A oltre tre mesi dall’omicidio ancora impunito di Thomas Bricca, non si ferma l’eco, non soltanto emotiva, di una comunità come quella di Alatri che continua a interrogarsi, a cercare speranza, a chiedere giustizia. Tutti tasselli di un mosaico che da subito ha iniziato a comporre la società civile e, all’interno di questa, in particolare la Chiesa, con la veglia di preghiera e poi l’incontro con i ragazzi del vescovo Ambrogio Spreafico, con la testimonianza di don Luigi Ciotti e quindi, giovedì scorso 11 maggio e sempre presso l’Istituto superiore di via Madonna della Sanità, con don Luigi Merola, il prete anticamorra di Napoli. L’incontro con gli studenti, presenti tra gli altri il sindaco Maurizio Cianfrocca e il responsabile della pastorale giovanile diocesana don Francesco Frusone, è stato voluto dall’associazione Radici e subito recepito dalla scuola frequentata da Thomas «perché in questi mesi – ha detto tra l’altro la dirigente Annamaria Greco – ci siamo commossi, indignati, interrogati, cercando di elaborare una perdita e sempre in attesa di una notizia che non arriva: i colpevoli pagheranno. Non sarebbe consolatoria ma ci aiuterebbe a soddisfare un desiderio di giustizia». Breve ma quanto mai incisiva anche l’introduzione di Gabriele Ritarossi, presidente di Radici, che ha fatto ricorso al suo vivere tra i ragazzi come insegnante di religione, ricordando che Tommaso in aramaico vuol dire “gemello” e quindi «adesso tocca a noi, siamo tutti chiamati ad essere gemelli di Thomas», ha detto tra la commozione dei presenti, con i genitori e i parenti del ragazzo ucciso in prima fila.

Quindi l’intervento di don Luigi Merola, appassionato e appassionante, a tratti volutamente provocatorio: «Sono qui perché ci dobbiamo svegliare. Anche noi siamo colpevoli se non parliamo. Il cittadino di Alatri che ha visto quello che è successo a Thomas e non parla è anche lui colpevole. Qui c’è disagio sociale, non economico. Ma rispetto a questo dovete reagire cari ragazzi, perché la vita è bella. E Thomas si deve spingere ad essere cittadini, uomini e donne migliori».

Don Merola, che a lungo è stato insegnante e perfino dirigente del Ministero della Pubblica Istruzione, ha quindi richiamato la responsabilità educativa in capo alla scuola, ma anche ai genitori e alla Chiesa: «La scuola è una comunità che educa e forma ma in Italia da questo punto di vista “stiamo inguaiati”», ha detto facendo ricorso a un tipico detto napoletano e usando lo slang partenopeo a più riprese e forse anche in maniera esagerata, tanto che alcuni passaggi non sono stati chiarissimi.

«I professori – ha ripreso il sacerdote – sono degli educatori, dei punti di riferimento, insegnare è una vocazione. Quando si parla di camorra, mafia, inquinamento, il primo responsabile di tutto questo è l’ignoranza. Il vuoto culturale ed educativo fa crescere la malavita. E i ragazzi sono vuoti perché certi genitori non hanno fatto i genitori. E la Chiesa deve riaprire gli oratori, deve rimettere i preti ad insegnare nelle scuole. E i preti devono tornare ad essere pescatori di uomini. Preti senza orologio, come non ce l’ho io, perché il mio tempo è il vostro».

L’ulteriore appello di don Merola davanti alla platea degli studenti del “Pertini” è stato quello di studiare «perché così potete cambiare la società. Studiate senza preoccuparvi di prendere un 4, di ripetere l’anno, ma studiate. E poi, nelle vostre giornate, spegnete la tv spazzatura! Ma cosa possono darvi certe trasmissioni? E invece di star lì sempre a chattare, amate la vita, guardate le persone negli occhi, perché l’amore finisce se non lo coltivi. Ecco, a scuola dovremmo insegnare anche l’educazione sentimentale».

Dopo aver presentato le opere che porta avanti a Napoli, don Merola è tornato sulla vicenda di Thomas: «Arriverà la verità, ci vorrà forse altro tempo perché i carabinieri devono ricostruire tutto per bene e avere prove certe, ma arriverà».

E su quest’ultimo aspetto è poi calato un gelo ma carico di attenzione e commozione per niente fine a sé stessa, quando don Luigi ha chiamato i compagni di classe di Thomas e ha preso la parola Nico, amico del giovane ucciso e della sua famiglia e che, senza mezzi termini, ha raccontato di come loro e a più riprese sono andati in caserma, senza timori, molti anche minorenni, a raccontare quello che sanno e che ad Alatri conoscono un po’ tutti, e che però niente è stato fatto: «E così, come facciamo a credere ancora nelle istituzioni?». Don Merola li ha ancora una volta rassicurati sull’impegno degli investigatori. Una rassicurazione che forse basta, forse no.

Igor Traboni

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