Buona Pasqua a tutti. Abbiamo bisogno di buone notizie in questo tempo difficile, di grande sofferenza e violenza. E la buona notizia è il cuore del Vangelo: il Signore è risorto e ha vinto la morte. Questo Vangelo ci dà speranza, ci fa guardare al futuro, liberandoci dalla tristezza e dalla paura. Chi vive prigioniero della paura, finisce per credere che non si può vincere il male. Ma il male e persino la morte non sono la parola definitiva sull’esistenza umana.

Gesù, dopo la resurrezione, appare ai suoi amici con le ferite della croce e chiede al discepolo Tommaso di toccare le sue piaghe; solo così l’apostolo avrebbe capito che queste piaghe sono segno di una ferita, di cui qualcuno si deve prendere cura. Anzi, proprio la fede nel risorto potrà essere l’inizio della cura: un invito incessante a non vivere per te stesso, per il tuo “io”, ma a considerarti parte di una relazione, di un “noi” di donne e uomini, a cominciare da coloro che incontri ogni giorno, e poi dai sofferenti e dai poveri.

Il mondo è popolato di tanti “io” che, invece di lavorare insieme, si combattono. I discepoli e le donne, che, nonostante l’incertezza, la paura, i dubbi e l’incredulità, avevano seguito Gesù, dopo la Pasqua compresero, almeno, che si doveva stare insieme. Quelli che seguivano Gesù non erano pii israeliti, tutti perfetti e religiosi. C’erano donne peccatrici, c’era Levi il pubblicano, considerato peccatore perché riscuoteva le tasse per conto dei romani, c’era una folla di poveri e malati, c’erano fratelli focosi come Giacomo e Giovanni.

Anche Pietro aveva sempre le sue ragioni. Persino Giuda, il traditore, non fu rifiutato da Gesù, che al momento dell’arresto continuò a chiamarlo amico: il Messia credeva all’amicizia. Nicodemo, che lo aveva incontrato di notte, perché si vergognava di farsi vedere dagli altri (come quando magari ci vergogniamo di dirci cristiani!), poi però lo difende e si presenta alla sua sepoltura insieme a un altro pauroso, Giuseppe d’Arimatea. Avevano capito che, in quell’uomo, c’era una risposta alla loro ricerca di saggezza. Gesù non ha bisogno di perfetti, tanto meno di maestri, ma di discepoli, gente comune, diversi tra loro, ma che accettano di essergli amici.

Infine, la Pasqua è “pace”. Gesù lo dice più volte, dopo la resurrezione: “Pace a voi!”. È paradossale! Invece di prendersela coi discepoli, come faremmo noi, quando qualcuno ci offende o ci lascia soli nel bisogno, egli si presenta loro dicendo: “pace”. Sì, c’è bisogno di pace in un tempo che accetta la guerra come l’unica via alla pace, abbandonando la via del dialogo, e crescono le armi, il grande affare che va a gonfie vele sul mercato, mentre la distruzione, la morte, i poveri e le ingiustizie aumentano. Gesù ripete “pace” davanti alla normalità della rabbia e dell’odio. Che la sua pace vinca ogni freddezza, ogni indifferenza, ogni violenza e cambi il nostro povero mondo. Insegnandoci che si è felici se ci prendiamo cura gli uni degli altri. Senza escludere nessuno.

Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e Anagni-Alatri

 

Questo messaggio è stato pubblicato sul quotidiano Ciociaria Oggi nell’edizione di domenica 31 marzo 2024

 

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