Padre Rosin e don Paciotta nel ricordo di tanti fedeli

Nel ricordo di due amati sacerdoti, che tanto hanno dato alla diocesi di Anagni-Alatri, sono state organizzate altrettante celebrazioni. Si tratta del gesuita padre Mario Rosin (nella foto) e del prete diocesano don Severino Paciotta. Padre Rosin, a lungo guida spirituale del seminario Leoniano di Anagni, formatore di tanti giovani, di Azione Cattolica e non solo, è stato ricordato nel centenario della nascita con la celebrazione di una Messa, domenica scorsa, nella chiesa di Sant’Angelo ad Anagni. Il giorno prima, sabato 15 marzo, gli amici di padre Rosin hanno organizzato una escursione sullo Scalambra, tra quelle montagne che il religioso tanto amava, con la celebrazione di una Messa in vetta. Padre Mario Rosin nacque a Piove di Sacco (Padova) il 16 marzo 1925, da una modesta famiglia, figlio unico di una madre divenuta ben presto vedova. Si trasferì a Roma nel Seminario dove affrontò gli studi classici e filosofici e nel 1945 entrò nella Compagnia di Gesù. Si laureò nel 1952. Il 9 luglio del 1955 venne ordinato sacerdote dal cardinal Micara nella chiesa del Gesù a Roma. Dopo un anno di ritiro spirituale a Fiesole , tornò ad Anagni. Qui insegnò filosofia e nel 1968 assunse il compito di direttore spirituale del Leoniano. La sua opera si concluse al mattino del 29 aprile del 1991, quando morì improvvisamente nell’atrio della cappella del seminario, mentre era a disposizione per le confessioni dei seminaristi. Tanti gli scritti che padre Rosin ha lasciato, comprese tante poesie di aneliti al Signore e all’Infinito, e questo pensiero, che di seguiti proponiamo proprio come una sorte di testamento spirituale del gesuita veneto: «Amare silenziosamente, nascostamente, senza mettere la firma personale di proprietà, quasi senza farsene accorgere, senza dirlo neppure a se stessi, lasciandosi cancellare dal tempo… Questo si che è morire! Di quella morte con Cristo che porta in gestazione la vita di molti». La comunità parrocchiale della contrada La Fiura di Alatri, invece, ricorda domenica 23 marzo don Severino Paciotta, a 20 anni dalla morte, con una Messa alle 11, nella chiesa di Santa Maria della Mercede, celebrata dal parroco don Alessandro Tannous. Proprio don Severino Paciotta il 17 agosto 1969 benedì e inaugurò la nuova chiesa de La Fiura, al posto del precedente piccolo edificio, chiesa che è stata poi ricostruita nei decenni successivi. La sua azione pastorale e la vicinanza ai fedeli è rimasta sempre nel cuore degli abitanti della popolosa contrada alatrense.
Un giorno di grazia: il pellegrinaggio giubilare delle parrocchie delle zone Mole/Castello/Tecchiena

Non era un remake di “Berretti verdi”, il film con il leggendario John Wayne, e neppure una reminiscenza scolastica della poesia di Luigi Mercantini “La spigolatrice di Sapri”, eppure trecento giovani (e meno giovani), e forti, fortissimi, e gioiosi, gioiosissimi pellegrini, con il caratteristico berretto verde come segno distintivo, hanno “invaso” nella giornata di sabato 15 marzo prima la Basilica di San Paolo fuori le mura e quindi il colonnato e poi la Basilica di San Pietro per il pellegrinaggio giubilare interparrocchiale, organizzato dall’unità pastorale delle “parrocchie in comunione con Maria” (Laguccio, Mole Bisleti, Pignano, Sant’Emidio, Basciano), dalla parrocchia di Tecchiena e da quella di Tecchiena Castello, accompagnati dai parroci don Luca Fanfarillo e don Antonello Pacella e dal diacono Giovanni Straccamore, mentre don Giorgio Tagliaferri, impossibilitato a partecipare, ha comunque portato il suo saluto via telefono; preziosa anche l’opera dei vari laici – giovani e no – delle varie parrocchie per l’organizzazione e la logistica. Partiti intorno alle 8 dai piazzali delle rispettive chiese, preparandosi ulteriormente alla giornata con l’ausilio di un istruttivo pieghevole con info e notizie varie sul Giubileo e sull’indulgenza, i pellegrini hanno fatto dapprima tappa a San Paolo fuori le Mura. E qui è stata subito chiara l’impronta di grazia che poi tutta la giornata avrebbe avuto, così come di comunione e di cammino fraterno – uno dei significati di ogni pellegrinaggio – di una Chiesa universale. Per entrare in Basilica, infatti, si è fatta la fila insieme a tanti pellegrini dell’arcidiocesi di Milano, alla seconda giornata del loro pellegrinaggio giubilare