Questo il testo dell’omelia pronunciata da monsignor Ambrogio Spreafico nella Messa solenne in onore del patrono San Sisto, in Alatri, mercoledì 3 aprile 2024

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Sorelle e fratelli, fare memoria di un santo non può essere la semplice ripetizione di un rito con le
sue caratteristiche e reminiscenze (sarebbe troppo poco!), ma è poter rivivere la storia di qualcuno
che ha accolto l’annuncio della Pasqua come una possibilità di vita e di futuro, non solo dopo la
morte, ma già nella vita terrena. Oggi siamo un po’ tutti facilmente chiusi in noi stessi, occupati
nell’esecuzione dei nostri giusti doveri e impegni, a volte stanchi e pieni di paure e delusioni per un
mondo dove si fatica a vivere insieme. Così cresce la tristezza, la rinuncia alla solidarietà, lo scontro
invece del dialogo. La rabbia e l’odio diventano un modo di vivere, diventano violenza. La guerra
ci sembra normale, anche se la detestiamo, ma forse solo per le sue nefaste conseguenze. Il facile
giudizio, in genere malevolo, ci tiene distanti degli altri invece di avvicinarci, ascoltarci e aiutarci.
Che fare, ci chiediamo? O forse meglio: che posso fare io con tutto quello che ho già di mio? Così
si abbassa lo sguardo e si finisce per vedere solo se stessi e poco oltre. La Pasqua, fratelli e sorelle,
anzitutto ci fa alzare gli occhi, come fece alzare gli occhi a Pietro e Giovanni. “Fissando lo sguardo
su di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: “Guarda verso di noi”. Era un poveretto, storpio fin dalla
nascita, che ogni giorno portavano alla porta del tempio, il luogo della preghiera, a chiedere
l’elemosina. Che fare? Quanti, come quell’uomo chiedono l’elemosina, chiedono cioè di esser
aiutati, per le strade delle nostre città o davanti alle nostre chiese. Nella preghiera di quell’uomo si
nasconde quella di un numeroso popolo di poveri, di anziani, di gente che non ha nulla, di famiglie
bisognose di tutto, di profughi da guerre e miseria, e molti altri. Chi li guarderà? Chi si fermerà ad
ascoltare la loro supplica? La risposta di Pietro potrebbe sembrare non adeguata al bisogno di
quell’uomo, eppure fu la risposta, perché i bisognosi e i poveri non si aiutano solo dando quanto
essi chiedono. “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo,
il Nazareno, alzati e cammina! Lo prese per la mano destra e lo sollevò”. Il Vangelo della Pasqua è
una forza di amore, è una parola che risponde al bisogno di vita, di guarigione dei tanti parte di quel
popolo, aiutandoci a prenderci cura di loro. Sì, possiamo superare la distanza dagli altri, da chi ha
bisogno, guardando, avvicinandoci, dando la mano e sollevandoli dal loro dolore, dal male che li
affligge, con gesti e parole di speranza. Non sarebbe bello e umano un mondo così? I cristiani ci
credono. Noi vogliamo crederci e per questo scegliamo di non scappare più davanti al bisogno e alla
domanda di aiuto di un altro, come fecero il levita e il sacerdote della parabola del Buon
samaritano. Chi di noi non conosce qualcuno che avrebbe bisogno del nostro sguardo, di essere
ascoltato, delle nostre parole, della nostra cura? Non continuare a far finta di niente, maledicendo il tempo e il mondo, dando la colpa agli altri delle cose che non vanno, e rimanendo così triste e rancoroso, senza risolvere niente, come se il bene dipendesse solo dagli altri.
Ma Gesù sa che facciamo fatica a fare questa scelta. Ci conosce. Sa che spesso camminiamo
delusi e tristi, incapaci di alzare lo sguardo, di guardare oltre, oppressi dai nostri problemi e fatiche.
Così si avvicina, come fece con i due discepoli che scendevano da Gerusalemme a Gerico. Oggi mi
sembra di vedere il nostro santo patrono che cambia strada proprio per avvicinarsi a questa città e a
ognuno di noi, per aiutarci a credere in quell’amore in cui egli ha creduto, nel Vangelo della Pasqua,
la buona notizia della Pasqua. Con Gesù si avvicina, ci parla, dialoga, ci chiede di spiegare la nostra
delusione e la tristezza del cuore, e poi ci aiuta con le Sante Scritture, la Bibbia, quella parola di Dio
antica con cui Dio Padre aveva parlato al suo popolo Israele e oggi in Gesù parla ancora a noi. Così
ci spiega con pazienza, e anche a noi comincia ad ardere il cuore, perché percepiamo il grande
amore che il Signore ha per noi e che vorrebbe noi vivessimo per essere un popolo fraterno, di gente
che sa vivere insieme in modo rispettoso e pacifico, in cui tutti possano avere un posto e una
dignità, quella che tutti trovano nella famiglia di Gesù, senza escludere nessuno.
San Sisto, papa e martire, ci indica proprio questo. Papa, cioè segno di unità dei discepoli di Gesù
– allora la Chiesa era unita – nella frammentazione di un mondo sempre più in guerra. Martire, un
uomo che non ha rinunciato a credere che la fede nel Signore morto e risorto lo avrebbe salvato
dalla morte eterna. Oggi si avvicina a noi, a questa città, a questa bella terra, per dirci: non avere
paura, affidati al Signore, ascoltalo, e lui ti aiuterà, ti salverà e ti renderà forza di amore e di pace in
un mondo che ama più la guerra della pace, ti darà lo sguardo per accogliere tutti come parte della
grande famiglia umana, unita dall’amore di Dio e dalla tua responsabilità di renderla tale ogni
giorno! Ricordati che troverai la felicità solo nel bene che saprai fare, nella scelta di prenderti cura
degli altri, a cominciare da chi ha bisogno del tuo aiuto, del tuo ascolto, della tua parola, della tua
tenerezza, della tua presenza amorevole. Signore Gesù, che ci hai dato San Sisto come amico e
patrono, aiutaci con lui ad essere donne e uomini che profumano di pace e di amore per tutti! Amen

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