Chiamati ad essere samaritani. Presentato il libro “Le guarigioni nella Bibbia”

In un pomeriggio denso di significati, giovedì 30 maggio, presso il Centro pastorale di Fiuggi, è stato presentato il libro “Le guarigioni nella Bibbia”, edito da Morcelliana nella collana “Cieli aperti” e che ha tra gli autori il vescovo Ambrogio Spreafico, assieme a Maria Cristina Marazzi e Francesco Tedeschi. Alla presenza dello stesso Spreafico, vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, la presentazione, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, ha visto come primo intervento quello di Vito Grazioli, medico e fondatore di A.N.C.D.A.. Grazioli ha tracciato la valenza del libro seguendone il canovaccio dei titoli dei capitoli, a partire da quel “Perché la malattia” che «è una domanda che attraversa i secoli e va anche da Giobbe a Gesù, con il primo che fa un percorso per comprendere che Dio non l’ha abbandonato e Gesù che si farà carico della sofferenza», ha detto Grazioli, che poi ha anche parlato delle attività dell’Ancda, associazione contro il disagio e l’alcolismo che proprio a Fiuggi ha dato vita al Villaggio dell’Ottavo giorno «dove abbiamo costruito case, e non stanze, per la cura di tutta la famiglia e non solo del singolo», ha chiosato Grazioli, preannunciando peraltro che il tema del libro sarà anche quello del campo-lavoro che si terrà in agosto presso il Villaggio. La necessità di riscoprire l’opera di misericordia della visita ai malati, che poi è uno dei perni di questo libro come ricorda anche Marco Impagliazzo nella prefazione, è stata quindi sottolineata all’inizio del suo intervento da don Paolo Cristiano, docente di Teologia biblica al Leoniano di Anagni e parroco della Cattedrale di Frosinone: «Un’opera di misericordia spesso messa tra parentesi, così come quella della visita agli anziani che oggi soffrono di un’altra grave malattia: la solitudine. E questo libro ci aiuta a fermarci accanto a chi soffre, a farci samaritani. Invece oggi ci sono degli schematismi nei confronti della malattia, come quello della rassegnazione o del dire “ha smesso di soffrire”, espressioni che andrebbero abolite dal nostro vocabolario di cristiani: Dio ascolta sempre il nostro grido, non ci lascia mai soli, ci spinge ad uscire dalle nostre idee scontate e dai pregiudizi. No, la rassegnazione non è un sentimento cristiano, perché Gesù davanti alla tomba di Lazzaro si è commosso fino alle lacrime», ha rimarcato don Cristiano che poi, da fine studioso dell’Antico Testamento, ha tracciato anche dei parallelismi con quanto contenuto in alcuni libri forse poco conosciuti, da Tobia al Qoelet al Siracide. Il terzo intervento è stato affidato a Loredana Piazzai, pediatra, della Comunità di Sant’Egidio di Frosinone: «Questo libro ci parla di problemi della nostra vita, della malattia, di come affrontarla, anche di come accettare la non guarigione. E ci dà risposte che partono sempre dalla saggezza della Bibbia, che ci parla ancora oggi», ha rimarcato la Piazzai, andando anche all’etimologia di parole come guarigione «che vuol dire “riparare”» e alla sua esperienza di medico, anche in Paesi africani dove opera la Comunità di Sant’Egidio o nell’ambulatorio multiculturale di Frosinone: «Come medici siamo prima chiamati ad ascoltare il malato: se ti ascolto, ti accolgo, ti parlo, ho già fatto una parte del cammino di cura. Perché curare è preoccuparsi dell’altro. Una parte della guarigione, oltre ai farmaci, arriva proprio da questo aspetto di socialità. Come cristiani partiamo dal dolore e arriviamo alla speranza, cardine della nostra fede. Relazionarsi con gli altri è fondamentale», si è avviata a concludere la Piazzai, rimarcando come il libro «ci aiuta anche ad accettare il dolore, muovendo dalla Parola di Dio». E’ stato quindi il vescovo Ambrogio Spreafico a trarre le conclusioni, in un breve indirizzo di ringraziamento ai numerosi presenti e rimarcando quello che ha definito «il cuore del libro: Dio riconosce in ognuno di noi l’umanità. Noi siamo abitati da Dio, fatti a sua immagine e somiglianza. In ognuno di noi c’è l’impronta di Dio e, con la forza della fede e la preghiera, Gesù ce la fa ritrovare. E Dio non ci parla come vogliamo noi ma, come a Giobbe, ci fa capire  che siamo parte di quella meraviglia che è il Creato». di Igor Traboni (nella foto, da destra: il vescovo Ambrogio Spreafico, Vito Grazioli, Loredana Piazzai, don Paolo Cristiano)