a Roma. Ed è stato subito un piacevole e fraterno scambio di saluti, ben oltre gli scontati convenevoli, con l’innata simpatia e spontaneità ciociara che ha conquistato i lombardi, e di esperienze dettate dall’emozione e dalla grazia particolari di vivere un Giubileo e di attraversare, da lì a qualche minuto, la Porta Santa. Ed è stato anche piacevolmente bello vedere come, in “normalissima” fila insieme a tutti i fedeli, c’era anche monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, che tra l’altro poco prima avevamo notato aggirarsi sempre “normalmente” tra i bus in sosta per salutare questo o quel fedele. All’interno della Basilica, i pellegrini delle varie parrocchie della zona di Tecchiena si sono lasciati inebriare dalle bellezze artistiche della chiesa, con ogni singola opera che trasuda del Bello che deriva dall’Infinito. In molti si sono accostati al sacramento della Riconciliazione, approfittando anche del “dispiegamento” di sacerdoti e religiosi dell’arcidiocesi di Milano (circa 100 i confessori) disseminati in ogni angolo della Basilica, prima di concelebrare con monsignor Delpini, accolto peraltro con gioia da un po’ di… Ciociaria, ovvero dall’abate di San Paolo, dom Donato Ogliari, fino a due anni e mezzo fa abate di Montecassino. Dopo la visita, il tempo di un pranzo al sacco negli spazi esterni della Basilica, di un caffè e delle immancabili ciambelline al vino e poi tutti si nuovo sui torpedoni per raggiungere San Pietro, anche se con qualche problema di traffico per la concomitanza con lo sciamare dei tifosi irlandesi diretti all’Olimpico per la partita di rugby contro l’Italia e due manifestazioni politiche in piazza. Arrivati a San Pietro, in piazza e nelle vie adiacenti è stato possibile incrociare anche i pellegrini della parrocchia di Santa Maria Goretti di Frosinone, affidata ai sacerdoti di Nuovi Orizzonti, proprio mentre a poche decine di metri, nella libreria San Paolo di via della Conciliazione, don Davide Banzato, che di Nuovi Orizzonti è l’assistente spirituale, riceveva il “Premio Buone Notizie”, insieme a Lorena Bianchetti e Vincenzo Corrado. Superati con pazienza i necessari filtraggi delle forze dell’ordine, tutti dietro alla Croce per attraversare la Porta Santa della Basilica simbolo del centro della cristianità e sede della Cattedra di San Pietro e del Vescovo di Roma, papa Francesco, il cui pensiero ha accompagnato la preghiera di ogni pellegrino. In Basilica è stato possibile partecipare alla Messa delle 15, ancora con un altro tassello di comunione di Chiesa, per la concomitanza con il pellegrinaggio della diocesi campana di Ariano Irpino-Lacedonia, il cui vescovo monsignor Sergio Melillo ha presieduto la concelebrazione con molti sacerdoti della sua diocesi (significativamente anche il prete più anziano e quello più giovane) e i “nostri” don Antonello e don Luca. Anche il vescovo ha voluto ricordare, nell’omelia, il senso del pellegrinaggio, tanto più autentico in quanto erano partiti in piena notte dai loro paesi dell’Irpinia: un piccolo sacrificio, come le difficoltà della vita, da affrontare però con la fiaccola della Fede. Ma il presule campano ha voluto anche ribadire il significato pieno di quella “speranza”, che fa da filo conduttore al Giubileo 2025, e di come l’invito di questo anno particolare è quello alla riconciliazione e alla rinascita spirituale. Dopo la Messa, tutti di nuovo in fila anche per uscire, e solo a questo punto una pioggerellina si è fatta presente, dopo una giornata meteo comunque piacevole, tale però da impedire la riuscita della classica foto di gruppo sul sagrato della Basilica. Poco male, però, perché in tantissimi hanno poi inondato i social e i gruppi whatsapp di bellissime immagini e video di una giornata di grazia piena, autentica, vera. Da continuare a vivere ora ogni giorno, da trasmettere agli altri, anche ai “lontani” e, perché no?, da rivivere anche in altri futuri pellegrinaggi da organizzare, secondo la richiesta che è poi arrivata da tanti fedeli. Igor Traboni
Miracolo eucaristico di Alatri: le celebrazioni

Giovedì 13 marzo la comunità di Alatri e la diocesi tutta fanno memoria del miracolo dell’Ostia incarnata, uno dei pochi miracoli eucaristici riconosciuto come tale in tutta Italia. Nel manifesto trovate tutte le indicazioni per le celebrazioni nella Concattedrale di San Paolo (Civita).
