“In quel tempo, venuta la sera, Gesù disse ai discepoli:
«Passiamo all’altra riva» …” (Mc 4,35)
Carissimi,
è l’inizio del racconto della tempesta sedata e anche l’inizio del messaggio al mondo di Papa Francesco il 27 marzo del 2020 in quel “momento straordinario di preghiera in tempo di pandemia” in una Piazza San Pietro surreale e vuota. Da più di un anno è scesa la sera dentro e fuori di noi. Ci siamo ritrovati tutti impauriti e smarriti. Abbiamo provato il morso del nostro limite, sperimentando situazioni di solitudine e sofferenza, siamo venuti a contatto ravvicinato con la morte. Solidarietà e condivisione per fortuna non sono mancate. Ma adesso ci sta raggiungendo una parola di Gesù che non ci ha mai abbandonato: “Passiamo all’altra riva”, andiamo oltre. La pedagogia sapiente di Gesù è quella di farci superare la paura, dettata dalla povertà della nostra fede e dalla preoccupazione per noi stessi, e di accendere la passione per il mare aperto. Il Signore ci invita a riprendere il viaggio! “Passiamo all’altra riva”, perché adesso è possibile per tanti motivi, soprattutto perché cominciamo a vedere una luce in fondo al tunnel dovuta alla scienza medica, alla responsabilità di tutti, all’amore di Dio che non abbandona mai i suoi figli. La nostra epoca ha dovuto affrontare questa brutta crisi. Senza muovere il registro del lamento, che peggiorerebbe solo le cose, facciamocene una ragione e diamoci da fare per affrontare le sfide che sono davanti a noi. Possiamo e dobbiamo ripartire da una domanda; da alcune consegne che ci ha lasciato la pandemia; da un atteggiamento diverso nei riguardi degli altri; da alcuni impegni per rinnovare e ringiovanire il volto delle nostre comunità; da una convinzione solida e profonda.
Una domanda
Siamo sicuri che Dio ama l’umanità e non la abbandona; Egli è Colui che è fedele per sempre nel Suo amore. Ma siamo certi inoltre che Egli parla anche attraverso i fatti e le vicende della storia. Allora una domanda è ineludibile nella nostra ripresa: che cosa Dio ci ha voluto dire attraverso questa pandemia? Su che cosa vuole che apriamo gli occhi? Cosa ci ha voluto comunicare attraverso questa tempesta che ha sconvolto tutti? Quali sfide ci sta proponendo? Che cosa chiede il Signore in questo momento alla sua Chiesa? Cosa dobbiamo cambiare nel nostro modo di pensare, di stare davanti alla realtà, di scegliere e di vivere?
Alcune consegne.
Insieme a tanta ansia, a tanto smarrimento e a molta sofferenza il virus Covid-19 lascia nella nostra bisaccia più di qualche dono: un po’ più di umiltà e di senso del limite (non siamo padreterni); un po’ più di tempo (ne abbiamo avuto tanto nei mesi passati) da dedicare all’interiorità, alla vita spirituale, all’ascolto di Dio e della Sua parola; il senso del dono e del primato di ciò che è gratuito e non scontato, come le cose più semplici della vita; il fatto che ognuno di noi ha bisogno degli altri: “siamo tutti sulla stessa barca”; un’attenzione più puntuale al bene comune; un po’ più di fiducia nel futuro e in Colui che ce lo dona nonostante il male e la morte.
Un atteggiamento da assumere.
E’ lo stesso atteggiamento di Gesù, che guardava tutti con amore. Nel rapporto con gli altri e con la vita il volto del Cristo era illuminato dalla compassione e dalla partecipazione profonda ad ogni situazione. E la compassione (da intendere in senso proprio e letterale) si declinava in due direzioni: la parola che rimetteva in sesto le persone e la cura per la loro fragilità. Parola e gesto di Gesù dovrebbero riconoscersi nel nostro atteggiamento per proseguire la Sua missione di incontro e di salvezza:
“Sceso dalla barca, egli vide una grande folla,
ebbe compassione di loro perché erano come pecore
senza pastore, e si mise ad insegnare loro molte cose”
(Mc 6,34).
Prima di moltiplicare il pane, Gesù parla e insegna: non c’è solo la povertà di pane. Oltre la povertà materiale ce ne sono anche altre: la geografia del non senso, purtroppo, è molto più ampia della geografia della fame. Lo sguardo di Gesù sugli altri e sulla vita crea prossimità e intesa.
Un ascolto in tre direzioni.
Nella mia lettera del settembre scorso – “Oltre la pandemia: riprendere il cammino” – parlando delle nostre parrocchie, facevo notare come la comunità cristiana dovesse proporsi come modello esemplare di ripartenza, di resilienza, di attenzione, di cura e di preghiera … Sottolineavo come la parrocchia dovesse e debba garantire una presenza di speranza e un abbraccio a tutti, cominciando dall’ascolto …
In questo momento è indispensabile l’ascolto a tre livelli:
prima di tutto l’ascolto di Dio nella “lectio divina” da intensificare dove già si fa, o da garantire, dove non c’è. Inoltre è importante ascoltare le persone e la realtà che le circonda, e quindi è necessario dotare le parrocchie di uno spazio di discernimento e di lettura della realtà attraverso un gruppo di persone, un tavolo di approfondimento, un Consiglio pastorale. Infine, bisogna venire incontro alle persone in ricerca, ai ragazzi, ai giovani, a chi sente la nostalgia di Dio con una comunità dal volto più gioioso e fraterno. Inutile, ormai, aggiungere che non sono sufficienti solo il presbitero e pochi intimi a garantire questo tratto accogliente.
Dal Decennio di “Educare” raccogliamo tre impegni.
Nel ripartire occorre tener presente la ricchezza di cui abbiamo beneficiato dal Decennio di “Educare alla vita buona del Vangelo” e, in ultimo, dal Sinodo dei giovani e per i giovani. Meritano un occhio di riguardo le famiglie giovani e la trasmissione della fede ai piccoli; la qualità dei percorsi di educazione alla fede di ragazzi e adolescenti (con gruppi più piccoli, meno scolarizzati, con le famiglie più coinvolte … con una formazione più puntuale dei catechisti …); una presenza e una stima maggiore del mondo della scuola all’interno della comunità cristiana.
Termino questi appunti di viaggio in vista della ripresa di un cammino con un invito a tutti e, prima di tutto, a me stesso. Il Signore Gesù, nel sollecitarci ad accumulare tesori di carità in cielo dove la tignola e la ruggine non consumano e dove i ladri non scassinano, aggiunge: “Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21). Noi cerchiamo la felicità dove pensiamo sia un tesoro. Il nostro cuore è affascinato da questo tesoro. Ebbene, il nostro tesoro è nascosto nella vita di tutti i giorni. Il segreto per trasformare questo mondo in un altro mondo lo abbiamo tra le mani ma, spesso, non ce ne accorgiamo. Si tratta di rendersi conto di un altro modo di partecipare alle situazioni della vita: con un di più di responsabilità, con gratuità, con coraggio e generosità, con passione per una felicità condivisa, con attenzione e misericordia.
Alla sequela e alla scuola di Gesù Cristo occorre prendere atto che la felicità promessa a chi si fida di Lui è la vita stessa in cui siamo, purchè vissuta con amore e per amore e dunque condivisa volentieri con gli altri e con Lui nonostante le tempeste che ci insidiano sempre.
Con affetto
Anagni, 1 luglio 2021
+ Lorenzo, vescovo