“La bellezza veicolo del bene”: un successo il Festival musicale del Creato

«Avete dimostrato come la bellezza possa essere il veicolo straordinario del bene» – Così mons. Ambrogio Spreafico, vescovo delle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, si è espresso a conclusione della I edizione del Festival del Creato, un’iniziativa delle due diocesi, presa nell’ambito dell’itinerario sinodale, in collaborazione con il Conservatorio Licinio Refice di Frosinone. Lunedì 27 maggio 2024, nell’Auditorium Daniele Paris del Conservatorio frusinate, davanti a 300 giovani incantati per l’emozione e la bellezza, i giovani musicisti dell’Ensemble Contemporaneo del Conservatorio hanno eseguito gli 8 brani, appositamente composti per il Festival. È stato il m° Luca Salvadori a coordinarli e a presentare le loro composizioni che sono state ispirate dal libro di Genesi, dall’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, dal libro “Il creato imperfetto” di mons. Spreafico, dalla poetessa francese Cecile Sauvage, uno commovente testo composto quando attendeva il figlio Olivier Messiaen, dal Cantico delle creature di Francesco d’Assisi. «Un insieme fulgido di bellezza e di libertà», come l’ha definito il m° Salvadori.  E questo voleva appunto essere il Festival del creato, una festa della bellezza, capace di raccontare la vita. E così Daniel Ezquerra ha presentato Vitae custodes, ispirato al Libro di Genesi, per voce recitante, flauto, clarinetto, clarinetto basso ed elettronica mentre Pierpaolo Di Stefano ha fatto ascoltare Alea marina per flauto contralto, clarinetto, clarinetto basso, vibrafono e pianoforte. Poi  Rosy Cristiano, giovane compositrice di Mignano Montelungo, ha presentato  ‘Dal Cielo al centro della Terra’ per due flauti, clarinetto, clarinetto basso, fisarmonica, pianoforte, percussioni cui ha fatto seguito Antonino Caracò con  Nature, lasse-moi mêler à ta fange su testo di Cécile Sauvage, con voce recitante, pianoforte e due percussionisti. Quindi è stata la volta di Massimiliano Piscitello con  Conversazione con un bosco per flauto, clarinetto e percussioni e di Virgilio Volante con Iter aeris per flauto, clarinetto, clarinetto basso, timpani. Le ultime due composizioni sono state quelle di Ruben Doda: Laudes Creaturarum, su testo di San Francesco d’Assisi, per voce recitante, flauto, clarinetto, clarinetto basso, fisarmonica e di Alessandro Di Maio: Bardo – Intermediate State, per video e fixed media a cura della Scuola di Musica Elettronica. Ciascun compositore ha dialogato con gli studenti presenti che venivano dal II e IV circolo di Frosinone, dall’Istituto Comprensivo di Ripi Torrice, dall’Istituto Bragaglia, dall’Itis Volta di Frosinone, dal Liceo di Ceccano, dall’Itis Don Morosini di Ferentino, dall’Istituto Superiore di Ceccano. L’Ensemble contemporaneo del Conservatorio Licinio Refice ha interpretato i brani con i flauti Elide Recine, Sofia Del Monte, il clarinetto Anastasia Ambrosetti, il clarinetto basso Piergiorgio Fabrizi, la fisarmonica Edoardo Gemmiti, le percussioni Giuseppe Iazzetta e Giammarco Madia, il pianoforte: Antonino Caracò  e Virgilio Volante, le voci recitanti Cristina Conflitti e Adriano Testa. Il Festival è stato coordinato dal m° Luca Salvadori, insieme al m° Riccardo Santoboni e al m° Maurizio Giri, in collaborazione con le classi di Canto, Flauto, Clarinetto, Fisarmonica, Percussioni, Pianoforte, Storia della musica. In sala, insieme al vescovo, erano presenti il direttore del Conservatorio, il m° Mauro Gizzi e varie altre personalità. Nel salutare tutti i giovani intervenuti, mons. Spreafico li ha ringraziati per l’impegno profuso nella composizione e nell’esecuzione dei brani e anche per il coraggio di misurarsi su temi così importanti ma ha voluto complimentarsi anche con il pubblico dei ragazzi che ha mostrato grande attenzione ed interesse di fronte alle proposte artistiche. «Non rinunciate mai a pensare – ha concluso – è la cosa più importante che abbiamo insieme alla cultura e allo studio». Il vescovo ha anche proposto di realizzare una pubblicazione del Festival del Creato, con il video, le partiture e i testi che sono stati utilizzati. di Pietro Alviti link dell’evento:https://youtube.com/live/Kkv1t7m4PXM?feature=share  foto Vittoria D’Annibale