Alatri: studenti alla scoperta del miracolo eucaristico

Martedì 11 marzo gli alunni di terza media della classe 3A dell’Istituto comprensivo Alatri 1, accompagnati dal professore di religione Gabriele Ritarossi e dalla professoressa Lucretia Mailat e accolti dal parroco don Walter Martiello, hanno visitato la Concattedrale di Alatri e il miracolo eucaristico alla vigilia dell’anniversario del prodigioso evento, avvenuto il 13 marzo 1228. Gli alunni, durante l’ora di religione in classe, avevano approfondito storicamente la genesi del miracolo eucaristico, insieme alla figura del beato Carlo Acutis, che in un suo libro si è occupato anche di quanto avvenuto ad Alatri. Inoltre, i ragazzi in classe avevano avuto modo di realizzare in cooperative learning un lavoro di produzione sul giubileo e sulla chiesa giubilare della Concattedrale di Alatri. Gli alunni sono rimasti colpiti dal vedere da vicino l’Ostia mutata in viva carne e non sono mancate delle domande anche attorno alla Basilica Concattedrale, che molti conoscevano appena. Durante la visita gli alunni hanno approfondito la bolla di Papa Gregorio del 13 marzo 1228 e la realizzazione del reliquiario. L’attività ha inoltre consentito ai ragazzi di approfondire meglio la storia e la cultura religiosa della città di Alatri. (nella foto, studenti e docenti sul sagrato della Concattedrale)
E’ morto padre Ignazio Rossi, ultimo priore di Trisulti

All’età di 89 anni è morto, mercoledì 5 marzo, padre Ignazio Rossi, cistercense, ultimo priore di Trisulti e ultimo monaco a lasciare la Certosa, dopo la contestata cessione del complesso, nel febbraio del 2018 da parte del ministero della Cultura, ad una associazione statunitense. Da ultimo, padre Rossi si era trasferito nell’abbazia di Valvisciolo, vicino Sermoneta, dove è morto e dove nella mattinata di giovedì 6 marzo si sono svolti i funerali, prima della benedizione della salma nel pomeriggio dello stesso giorno all’abbazia di Casamari, nel cui cimitero ora riposa. Grande il ricordo che tutta la comunità del paese di Collepardo serba per padre Rossi, figura gioviale e amichevole di quella Certosa di Trisulti di cui era stato nominato priore emerito e che continuava a portare nel cuore, anche una volta che suo malgrado era stato costretto a lasciarla. Segni tangibili della sua vocazione erano anche quelli di una spiritualità e una saggezza infinite, dispensati senza riserve nei suoi 61 anni di sacerdozio.
