cui ognuno deve usufruire, ci accompagneranno le feste che rendono partecipi tanti delle nostre comunità, compresi i nostri emigrati che tornano a condividere con i loro parenti e concittadini il legame con questa bella terra della loro origine. Anzitutto vorrei esprimere la mia vicinanza a tutti voi, esortandovi a non lasciarvi prendere dall’abitudine e da quel triste pessimismo che sembra convincerci che ci dobbiamo accontentare di quello che siamo e di ciò che riusciamo a fare, con l’idea di trovarci in un tempo di declino e che quindi l’importante è mantenere almeno ciò che abbiamo costruito e per cui fatichiamo. Ma, come voi sapete, chi vive solo per difendere ciò che ha senza una visione e un pensiero per il futuro, finirà per perdere anche quanto gli è rimasto. Questa è una costatazione valida per ogni realtà civile e umana, quindi anche per la Chiesa e le nostre comunità. Ancor più questo modo di pensare non può essere accettabile per persone il cui fondamento del vivere viene dalla fede e che si apprestano a celebrare il giubileo, la cui parola guida è la speranza. Certo non si può negare che i tempi sono difficili, ma la Chiesa ha sempre fatto i conti con le difficoltà dei tempi in cui si è trovata a vivere. La Parola di Dio e la fraternità attorno alla tavola del Pane di vita eterna l’hanno sempre aiutata ad essere profeta nella storia e a vivere con passione e pazienza l’annuncio del Vangelo. Oggi c’è tanta gente che soffre e si chiude nel proprio piccolo mondo, rinunciando a costruire un mondo fraterno e pacifico. Poi tanta gente soffre vicino e lontano da noi. Penso ai molti anziani soli, malati o negli istituti. Chiedo a voi e alle nostre comunità di visitarli, di aiutarli, facendogli sentire la nostra vicinanza e il nostro affetto. Se il caldo eccessivo stressa noi, figuratevi loro, costretti a stare a casa per evitare pericoli per la salute. Vorrei ricordarvi alcuni appuntamenti e impegni: Vi saluto con amicizia e gratitudine, mentre vi chiedo di rimanere uniti nella preghiera, perché possiamo costruire nelle nostre comunità un clima di armonia e fraternità, evitando inutili protagonismi, che sono solo ostacolo al vivere insieme. Ogni incarico è servizio da compiere con umiltà, perché solo così darà frutto. Vi saluto con amicizia † Ambrogio Spreafico
Il vescovo Ambrogio: «Gli incendi fenomeno vergognoso e grave»
Carissimi,ogni anno anche nel nostro territorio, come altrove nel nostro Paese, si continuano a provocare incendi che non solo distruggono il nostro patrimonio agricolo e boschivo, ma che talvolta raggiungono anche le abitazioni, mettendo in pericolo la vita della gente. E’ un fenomeno vergognoso e grave, spesso sottovalutato nel sentire comune. Da Amaseno fino a Fumone, come altrove, si reagisce in maniera rassegnata o fatalista: “Succede”! Ragionando così, tuttavia, si rischia di essere involontariamente complici nella distruzione di questo territorio così bello, che è già in affanno per il ben noto inquinamento della terra, delle acque e dell’aria. Insieme, credenti e persone di buona volontà, facciamo parte di quel creato che, come scrive l’Apostolo Paolo, «geme e soffre» a causa di continui attacchi da parte dell’essere umano (cf. Rm 8,20). Siamo discepoli del Signore Gesù, che, non a caso, ha voluto parlare alle folle in luoghi incontaminati, godendo della bellezza di prati verdeggianti, di laghi e di monti ricoperti dai boschi, per entrare in comunione con Dio. Possiamo vincere quel senso di impotenza di fronte ai roghi impegnandoci tutti ad essere custodi e pastori del creato. Spero, pertanto, che si possano individuare e fermare le persone che, accidentalmente o per scelta, innescano questi terribili incendi. Mi permetto di chiedere a tutti di vigilare e, soprattutto, di non rendersi complici in molti modi,anche con l’omertà, di tali atti. Sono vicino a coloro che hanno subito danni e alle forze dell’ordine, soprattutto al Corpo dei Vigili del Fuoco, che si prodiga con generosità perché le fiamme siano domate e perché non ci siano ulteriori vittime o danni.Il vescovo Ambrogio