“Le guarigioni nella Bibbia”: presentazione del libro del vescovo Spreafico

Ognuno di noi, più o meno direttamente, ha fatto esperienza della malattia, finendo con il porsi delle domande: perché la malattia, il dolore, la sofferenza? E le nostre risposte spesso non bastano o comunque sono insufficienti o lacunose; a meno che su tutto non si posi uno sguardo altro e alto, che è quello della Bibbia, scrigno inesauribile anche rispetto e davanti a temi come questi. E ad offrire la giusta inclinazione per questo sguardo arriva il libro “Le guarigioni nella Bibbia. Da Giobbe a Gesù”, scritto dal vescovo Ambrogio Spreafico assieme a Maria Cristina Marazzi e Francesco Tedeschi. Biblista e docente di Sacra Scrittura monsignor Spreafico; medico e docente universitario la Marazzi; mentre Tedeschi è sacerdote e docente di Liturgia e Teologia Sacramentaria , accomunati dall’impegno nella Comunità di Sant’Egidio verso i più deboli. Il libro è stato pubblicato dalla Morcelliana nella collana “Cieli aperti” (nella nuova serie anche volumi di Andrea Riccardi e Mario Marazziti) della Comunità di Sant’Egidio. Un libro che in diocesi di Anagni- Alatri verrà presentato giovedì 30 maggio, al Centro pastorale di Fiuggi alle 18.30, con gli interventi di Loredana Piazzai (pediatra, Comunità di Sant’Egidio), don Paolo Cristiano (docente di Teologia biblica al Leoniano di Anagni), Vito Grazioli (medico, fondatore di Ancda) e alla presenza del vescovo Spreafico. «Le pagine di questo libro – scrive Marco Impagliazzo nella prefazione – aiutano l’uomo e la donna contemporanei, abitatori di un oggi liquido e a volte superficiale, a leggere in maniera più fruttuosa “i segni” del tempo, anche quelli amari e indesiderati del dolore (…) Emerge l’invito a non scoraggiarsi, a lasciarsi contagiare dalla speranza, a cercare “nel contatto con Gesù una buona notizia per la propria vita”». Come a rispondere ad un sos che spesso non osiamo neppure lanciare – quasi provassimo una sorta di pudore a confrontarci con la malattia – questo libro, conclude Impagliazzo, «ci aiuterà a non fare come il levita e il sacerdote, ma ad essere “samaritani”, e cioè più umani». Queste pagine fanno così comprendere come rispetto alla malattia, e per tornare al termine di paragone iniziale, ci sono anche sguardi inusitati e valori spesso dimenticati. Come quello dell’amicizia, che gli Autori presentano da par loro nel capitolo sul paralitico di Cafarnao e nel gesto che oggi definiremmo “eroico” dei quattro amici che issano il ploro amico sopra la casa, scoperchiano il tetto e lo calano davanti a Gesù, facendosi carico della vita dell’uomo paralizzato fino a diventarne le sue gambe e le sue braccia. E, tornando invece ai grandi interrogativi che ci poniamo rispetto alla sofferenza, uno dei più frequenti è il “perché Dio manda le malattie?”. E qui gli Autori rispondono in un altro capitolo del volume, così denso di riflessioni che non si può certo sintetizzare nelle poche righe di una recensione, non a caso intitolato “Dio non manda le malattie”, attraverso l’episodio ben noto del cieco nato e il suo autentico e niente affatto recondito significato: dopo aver riacquistato la vista, quel cieco deve comunque imparare a guardare perché tutta la sua vita – esattamente come la nostra – torni ad essere luminosa. Oltremodo preziose queste pagine perché pongono il lettore anche davanti ad episodi e figure bibliche che sovente diamo per scontate, probabilmente senza conoscerle a fondo. E’ il caso dell’emorroissa, che gli Autori offrono come paradigma delle pagine in cui affrontano un altro tema delicato e pure questo un po’ rimosso da certa narrazione contemporanea: la vergogna di non esser sani. Anche qui l’indicazione è netta: «C’è uno “sfogo” silenzioso del dolore dei malati che bisogna imparare a comprendere e ad ascoltare. Ed è a volte il segno di una fede nascosta che non si riesce ad esprimere con parole e preghiere». Quella donna si aggrapperà dunque al lembo del mantello di Gesù: «La sua non è una fede particolare, ma è la fede di una donna che non ha perso la speranza di guarire». di Igor Traboni

Il vescovo ai giovani: «Connessi alla vita, perché ci piace!»

Molto partecipata e sentita è stata la veglia di Pentecoste dei giovani con il vescovo Ambrogio, tenutasi nella serata di venerdì 17 maggio presso la chiesa del Sacro Cuore, a Frosinone. Nel piazzale antistante la chiesa, si sono dapprima ritrovati circa 300 giovani provenienti da varie parrocchie, associazioni e movimenti delle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, attorno ad un grande braciere, per una serie di invocazioni, canti e preghiere allo Spirito Santo. In maniera altrettanto semplice, ma ben strutturata, la veglia è poi proseguita all’interno della chiesa, seguendo il tema scelto per la serata, ovvero “AscioltiAMOmoci”, con quelle tre lettere che aprono alla più grande parola ‘amore’ messe in bella evidenza. Il vescovo Ambrogio Spreafico si è poi rivolto ai giovani presenti con una riflessione, mettendo subito in risalto la bellezza della serata – organizzata dalle pastorali giovanili e vocazionali delle due diocesi – e dello stare insieme: «Ognuno di noi ha le sue fatiche, debolezze, sogni, ma adesso stiamo insieme, e non solo connessi in chat. Siamo insieme fisicamente, e non è una cosa da poco! Tante volte uno pensa di stare insieme ad un altro solo perché è connesso, ma non è così; questa di stasera è la vita vera: incontrarsi, parlarsi, pregare insieme. Noi vogliamo essere connessi alla vita perché ci piace!», ha rimarcato il vescovo, calamitando ancor di più l’attenzione dei giovani, per poi aggiungere: «Lo Spirito Santo è presenza di amore nella nostra vita, ci dà la forza di costruire qualcosa di bello nel mondo. Ma il mondo non cambia se non cambiamo noi. E la forza ci viene anche dal Vangelo che ci parla quando lo ascoltiamo, per poi mostrarci agli altri come un segno. Questa è la vita dei cristiani e di tutta l’umanità. Noi crediamo che incontraci ci aiuta, ci dà speranza per costruire un mondo nuovo. Abbiamo bisogno di pace, di dialogare con gli altri. Insieme siamo una forza di amore e di pace», ha concluso Spreafico. Un incontrarsi che poi è continuato per molti dei giovani: chi con una pizza, chi con un gelato e chi ancora con un cornetto. Ma sempre insieme! Igor Traboni

Presentazione del libro “Le guarigioni nella Bibbia”. Il Vescovo Spreafico tra gli Autori