Spreafico alla Santissima: «La Trinità ci fa vivere da amici». L’annuncio: il Santuario sarà chiesa giubilare

Con il pellegrinaggio partito di buon mattino dal paese di Vallepietra e guidato dal vescovo Ambrogio Spreafico, domenica 16 febbraio al santuario della Santissima Trinità è stata celebrata la Festa dell’apparizione, nell’unico giorno di apertura invernale del sacro speco, che infatti ha accolto i tanti fedeli con un suggestivo manto bianco di neve. Monsignor Spreafico ha quindi celebrato Messa nella chiesa al coperto del santuario, salutando subito i presenti «dopo aver camminato verso questo luogo per incontrarci con la Trinità che ci accoglie, siamo tanti da luoghi, parrocchie e diocesi diverse, ma siamo un popolo, perché i cristiani da qualunque luogo provengono, italiani o no di origine, sono un popolo, ed è bello essere popolo in un mondo come il nostro dove questo è diventata una cosa molto difficile». Nel corso dell’omelia, il vescovo ha poi fatto riferimento al Vangelo del giorno, a quel ritrovarsi di Gesù «in mezzo a tanta gente che veniva da tante parti, non tutti credenti ma diversi tra loro, e stavano attorno a Gesù perché aveva parole che aiutavano a vivere, perché il Vangelo è vita e tante volte si vive male proprio perché non ascoltiamo il Vangelo, perché se ascoltassimo la Parola di Dio, questa ti entra nel cuore e ti fa vivere secondo quella bontà che dovrebbe caratterizzare la nostra vita. Immaginiamoci di essere in quel luogo sul lago di Galilea: chi c’era attorno a Gesù? Poveri, gente che aveva fame, che non aveva il necessario, che aveva dei dolori, che piangeva, anche persone odiate dagli altri. E quanto odio c’è oggi nella vita, troppo odio, anche sugli smartphone: aiutate i vostri figli e nipoti – ha detto Spreafico rivolgendosi proprio ai genitori e ai nonni presenti – a non odiare mai nessuno, a non condividere un insulto con gli altri, perché l’insulto è odio e di odio ce ne è già abbastanza nelle guerre, nella sottomissione degli altri… no, non ne abbiamo bisogno». Ma attorno a Gesù, ha aggiunto il vescovo di Anagni-Alatri, c’era anche gente ricca, che stava bene, soddisfatta di se. Ecco, Gesù sa chi siamo noi, sa i nostri dolori, le fatiche della vita, che qualche volta anche noi piangiamo perché abbiamo qualcosa dentro ma non possiamo dirlo a nessuno perché oggi nessuno ascolta, tutti abbiamo fretta; ma se ci ascoltassimo di più riusciremmo ad aiutare un altro, un anziano che non ha nessuno. E Gesù conosce anche i nostri desideri, le attese. Il Giubileo che celebriamo ha come titolo “Essere pellegrini di speranza” e lo abbiamo fatto anche noi salendo fino a qui, perché c’è bisogno di speranza. Gesù dice “beati i poveri perché vostro è il regno dei cieli, beati voi che avete fame, voi che piangete, beati boi quando vi odieranno, vi insulteranno: rallegratevi ed esultate”. Ma ognuno di noi potrebbe dire: come è possibile questo? E’ possibile perché beati sono coloro che si fidano di Dio e quindi hanno non quella felicità che passa in un giorno, ma che anche nel dolore, nella povertà, nella fatica della vita ti fa avere speranza perché sai che Gesù ti rende beato. E poi dice “guai a voi ricchi, che ora siete sazi” ma quel guai non è una maledizione, perché Gesù ci dice; stai attento quando ti accontenti della tua ricchezza, perché la ricchezza non rende felici, stai attento quando prendi in giro gli altri perché quella non è la felicità, quando sei sazio, hai tutto e magari vuoi di più perché quello non ti darà felicità. Gesù non vuole metterci addosso dei pesi ma vuole liberarci dalla tristezza, dalle cose che ci fanno chiudere in noi stessi, dall’insoddisfazione che ci fa sempre lamentare di tutto e degli altri. Vuole dirci: io ti tendo la mano». Spreafico ha poi ricordato che, alla partenza del pellegrinaggio a piedi, è stato recitato il salmo “Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto? L’aiuto viene dal Signore”, per sottolineare come «salendo verso il santuario abbiamo alzato gli occhi perché volevamo arrivare dove la Trinità ci parla, ci raduna, ci benedice, ci aiuta, ci fa vivere. Noi oggi abbiamo bisogno di vivere il bene e di fare il bene, perché c’è troppo male, guerre, odio, disprezzo degli altri, ma noi cristiani non possiamo accettare di vivere così, dobbiamo resistere al male, ribellarci all’odio. Chi allontana il cuore dal Signore non riesce a fare il bene, no porterà frutti buoni, sarà come albero nel deserto. Gli egoisti non si accorgono che la loro vita non porta frutti, non si accorgono che non solo vivono male gli altri ma anche se stessi. L’uomo e la donna che confidano nel Signore, che fanno il bene ascoltano Gesù e la Trinità: saranno come un albero piantato lungo i corsi d’acqua, che cresce, fa ombra, dà frutti. E questa deve essere la nostra vita: fare il bene, essere benedetti da Dio e poter benedire gli altri. Essere qui ci deve dare speranza per essere gente buona, perché oggi c’è bisogno di persone che guardano agli altri con simpatia, affetto, senza giudicare tutti, perché anche in chi ha fatto il male c’è l’immagine di Dio. La Trinità è questo: amore che si comunica, che rende fratelli e sorelle e amici: il mondo ha bisogno di amicizia». IL SANTUARIO CHIESA GIUBILARE Il vescovo Spreafico, nel ringraziare il rettore monsignor Alberto Ponzi per la cura del santuario, ha quindi annunciato che «questa sarà una delle chiese giubilari della diocesi di Anagni-Alatri e per tutti quelli che verranno dal primo maggio in poi . Qui potrete anche ottenere l’indulgenza plenaria, cioè il perdono: abbiamo tutti bisogno di esser perdonati perché nessuno di noi è giusto. E allora impariamo anche noi a perdonare gli altri perché ci fa bene, e chiediamo a Gesù: tendici la mano e aiutaci a prenderla. Perché se andiamo con Lui andiamo sicuri, faremo il bene e saremo felici». Nel ringraziare il vescovo Spreafico «autentico pellegrino» don Alberto Ponzi ha quindi preso brevemente la parola per ringraziare anche «tutti quelli che si sono
Festa dell’Apparizione: pellegrinaggio a piedi alla Santissima, guidato dal vescovo Ambrogio

In occasione della Festa della Apparizione della Trinità, domenica 16 febbraio torna il tradizionale pellegrinaggio a piedi al santuario della Santissima Trinità di Vallepietra, nell’unico giorno della pausa invernale in cui il sacro speco sarà aperto (la riapertura ufficiale ai fedeli ci sarà invece il 1° maggio). Come lo scorso anno, sarà il vescovo Ambrogio Spreafico a guidare il pellegrinaggio a piedi. Il ritrovo è previsto per le 7 in piazza Italia, al centro di Vallepietra proprio davanti alla chiesa parrocchiale, con la benedizione e l’inizio del pellegrinaggio; alle 10.30 la celebrazione eucaristica al santuario, presieduta da monsignor Spreafico. Nel pomeriggio, il programma delle celebrazioni proseguirà nella chiesa parrocchiale di Vallepietra, con la recita del Rosario alle 16 e alle 16.30 la Messa, presieduta dal rettore del santuario, vicario generale della diocesi e parroco di Vallepietra, monsignor Alberto Ponzi. Seguirà la processione per le strade del paese con il quadro della Trinità. (nella foto, un momento del pellegrinaggio 2024, sempre con la guida del vescovo Ambrogio Spreafico, qui impegnato nell’ascesa)
La reliquia di Carlo Acutis accolta a Fumone

«Davanti al sole ci si abbronza, ma davanti all’Eucarestia si diventa Santi»: queste le parole del beato Carlo Acutis, che in questo anno giubilare sarà dichiarato Santo. Quale “privilegio” e quale “onore”, come anche che grande “onere” per la nostra comunità di Fumone accogliere, domenica 12 gennaio, nella parrocchia di San Paolo VI e San Pietro Celestino V, la reliquia del beato Carlo Acutis. (nella foto, mentre viene mostrata dal parroco don Roberto Martufi) La sua biografia abbastanza breve ma intensa, perché morto giovanissimo all’età di 16 anni. Come tutti i ragazzi degli anni 2000, si affacciò alla vita con tutte le sue passioni e i sogni, adoperandosi per il prossimo e coltivando un “AMORE” particolare per l’Eucaristia (definita da lui «L’AUTOSTRADA PER IL CIELO»). Come si può diventare santi così giovani? Forse un marziano? Un invasato? Queste le domande, come tante altre, che hanno attraversato i nostri cuori, facendo accorrere tante persone che, con gli occhi lucidi dall’emozione, hanno accolto in processione la teca, a forma di Tau, contenente un ciuffo dei capelli del beato Carlo Acutis. Ti ringraziamo Signore per questa “grazia”. Il beato Carlo Acutis faccia crescere nella nostra comunità giovani e adulti che si “nutrano” dell’Eucaristia, l’autostrada che ci porta a TE!! a cura delle parrocchie Fumone