Il 30 maggio, presso il Centro pastorale di Fiuggi con inizio alle ore 18.30, verrà presentato il libro “Le guarigioni nella Bibbia. Da Giobbe a Gesù” (Morcelliana Ed.) di cui il vescovo Ambrogio Spreafico è Autore, assieme a Maria Cristina Marazzi, medico e docente universitario, e a Francesco Tedeschi, sacerdote e docente di Liturgia e di Teologia Sacramentaria, entrambi legati alla Comunità di Sant’Egidio, che organizza la presentazione. Alla stessa interverranno Loredana Piazzai, pediatra, della Comunità di Sant’Egidio; don Paolo Cristiano, docente di Teologia Biblica al Leoniano di Anagni; Vito Grazioli, medico, fondatore di ANCDA. Sarà presente monsignor Spreafico. Questo libro si rivolge a chiunque abbia fatto esperienza della malattia nell’arco della propria esistenza o a chi ne sia stato in qualche modo coinvolto. Si rivolge, quindi, a tutti. Di qui la domanda stringente dell’essere umano sul perché del dolore, della sofferenza e del male. Con Giobbe, Paolo, ma soprattutto attraverso l’incontro di Gesù con i malati – L’indemoniato di Gerasa, I lebbrosi, L’epilettico indemoniato, La donna guarita, Il buon samaritano, Il paralitico di Cafarnao, Il cieco nato, Maria di Magdala… – gli Autori mostrano che la Bibbia è sempre una risposta sapiente alle domande esistenziali dell’uomo e della donna. Comprendere questi interrogativi è una preziosa indicazione per essere “prossimo” a chi è malato. Di più: è una rivelazione, uno sguardo alternativo sulla realtà umana.

Mons. Spreafico alla veglia per le vocazioni: «Dio chiama tutti. E asciuga le nostre lacrime»

Il vescovo Ambrogio Spreafico ha presieduto la veglia per le vocazioni, tenutasi nella serata di mercoledì 24 aprile nella chiesa parrocchiale di Tecchiena Castello e organizzata dalla Pastorale giovanile e da quella vocazionale della diocesi, con i rispettivi responsabili don Luca Fanfarillo e don Pierluigi Nardi e i componenti della Consulta diocesana dei giovani, alla presenza tra gli altri del parroco don Giorgio Tagliaferri, di altri sacerdoti, del diacono Giovanni Straccamore, di un nutrito gruppo di giovani provenienti soprattutto dalle zone limitrofe e da numerosi parrocchiani del Castello, che hanno anche ben animato la veglia con dei canti tutti dal risvolto vocazionale. «La profezia è visione, è capacità di andare oltre e di vedere oltre il nostro mondo – ha esordito il vescovo, prendendo spunto da un brano del libro dell’Apocalisse di San Giovanni letto poco prima – Ma noi spesso non sappiamo andare oltre perché il mondo cambi. Siamo schiacciati sul passato, sulle guerre, sulla violenza che riguardano anche le nostre strade, le nostre vite, e non solo Gaza, il sud di Israele e l’Ucraina. Eppure ci può essere un andare oltre che Dio vede con noi: se cominci a guardare oltre te stesso, Dio ti parla. Ma se te ne stai sempre lì ranicchiato su te stesso e non alzi mai lo sguardo e vai oltre, questo non succede». Monsignor Spreafico ha quindi invitato i presenti ad ascoltare la voce di Dio «una voce che diventa presenza nelle nostre vite, che diventa chiamata alla vocazione nelle sue diverse forme, perché Dio chiama tutti. E questa voce diventa promessa e asciuga le lacrime, perché tanto è il dolore del mondo, che vediamo anche vicino a noi. Ma finché non si assume il dolore dell’altro, continueremo sempre a vederlo come un nemico; finché non vedremo un uomo e una donna che hanno bisogno del tuo amore, non ci sarà mai pace e fraternità». Il vescovo Spreafico ha poi esortato a ad incontrare la voce di Dio soprattutto nella sua Parola, ricordando – sempre con riferimento alla lettura prima declamata – «che anche a noi viene chiesto di scrivere qualche pagina del nostro incontro con Dio, perché Lui passa, ci chiama e ci dice ‘vieni’, non startene lì rinchiuso nel tuo ‘io’ che non porta da nessuna parte, che non ti serve a niente». Un ultimo passaggio è stato dedicato dal vescovo ancora una volta al tema delle vocazioni: «Qualsiasi vocazione non deve mai essere individuale, ma va vissuta nella comunità. Un prete individualista, un laico individualista, è una persona che non ha accolto quell’invito ‘vieni’. E ci viene chiesto invece di farlo con le nostre comunità. Le nostre vocazioni, nella loro diversità, devono rispondere proprio a questa chiamata di Dio». La veglia, dal titolo “Creare casa”, ha poi avuto altri momenti forti: l’intronizzazione della Parola, portata all’ambone; la recita del Salmo 84 a due cori; l’adorazione e la riflessione silenziosa, accompagnata da un brano della “Christus vivit” di papa Francesco (“Creare casa è permettere che la profezia prenda corpo e renda le nostre ore e i nostri giorni meno inospitali, meno indifferenti e anonimi”); l’offerta dell’incenso; la recita della preghiera per la pace, scritta in occasione di questa 61^ Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Proseguono intanto gli appuntamenti della Pastorale giovanile e vocazionale della diocesi di Anagni-Alatri che, insieme ai coetanei della diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino, venerdì 17 maggio (chiesa del Sacratissimo Cuore, a  Frosinone, alle 20.45) animeranno la veglia di Pentecoste dei giovani sempre guidata dal vescovo Spreafico e che avrà come filo conduttore il tema “Ascoltiamoci, Cominciarono a parlare in altre lingue”. Vanno avanti anche gli incontri dell’equipe della pastorale giovanile diocesana con gli animatori, gli educatori e i catechisti dei gruppi giovanili dai 13 anni in su, divisi per foranie. I prossimi incontri in calendario sono quelli del 3 maggio per Anagni (chiesa di Osteria della Fontana, alle 21) e del 10 maggio a Fiuggi (presso il centro pastorale, sempre alle 21). di Igor Traboni

Il vescovo: «San Sisto ci aiuti ad essere donne e uomini che profumano di pace e amore per tutti!»

Questo il testo dell’omelia pronunciata da monsignor Ambrogio Spreafico nella Messa solenne in onore del patrono San Sisto, in Alatri, mercoledì 3 aprile 2024 ——————————————————————- Sorelle e fratelli, fare memoria di un santo non può essere la semplice ripetizione di un rito con lesue caratteristiche e reminiscenze (sarebbe troppo poco!), ma è poter rivivere la storia di qualcunoche ha accolto l’annuncio della Pasqua come una possibilità di vita e di futuro, non solo dopo lamorte, ma già nella vita terrena. Oggi siamo un po’ tutti facilmente chiusi in noi stessi, occupatinell’esecuzione dei nostri giusti doveri e impegni, a volte stanchi e pieni di paure e delusioni per unmondo dove si fatica a vivere insieme. Così cresce la tristezza, la rinuncia alla solidarietà, lo scontroinvece del dialogo. La rabbia e l’odio diventano un modo di vivere, diventano violenza. La guerraci sembra normale, anche se la detestiamo, ma forse solo per le sue nefaste conseguenze. Il facilegiudizio, in genere malevolo, ci tiene distanti degli altri invece di avvicinarci, ascoltarci e aiutarci.Che fare, ci chiediamo? O forse meglio: che posso fare io con tutto quello che ho già di mio? Cosìsi abbassa lo sguardo e si finisce per vedere solo se stessi e poco oltre. La Pasqua, fratelli e sorelle,anzitutto ci fa alzare gli occhi, come fece alzare gli occhi a Pietro e Giovanni. “Fissando lo sguardosu di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: “Guarda verso di noi”. Era un poveretto, storpio fin dallanascita, che ogni giorno portavano alla porta del tempio, il luogo della preghiera, a chiederel’elemosina. Che fare? Quanti, come quell’uomo chiedono l’elemosina, chiedono cioè di esseraiutati, per le strade delle nostre città o davanti alle nostre chiese. Nella preghiera di quell’uomo sinasconde quella di un numeroso popolo di poveri, di anziani, di gente che non ha nulla, di famigliebisognose di tutto, di profughi da guerre e miseria, e molti altri. Chi li guarderà? Chi si fermerà adascoltare la loro supplica? La risposta di Pietro potrebbe sembrare non adeguata al bisogno diquell’uomo, eppure fu la risposta, perché i bisognosi e i poveri non si aiutano solo dando quantoessi chiedono. “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo,il Nazareno, alzati e cammina! Lo prese per la mano destra e lo sollevò”. Il Vangelo della Pasqua èuna forza di amore, è una parola che risponde al bisogno di vita, di guarigione dei tanti parte di quelpopolo, aiutandoci a prenderci cura di loro. Sì, possiamo superare la distanza dagli altri, da chi habisogno, guardando, avvicinandoci, dando la mano e sollevandoli dal loro dolore, dal male che liaffligge, con gesti e parole di speranza. Non sarebbe bello e umano un mondo così? I cristiani cicredono. Noi vogliamo crederci e per questo scegliamo di non scappare più davanti al bisogno e alladomanda di aiuto di un altro, come fecero il levita e il sacerdote della parabola del Buonsamaritano. Chi di noi non conosce qualcuno che avrebbe bisogno del nostro sguardo, di essereascoltato, delle nostre parole, della nostra cura? Non continuare a far finta di niente, maledicendo il tempo e il mondo, dando la colpa agli altri delle cose che non vanno, e rimanendo così triste e rancoroso, senza risolvere niente, come se il bene dipendesse solo dagli altri.Ma Gesù sa che facciamo fatica a fare questa scelta. Ci conosce. Sa che spesso camminiamodelusi e tristi, incapaci di alzare lo sguardo, di guardare oltre, oppressi dai nostri problemi e fatiche.Così si avvicina, come fece con i due discepoli che scendevano da Gerusalemme a Gerico. Oggi misembra di vedere il nostro santo patrono che cambia strada proprio per avvicinarsi a questa città e aognuno di noi, per aiutarci a credere in quell’amore in cui egli ha creduto, nel Vangelo della Pasqua,la buona notizia della Pasqua. Con Gesù si avvicina, ci parla, dialoga, ci chiede di spiegare la nostradelusione e la tristezza del cuore, e poi ci aiuta con le Sante Scritture, la Bibbia, quella parola di Dioantica con cui Dio Padre aveva parlato al suo popolo Israele e oggi in Gesù parla ancora a noi. Cosìci spiega con pazienza, e anche a noi comincia ad ardere il cuore, perché percepiamo il grandeamore che il Signore ha per noi e che vorrebbe noi vivessimo per essere un popolo fraterno, di genteche sa vivere insieme in modo rispettoso e pacifico, in cui tutti possano avere un posto e unadignità, quella che tutti trovano nella famiglia di Gesù, senza escludere nessuno.San Sisto, papa e martire, ci indica proprio questo. Papa, cioè segno di unità dei discepoli di Gesù– allora la Chiesa era unita – nella frammentazione di un mondo sempre più in guerra. Martire, unuomo che non ha rinunciato a credere che la fede nel Signore morto e risorto lo avrebbe salvatodalla morte eterna. Oggi si avvicina a noi, a questa città, a questa bella terra, per dirci: non averepaura, affidati al Signore, ascoltalo, e lui ti aiuterà, ti salverà e ti renderà forza di amore e di pace inun mondo che ama più la guerra della pace, ti darà lo sguardo per accogliere tutti come parte dellagrande famiglia umana, unita dall’amore di Dio e dalla tua responsabilità di renderla tale ognigiorno! Ricordati che troverai la felicità solo nel bene che saprai fare, nella scelta di prenderti curadegli altri, a cominciare da chi ha bisogno del tuo aiuto, del tuo ascolto, della tua parola, della tuatenerezza, della tua presenza amorevole. Signore Gesù, che ci hai dato San Sisto come amico epatrono, aiutaci con lui ad essere donne e uomini che profumano di pace e di amore per tutti! Amen