A Fumone una reliquia di Carlo Acutis, modello di santità per i giovani

Da domenica 12 gennaio 2025 una reliquia del corpo del Beato Carlo Acutis sarà esposta, in maniera permanente, alla venerazione dei fedeli nella chiesa San Pietro Celestino e San Paolo VI a Fumone, in località Pozzi. Un dono che la comunità fumonese suggellerà con una Messa alle 11.30, celebrata dal parroco don Roberto Martufi e che peraltro, proprio per sottolineare l’importanza dell’evento, sarà anche l’unica celebrata nella giornata in questa e nell’altra chiesa parrocchiale del paese. Si tratta di una reliquia cosiddetta “di primo grado”, ovvero resti sacri (corpi interi, ossa, capelli, sangue, carne, ecc) di figure di dichiarata santità, il che rende ancora di più l’idea del grande dono che viene fatto alla comunità di Fumone e a quanti vorranno recarsi nella chiesa di Pozzi per venerare la reliquia di Carlo Acutis(nello specifico, si tratta di alcuni capelli appartenuti al giovane morto in odore di santità).«La richiesta di questa reliquia – spiega il parroco, don Roberto Martufi – è stata motivata proprio dal desiderio della comunità dei fedeli, perché anche attraverso questo segno si possa scoprire sempre di più la forza della preghiera e l’importanza della vita di fede, in particolare tra i giovani», che peraltro a Fumone costituiscono una bella realtà intorno alle parrocchie.La figura di Acutis, morto a soli 15 anni e le cui spoglie riposano ora ad Assisi, è infatti particolarmente cara ai giovani di tutto il mondo e papa Francesco lo ha indicato loro come «modello di santità dell’era digitale». E nel Giubileo degli adolescenti, in aprile, ci sarà la canonizzazione di Acutis. «Anche in vista della canonizzazionedi san Carlo Acutis – aggiunge don Martufi – pensiamo di organizzare qualche evento per i giovani».
Gruppo San Lazzaro: dare consolazione dopo un lutto

Come ormai da diversi anni, l’unità pastorale delle “Parrocchie in comunione con Maria”, che abbraccia le comunità di Laguccio, Mole Bisleti (nella foto, la chiesa parrocchiale), Pignano, Basciano e Sant’Emidio, nella zona rurale tra Tecchiena e Alatri, si organizza attraverso dei gruppi per portare avanti i diversi servizi per il bene della comunità stessa. Ed ecco che nei giorni scorsi è nato il “Gruppo San Lazzaro”, con una finalità specifica. Sarà infatti questo, come spiega il parroco don Luca Fanfarillo, «il gruppo della consolazione, perché ci recheremo nella casa del defunto per pregare insieme e per stare vicino alla famiglia, per non lasciare soli quanti sono stati colpiti da un lutto».Questo gruppo si aggiunge dunque agli altri già formati in precedenza, ovvero: Gruppo ArcangeloGabriele, per portare a tutte le famiglie delle parrocchie gli avvisi e i messaggi delle varie iniziative;Gruppo San Camillo, per andare a visitare i malati nelle loro case; Gruppo Santa Marta, con personeche si occupano della pulizia e del decoro delle chiese parrocchiali; Gruppo San Giuseppe, con persone che seguono da vicino la manutenzione di chiese e ambienti parrocchiali, dove c’è sempre qualcosa da aggiustare.D’altro canto, la “missione” propria di questi gruppi la si comprende bene anche dalle figure di riferimento scelte per dar loro un nome e che in qualche modo si pongono anche come protettori eprotettrici delle varie attività e servizi.«Amo ripetere che è meglio il poco di molti che il molto di pochi, come in effetti sta avvenendo perquesti gruppi, con il coinvolgimento di tante persone, compresi alcuni giovani, che ne fanno parte e interpretano il tutto proprio come un servizio», conclude don Luca Fanfarillo. Igor Traboni