Il vescovo Ambrogio in Cattedrale: «La Pasqua un nuovo inizio per noi e le nostre comunità»

Questo il testo dell’omelia pronunciata dal vescovo Ambrogio nella Messa del giorno di Pasqua, celebrata nella Cattedrale di Anagni domenica 31 marzo 2024 —————————————————————- Sorelle e fratelli, l’annuncio della Pasqua giunse inaspettato, tanto che Maria di Magdala, e diseguito Pietro e l’altro discepolo, videro solo la pietra rotolata via dall’ingresso del sepolcro con iteli e il sudario, che avvolgevano il corpo di Gesù, posti nel sepolcro. Non sembra che avesserocapito, ma il Vangelo dice che l’altro discepolo “vide e credette”. Come e perché credette? Perchéaveva visto in quei teli stesi nel sepolcro che era avvenuto qualcosa di inaspettato, dei segni: ilSignore aveva vinto la morte. Sorelle e fratelli, a volte il nostro sguardo si ferma alla superficiedelle cose che vediamo, facciamo fatica ad andare nel profondo. Per questo spesso non si capisce lavita, il mondo, neppure noi stessi. Tutto è emozione, sentimento, superficie, sensazione, immaginiche passano veloci nel tempo di un WhatsApp. Davanti a quel sepolcro si deve entrare, vedere, conattenzione, e poi capire, anche se non c’è tutto già spiegato dall’inizio.È il discepolo più giovane, probabilmente Giovanni, che crede anche se non ha ancora incontratoil risorto. Ancora una volta un giovane, come nel racconto evangelico di Marco, letto nella Vegliapasquale. Lì è un giovane che annuncia alle donne impaurite che “Gesù non è lì, è risorto”.Generalmente siamo piuttosto come Pietro, un po’ increduli, e soprattutto non so se crederemmo aun giovane che ci parla di qualcosa di inaspettato e sconvolgente, quando fatichiamo persino adascoltare i giovani nelle cose normali.Abbiamo bisogno anche noi della Bibbia, la Parola di Dio, che ci aiuti ad entrare nella realtà diquanto è avvenuto, quelle Scritture di Israele che avevano parlato di un Dio che non avrebbepermesso che tutto finisse con la morte e che in Gesù di Nazareth realizzò quella parola. Sorelle efratelli, le Sacre Scritture, quelle che leggiamo nella Santa Celebrazione, e forse poco le meditiamopersonalmente e nelle nostre comunità, sono la via per entrare nelle profondità della storia e deglieventi, anche nella comprensione dell’azione di un Dio che aveva già parlato al suo popolo Israele eche oggi per mezzo del Figlio, parola di Dio fatta carne, continua a parlare anche a noi. Avevamoposto la Bibbia come guida per l’anno pastorale della nostra Diocesi. L’abbiamo presa sul serio?Essa è luce nella vita. È speranza nel buio del pessimismo e della delusione, come fu per i duediscepoli di Emmaus. È balsamo di guarigione per i poveri, gli anziani, i malati e i sofferenti. Èaccoglienza per chi è solo, escluso, straniero. È futuro per chi non lo vede e cammina comesonnambulo senza meta, accettando le cose come vengono, senza lottare e senza passione. È paceper i popoli in guerra – pensiamo soprattutto alla Terra Santa e all’Ucraina- ma anche per noi,perché impariamo a vivere come fratelli e sorelle invece di ostacolarci e contrastare gli altri comefossero sempre rivali. C’è bisogno di un lievito nuovo, che viene con la Pasqua. Il lievito era eliminato durante laPasqua ebraica, e il pane doveva essere azzimo, senza lievito, per ricordare quella Pasqua in Egittoprima della liberazione dalla schiavitù. Il lievito nuovo, sorelle e fratelli, ci è offerto dalla Pasqua dimorte e resurrezione del Signore, quel cibo che dà inizio a qualcosa di totalmente nuovo einaspettato. Sì, cari amici, con la Pasqua inizia un tempo nuovo per noi personalmente, per le nostrecomunità e per il mondo. Inizia il tempo della liberazione, della salvezza, quella che poi celebriamoogni volta con le nostre comunità, ascoltando la Parola di Dio e prendendo parte alla mensa delcorpo e del sangue di Cristo, l’Eucaristia. In essa scopriamo il segreto del nostro vivere insiemecome sorelle e fratelli, perché questa tavola ci libera dal nostro io e ci fa popolo, comunità, donne euomini che vivono in una fraternità universale, che nessuno esclude. Talvolta non crediamo chequesto sia possibile. Partecipiamo alla Santa Messa, ascoltiamo la Parola di Dio, prendiamo partealla mensa del suo corpo offerto per noi; ma che cosa cambia nella vita? La Pasqua è davvero unnuovo inizio. Lasciamoci ardere il cuore, come i due discepoli di Emmaus, da una Parola di vitaeterna che può cambiare noi stessi e il mondo, se la ascoltiamo, che può dare senso e speranza allanostra vita. Fidati! Puoi essere una donna e un uomo felice se accogli questo annuncio. Non ti tirareindietro! Non dire: sono quel che sono; oppure: ho già i miei problemi, non ho tempo per altro e peraltri. Nella Pasqua tutto si rinnova. Ma devi continuare a camminare insieme, con gli altri, acondividere la tua vita con i poveri e i bisognosi, ad essere parte di un popolo di donne e uomini chesiano segno di fraternità e di pace in questo mondo di guerre e di tanto odio e rabbia. Sii allora lucedi amore e di pace, di fraternità e di speranza per tutti, dai piccoli ai vecchi, dai poveri ai ricchi, dachi ti è amico a chi non ti vuole bene. Ecco la Pasqua, vero inizio di un tempo nuovo per te e per ilmondo intero. Grazie, Signore! Tu che hai vinto la morte, vinci le tenebre della guerra e dell’odio edona al mondo quella pace che non sa darsi da solo! Libera i cuori dalle incrostazioni di odio edall’inimicizia. Fa che tutti vedano nell’altro la tua immagine, quell’umanità che rende tutti fratellie sorelle! Padre Onnipotente, forza di vita, rendici discepoli del tuo Figlio, morto e risorto per noi,principio di vita nuova! Spirito Santo Amore, entra nei nostri cuori e trasformali con la potenza deltuo alito di vita! Amen! Alleluia!

Il messaggio del vescovo: «La Pasqua è pace. E si è felici se ci prendiamo cura gli uni degli altri»

Buona Pasqua a tutti. Abbiamo bisogno di buone notizie in questo tempo difficile, di grande sofferenza e violenza. E la buona notizia è il cuore del Vangelo: il Signore è risorto e ha vinto la morte. Questo Vangelo ci dà speranza, ci fa guardare al futuro, liberandoci dalla tristezza e dalla paura. Chi vive prigioniero della paura, finisce per credere che non si può vincere il male. Ma il male e persino la morte non sono la parola definitiva sull’esistenza umana. Gesù, dopo la resurrezione, appare ai suoi amici con le ferite della croce e chiede al discepolo Tommaso di toccare le sue piaghe; solo così l’apostolo avrebbe capito che queste piaghe sono segno di una ferita, di cui qualcuno si deve prendere cura. Anzi, proprio la fede nel risorto potrà essere l’inizio della cura: un invito incessante a non vivere per te stesso, per il tuo “io”, ma a considerarti parte di una relazione, di un “noi” di donne e uomini, a cominciare da coloro che incontri ogni giorno, e poi dai sofferenti e dai poveri. Il mondo è popolato di tanti “io” che, invece di lavorare insieme, si combattono. I discepoli e le donne, che, nonostante l’incertezza, la paura, i dubbi e l’incredulità, avevano seguito Gesù, dopo la Pasqua compresero, almeno, che si doveva stare insieme. Quelli che seguivano Gesù non erano pii israeliti, tutti perfetti e religiosi. C’erano donne peccatrici, c’era Levi il pubblicano, considerato peccatore perché riscuoteva le tasse per conto dei romani, c’era una folla di poveri e malati, c’erano fratelli focosi come Giacomo e Giovanni. Anche Pietro aveva sempre le sue ragioni. Persino Giuda, il traditore, non fu rifiutato da Gesù, che al momento dell’arresto continuò a chiamarlo amico: il Messia credeva all’amicizia. Nicodemo, che lo aveva incontrato di notte, perché si vergognava di farsi vedere dagli altri (come quando magari ci vergogniamo di dirci cristiani!), poi però lo difende e si presenta alla sua sepoltura insieme a un altro pauroso, Giuseppe d’Arimatea. Avevano capito che, in quell’uomo, c’era una risposta alla loro ricerca di saggezza. Gesù non ha bisogno di perfetti, tanto meno di maestri, ma di discepoli, gente comune, diversi tra loro, ma che accettano di essergli amici. Infine, la Pasqua è “pace”. Gesù lo dice più volte, dopo la resurrezione: “Pace a voi!”. È paradossale! Invece di prendersela coi discepoli, come faremmo noi, quando qualcuno ci offende o ci lascia soli nel bisogno, egli si presenta loro dicendo: “pace”. Sì, c’è bisogno di pace in un tempo che accetta la guerra come l’unica via alla pace, abbandonando la via del dialogo, e crescono le armi, il grande affare che va a gonfie vele sul mercato, mentre la distruzione, la morte, i poveri e le ingiustizie aumentano. Gesù ripete “pace” davanti alla normalità della rabbia e dell’odio. Che la sua pace vinca ogni freddezza, ogni indifferenza, ogni violenza e cambi il nostro povero mondo. Insegnandoci che si è felici se ci prendiamo cura gli uni degli altri. Senza escludere nessuno. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e Anagni-Alatri Questo messaggio è stato pubblicato sul quotidiano Ciociaria Oggi nell’edizione di domenica 31 marzo 2024

Il vescovo alla Messa Crismale: “I cristiani segno di unità e umanità”

«Il mondo ha bisogno dei cristiani: di donne e uomini che sappiano essere segno di unità e umanità». Così il vescovo Ambrogio Spreafico nell’omelia della Messa Crismale, celebrata nel pomeriggio di mercoledì 27 marzo nella Basilica Abbazia di Casamari, alla presenza del clero della nostra diocesi e di Frosinone-Veroli-Ferentino, le due Chiese unite in persona episcopi. QUESTO IL TESTO COMPLETO DELL’OMELIA: Sorelle e fratelli, cari don Alberto e don Nino, e caro padre Abate Loreto, cari sacerdoti, diaconi, donne e uomini che con noi formate questo popolo santo, radunato dalla misericordia di Dio, che soprattutto in questa settimana riscopre la grazia di esserne parte, celebrando con tutta la Chiesa il cuore della sua vita di fede. Non sempre ne siamo consapevoli. Il mondo ci abitua all’io, ci induce a cavarcela da soli, finché ce la facciamo, a cercare ogni giorno affannosamente la via della felicità. Eppure, il Signore non smette di parlarci, di radunarci, di farci sentire la tenerezza della sua presenza, la forza del suo amore. Cari sacerdoti, il Signore ci ha chiamati e consacrati nonostante la nostra indegnità. Il suo Spirito è sceso su di noi perché fossimo profeti nel mondo e in ogni tempo, mandati come quel profeta che viveva in un tempo difficile del suo popolo, ad essere ministri della grazia di Dio, del suo amore per i poveri e i miseri, nei quali egli stesso si è identificato e sul cui amore saremo giudicati. È una grande missione anche oggi. È la nostra missione, anzitutto dei sacerdoti, ma anche di tutti noi, popolo di Dio e segno di unità della famiglia umana. Dovremmo riscoprirla ogni giorno come un grande dono di cui lo Spirito di Dio ci ha rivestito. Questa consapevolezza ci aiuterebbe ad essere “uno” in lui, e non individui che fanno tanta fatica a vivere gli uni con gli altri e per gli altri, a volte chiedendo attenzione e riconoscimenti, invece di essere strumento di unità. Le guerre, la corsa alle armi, la violenza del terrorismo, la violenza della vita di ogni giorno anche nei luoghi che abitiamo, l’incapacità delle nazioni a dialogare e a cercare vie di pace, l’esclusione dei poveri, l’indifferenza e l’abitudine ad accettare come normale l’odio, il litigio, il giudizio, la rabbia, non dovrebbero indurci a una ribellione interiore e a una rinnovata presa di coscienza della missione che ci è affidata? Invece, a volte perdiamo tempo in quisquiglie, in inutili quanto sciocche discussioni e prepotenze, cercando il proprio ruolo, talora insoddisfatti di ciò che uno vive oggi e alla ricerca di chissà quale spazio di felicità. Desideriamo che gli altri cambino, ma troppo poco ci poniamo la domanda del cambiamento di ciascuno di noi. Oggi il Signore ci rinnova il suo dono con generosità e fiducia. Il mondo ha bisogno dei cristiani, di donne e uomini che siano strumento di fraternità e unità, di benevolenza e speranza, luce di pace e di amore. Ha bisogno di noi suoi ministri. La Memoria della Cena del Signore, che celebreremo domani in tutte le nostre comunità, sia quella tavola della fraternità che veda noi sacerdoti pronti a distribuire quel cibo santo che sazia la fame di amore e di fraternità di ogni uomo e ogni donna. E gli oli santi, che consacreremo e benediremo, possano accompagnare la vita di tanti esseri umani dalla nascita alla morte, segnando la luce della presenza di Dio nella loro vita. Siamo come l’olio versato da quella donna durante l’ultima cena, olio di tenerezza, di amore, con cui lenire il dolore di un uomo che stava per essere messo a morte. Quanto ha bisogno il mondo di questo olio, che unito al balsamo che profuma, lenisce e guarisce le ferite del dolore e dell’abbandono! Non lasciamoci perciò prendere dal solito pessimismo delle statistiche, che vorrebbero indurci a celebrare il declino della Chiesa: pochi battesimi, pochi matrimoni, poche vocazioni; e così via. La tentazione è di ritirarsi in buon ordine o di gestire ciò che è rimasto, magari pensando che bisogna cambiare le strutture senza cambiare lo spirito o cercando uno spazio tranquillo a propria misura senza troppo affannarsi. Quanto è triste vivere così, soprattutto per chi come noi ha ricevuto una missione per il mondo! Oggi, cari amici, è tempo di svegliarci dal sonno, è tempo di farci toccare dalla Parola di Dio, da quel Vangelo del Signore crocifisso e risorto, che ci manda come pecore in mezzo ai lupi, alla violenza e all’odio. Rileggiamo con Gesù quel rotolo del libro di Isaia, che contiene le parole della nostra missione e la grazia per poterla realizzare. E la missione è sguardo verso il futuro, mai schiacciati dal presente. La missione cristiana è visione! Siamo insieme le due diocesi di Anagni-Alatri e di Frosinone-Veroli-Ferentino con i nostri sacerdoti, i diaconi, le consacrate e i consacrati, i nostri seminaristi. Sono certo che sono unite a noi le nostre claustrali, parte così preziosa del nostro popolo. Non è la prima volta. Diversi momenti di riflessione e di preghiera ci hanno visto insieme in questi mesi. Ringrazio tutti voi che avete lavorato fraternamente con generosità. Siamo un popolo multiforme, ma vorremmo essere davvero il popolo unito dall’alleanza che il Dio d’Israele ha suggellato con noi per mezzo della morte e resurrezione di Cristo. Le promesse che voi sacerdoti rinnoverete davanti al vescovo sono un impegno a vivere con passione, entusiasmo e generosità la missione che questa alleanza nel sangue di Cristo ci affida. Ci accompagni sempre la preghiera e la meditazione delle Sante Scritture, scrigno prezioso della saggezza che viene da Dio. E il nostro operare sia segnato dall’amicizia, dal rispetto, dalla condivisione con i tanti uomini e donne che con generosità e fedeltà formano con noi questo popolo santo. Tutti servi umili e pazienti, nessuno padrone! Uno solo è il Signore e il Maestro, noi tutti fratelli e sorelle. Il Cammino sinodale, che le nostre due diocesi stanno continuando con impegno, ci aiuti a crescere nella condivisione e nella testimonianza di unità. Sorelle e fratelli, viviamo con gioia